giovedì 15 marzo 2012

III Incontro-dibattito: Riflessione di Quaresima sul tema dei senza dimora nell’Antico Testamento


 Introduzione

Non è solo una coincidenza che ci troviamo oggi a parlare delle persone che sono senza casa in questo tempo di Quaresima. Anzi, si può ben dire che esiste un legame forte fra la realtà di chi non ha riparo né famiglia e vive grazie a ciò che trova per mangiare, dormire, vestirsi, lavarsi, ecc… e questo tempo di preparazione all’incontro col Signore Risorto a Pasqua.

La Quaresima infatti si apre col gesto dell’imposizione della cenere sul capo che sottolinea la dimensione umana di precarietà e dipendenza. Abramo che dice: “Vedi come ardisco di parlare, io che sono polvere e cenere” (Gen 18,27) non parla  solamente di sé, ma afferma una verità sulla natura di tutto il genere umano.

Noi ordinariamente rifiutiamo questa coscienza, preferendo considerare invece la forza rassicurante che viene da una idea falsa di sé. La Quaresima viene per questo, ogni anno, a riproporci in modo provvidenziale la nostra realtà di precarietà, e lo fa non per schiacciarci nell’impotenza davanti agli eventi e alle situazioni della vita, tutt’altro, per darci il punto di partenza sul quale costruire la nostra vera forza che è affidarci a Dio. Abramo infatti nel brano di Gen 18 parte proprio dalla coscienza di essere “polvere e cenere” per esercitare la sua franchezza insistente di fronte a Dio e mettersi a contrattare con lui fino ad obbligarlo a cambiare idea. E ci riesce! Abramo è così forte da riuscire a convincere Dio di modificare la sua decisione per ben sei volte, ma non perché gli si contrappone con arroganza, ma proprio perché parte dall’ammissione della propria condizione di debolezza per affidarsi alla forza dell’amore misericordioso di Dio.

Ecco allora il perché del nostro incontro di oggi: guardare il volto di questi nostri fratelli più fragili con gli occhi della Scrittura ci aiuta a contemplare una dimensione che è anche la nostra, pure se la sfuggiamo.

Anche noi siamo precari e deboli, esposti alle tempeste della vita, senza certezze di futuro né garanzie nel presente, dipendenti dagli altri, proprio come chi vive per strada, senza casa. La differenza è che noi, fidando nel nostro benessere materiale, possiamo permetterci di rifiutare questa nostra dimensione costitutiva e ignorarla come qualcosa di accantonabile. Ma a cosa serve nasconderlo? La facciata di finzione è posticcia e spesso lascia vedere attraverso gli squarci che la vita gli provoca la verità che gli sta dietro.

Partiamo allora oggi per questa nostra riflessione da una domanda: non vale forse la pena guardare in faccia la nostra realtà di “cenere”, per divenire, come Abramo, forti di una forza che non inganna e non tradisce, come avviene per le altre forze di questo mondo?



(Relazione Prof.ssa Donatella Scaiola)



Il nostro atteggiamento davanti ai senza casa

I poveri, e soprattutto i senza casa, suscitano timore in chi li incontra. Sono giudicati una presenza fastidiosa, per la loro insistenza nel chiedere aiuto, oppure addirittura offensiva per il decoro urbano. Li si vede come un corpo estraneo e minaccioso dell’ordine “normale” del nostro tessuto sociale, e per questo li si evita, cambiando strada. Questo, come accennavo prima, avviene perché rifuggiamo in essi l’immagine che ci richiama la nostra vera natura che ci fa paura.

Oppure, in chi li accosta, sorge il fastidio perché non sempre aderiscono ai nostri schemi interpretativi e ai valori condivisi dalla società, o, se proviamo ad aiutarli, non otteniamo i risultati che vorremmo, o che sarebbe logico aspettarsi, e ci sentiamo delusi e frustrati, scoraggiati e con un senso di inutilità di qualunque iniziativa. È facile allora giudicarli non meritevoli di aiuto, responsabili della loro condizione, refrattari ai buoni consigli, addirittura compiaciuti del loro modo di essere provocatoriamente devianti dalle buone abitudini del vivere ordinario.

Sono tutte e tre (la paura, la delusione e il giudizio) reazioni naturali, che ci vengono istintive, ma la Scrittura ci chiede di uscire da questa istintività naturale, e la Quaresima è innanzitutto un itinerario di esodo dal proprio presente modo di vivere e di essere, verso la liberazione di una nuova vita.

La Scrittura ci indica un cammino, ma non nel senso che ha le soluzioni concrete ai mille problemi dei senza dimora o la formula per esorcizzare paure, delusioni e diffidenze. No, in maniera più semplice, ma anche più efficace, la Scrittura rende possibile e anzi bello specchiarci nel volto dei nostri amici senza casa perché ci dona la capacità di vedere oltre la superfice, di andare in profondità e scoprire la realtà ulteriore che si nasconde dietro un’apparenza a volte scambiata per l’essenza. Infatti dal Vangelo impariamo che nessuno può essere definito solo dal cumulo di problematicità delle quali è sovraccaricato, ma che dietro di esso si nasconde il volto di un uomo trasfigurabile dall’amore. È l’esperienza di Gesù che incontra ogni sorta di peccatori, malati e indemoniati, ma non si limita a definirli, a fare una sorta di diagnosi patologica e sociologica, piuttosto instaura un rapporto, parla, tocca, entra nella vita e la trasforma con la forza irresistibile del suo voler bene concreto.

La Scrittura ci dona uno sguardo che va oltre la caricatura goffa o violenta o arrabbiata o folle nella quale il male deforma i volti con l’insulto della povertà e del disprezzo. Uno sguardo che spiana le rughe, addolcisce lo sguardo, umanizza i comportamenti, placa gli animi e ricostruisce il tessuto umano lacerato dal dolore subito e inferto agli altri.

La Scrittura ci libera dal cuore duro che giudica prima di comprendere e ci dona la dimensione del tempo di Dio che è lento e paziente. Ci dà la perspicacia del suo sguardo che non resta in superfice. Facendo nostro lo sguardo di Dio che va oltre il momento attuale e lo trasfigura riusciamo a non scappare spaventati e sfiduciati, anzi siamo attratti dai volti dei nostri amici resi belli dall’amore ricevuto.

Per questo il nostro riflettere oggi è un atto di amore per i nostri fratelli, ma anche un cammino di liberazione per noi, per scoprire un cammino non solo possibile, ma anche attraente ed entusiasmante che ci fa passare dal rifiuto della nostra realtà di “polvere e cenere” all’accettazione serena di una dimensione non solo vera ma che ci apre alla possibilità di accogliere un amore grande e forte che salva e dona la vita del Risorto. È il cammino di Quaresima: dalle ceneri della nostra debolezza alla resurrezione di una vita che vince la morte e non finisce più.

Stiamo attenti a restare ancorati ai nostri giudizi naturali e alle reazioni istintive, alle quali siamo così affezionati, perché, ancor prima di essere ingiusti verso gli altri, sono una vera e propria condanna per noi stessi: la preclusione ad essere partecipi di quella forza di vita nuova che è la resurrezione, la negazione della nostra fede che si basa sulla certezza che niente e nessuno resta uguale se incontra l’amore di Dio. A noi la scelta.



I senza casa: ospiti dello spazio della gratuità

La liturgia di domenica scorsa, terza di Quaresima, ci ha fatto ascoltare il brano di Giovanni nel quale Gesù scaccia i mercanti dal  tempio (Gv 2,13-25). Il Signore si comporta con una violenza inaudita, non solo verbale, nello scacciare i banchetti dei venditori e dei cambiamonete che avevano occupato il tempio di Gerusalemme.

Come mai tanta irruenza in chi altrove si definisce “mite e umile di cuore” (Mt 11,29)?

Evidentemente Gesù avverte che in quell’abuso si nasconde un pericolo grande per il popolo che è venuto a salvare. Il suo giudizio non è sulla disonestà dei commercianti o sulla illiceità in sé dell’attività mercantile, come una lettura superficiale del brano potrebbe far pensare, ma sul fatto che il mercato aveva occupato il luogo dell’incontro con Dio. Al centro di Gerusalemme infatti il tempio era, ed è tutt’ora, un grande luogo libero, costruito proprio per dare spazio alla presenza di Dio dentro la città. Questo era innanzitutto lo spazio della gratuità dell’amore voluto da Dio al suo popolo con pervicacia e oltre ogni ragionevole motivo, non meritato e, anzi, più volte rifiutato e tradito da Israele, ma sempre reiterato.

Un amore caratterizzato dal non essere in alcun modo dovuto, come ben esprime il salmista: “Signore che cos’è l’uomo perché tu l’abbia a cuore? Il figlio dell’uomo perché te ne dia pensiero?” (Sal 144,3). È un amore non previsto dalle regole sociali o dai vincoli parentali. Per questo Gesù reagisce con tale violenza: lo spazio dell’amore gratuito di Dio e della risposta dell’uomo ad esso, luogo primario dell’incontro con Dio, è occupato dal mercato regolato dalla logica del profitto, della convenienza, del calcolo dei debiti e dei crediti.

Questo è vero anche per noi oggi. Nel nostro mondo globalizzato, nelle nostre città e società, nelle nostre vite personali quanto spazio è rimasto sgombro per l’amore gratuito, non dovuto per vincoli parentali o doveri sociali, immotivato e immeritato? Quanto del nostro tempo è speso per questo voler bene senza chiedere nulla in contraccambio, senza calcolo e convenienza, se tutto il vivere è occupato dalla logica dello scambio mercantile ? Questo ha fatto sì che non ci sia più nemmeno un angolo in cui possa avvenire l’incontro con Dio, ed egli è divenuto straniero, espulso dai luoghi della vita, esattamente come lo sono i senza casa: senza un posto in cui vivere, espulsi dalla famiglia, dalla società, dalla vita normale. Ricreare nella città lo spazio per vivere l’amore gratuito restituisce un posto a Dio ed anche ai senza casa: è l’esperienza umile ma bella di ospitalità della nostra Parrocchia e di tante altre realtà, qui e altrove.

La mercantilizzazione del vivere ha coinvolto anche gli ambiti che erano riservati un tempo all’espressione dell’amore gratuito: la cura dei malati, l’accompagnamento degli anziani, il sostegno ai disabili, ecc… tutto è ormai servizio sociale, istituzionalizzazione commerciale, questione di bilancio e di costi.

Forse solo il mondo dei senza casa è rimasto fuori da questa logica di mercato, perché è molto difficile trarne profitto ed è facile rimetterci.

Il rapporto di amicizia con chi è senza casa è rimasto uno dei pochi spazi liberi per l’amore gratuito, dentro il grande mercato globale e invasivo del mondo di oggi. Nessun vincolo ci obbliga a occuparcene, non sono parenti né vicini, anzi spesso niente ci lega a loro, vengono da mondi culturalmente ed etnicamente estranei a noi. Sì, l’amore per i senza casa ha veramente i tratti che lo avvicinano all’amore di Dio per gli uomini. Questo è per noi una grande possibilità per riaprire e allargare lo spazio dell’incontro con Dio nella nostra vita. È un esercizio, cioè qualcosa che si impara, e la Quaresima è tempo opportuno per farlo e non mancare l’appuntamento col risorto che ci attende a Pasqua!



Come allargare questo spazio? La tenda di Abramo

I capitoli 18 e 19 della Genesi ci offrono una risposta a questa domanda.

Poi il Signore apparve a lui alle Querce di Mamre, mentre egli sedeva all'ingresso della tenda nell'ora più calda del giorno. Egli alzò gli occhi e vide che tre uomini stavano in piedi presso di lui. Appena li vide, corse loro incontro dall'ingresso della tenda e si prostrò fino a terra, dicendo: "Mio signore, se ho trovato grazia ai tuoi occhi, non passare oltre senza fermarti dal tuo servo. Si vada a prendere un po' d'acqua, lavatevi i piedi e accomodatevi sotto l'albero. Andrò a prendere un boccone di pane e ristoratevi; dopo potrete proseguire, perché è ben per questo che voi siete passati dal vostro servo". Quelli dissero: "Fa' pure come hai detto". Allora Abramo andò in fretta nella tenda, da Sara, e disse: "Presto, prendi tre misure di fior di farina, impastala e fanne focacce". All'armento corse lui stesso, Abramo; prese un vitello tenero e buono e lo diede al servo, che si affrettò a prepararlo. Prese panna e latte fresco insieme con il vitello, che aveva preparato, e li porse loro. Così, mentre egli stava in piedi presso di loro sotto l'albero, quelli mangiarono.” (Gen 18,1-8)

Abramo si trova sulla soglia della sua tenda in mezzo al deserto. Non vive nel chiuso di una situazione protetta, ma tiene lo sguardo rivolto all’esterno, anzi “alza lo sguardo”, cioè lo solleva dalla contemplazione compiaciuta o spaventata di sé, e per questo si accorge dei tre viandanti che si avvicinano. Sono gente in situazione precaria: soli nel deserto, alla mercé di chi incontrano, stranieri non protetti. Sono senza casa, ed Abramo va loro incontro per offrire ospitalità. La tenda di Abramo è uno spazio di amore accogliente e gratuito: non ci guadagna, anzi rischia, e ci rimette del suo.

La Genesi dice chiaramente che quei tre sono angeli messaggeri di Dio, ma Abramo li vide come tre semplici anashim, cioè estranei e sconosciuti, eppure proprio in loro, grazie alla gratuità della sua accoglienza, il patriarca incontra Dio. Il loro arrivo è imprevisto ma Abramo non si lascia cogliere di sorpresa. L’incontro con chi è senza casa avviene per strada, nell’imprevedibilità di spazi non protetti e spesso inaccoglienti, e per questo chiede di essere uomini aperti all’incontro e disponibili all’accoglienza. Infatti è Abramo a prendere l’iniziativa, anche senza che quei tre gli chiedano nulla.

Inizia allora una vera e propria liturgia dell’accoglienza: si offre ristoro, cibo, acqua, un tetto sotto cui ripararsi. Al centro c’è il bisogno dell’altro e il desiderio di rispondervi. È il contrario di una logica commerciale.

Poi gli dissero: "Dov'è Sara, tua moglie?". Rispose: "È là nella tenda". Riprese: "Tornerò da te fra un anno a questa data e allora Sara, tua moglie, avrà un figlio". (9-10)

L’accoglienza porta fecondità: ad Abramo e Sara sterili i tre ospiti annunciano la nascita di un figlio. L’incontro accogliente e l’amore gratuito riaprono il futuro, danno prospettive e speranza a chi lo riceve, e ciò può sembrare scontato, ma anche a chi lo offre, e questo invece è straordinario.

Poi Abramo e i tre si avviano verso Sodoma e qui avviene lo svelamento di Dio. Da quella grande città si era levato il grido della sofferenza provocata dall’inaccoglienza. Abramo riconosce in quei tre viandanti la presenza di Dio perché sono solleciti nel difendere il diritto dello straniero, perché Dio ama l’indifeso e protegge chi è minacciato. Inizia allora la famosa contesa verbale di Abramo con Dio stesso per la salvezza della città. È la lotta che avviene ogni volta che cerchiamo a fatica di far emergere il bene anche dove sembra impossibile che si trovi. È una lotta anche con Dio che è la dimensione della preghiera di intercessione per la salvezza altrui. Il racconto che segue (Gen 19) in qualche modo dà ragione ad Abramo: Lot e la sua famiglia accolgono i pellegrini e vengono salvati dalla distruzione alla quale il resto degli abitanti della città si condannano con il loro comportamento violento e inospitale. 

L’icona di Abramo a Mamre è quello che la Quaresima oggi ci propone di vivere: preparare l’incontro con Dio nell’amore gratuito e accogliente per riceverlo nel povero.

In conclusione possiamo dire come oggi ci viene proposta una via importante: la liberazione da una condizione di schiavitù del mercantilismo per vivere la libertà dell’amore gratuito. È una prospettiva bella e salvifica per noi e per quanti, accolti con amore, sono come coinvolti nell’abbraccio di Dio.

Partire da chi non ha casa, famiglia e protezione non è allora solo un’opera sociale o un impegno civile, ma ha un profondo significato teologico e religioso.

Un grande vescovo orientale del V secolo, Giovanni Crisostomo diceva: “Vuoi onorare il corpo di Cristo? Ebbene, non tollerare che egli sia ignudo; dopo averlo ornato qui in chiesa con stoffe di seta non permettere che fuori egli muoia di freddo per la nudità. Colui che ha detto «questo è il mio corpo» (Mt 26,26), confermando con la sua parola l’atto che faceva, ha detto anche: «Mi avete visto soffrire la fame e non mi avete dato da mangiare» e quanto non avete fatto a uno dei più piccoli tra questi, neppure a me l’avete fatto (Mt 25,42-45). Il corpo di Cristo che sta sull’altare non ha bisogno di mantelli, ma di anime pure; mentre quello che sta fuori ha bisogno di molta cura. Impariamo quindi a pensare e a comportarci degnamente verso così grandi misteri e a onorare Cristo come egli vuol essere onorato. … Così anche voi onoratelo nella maniera che egli stesso ha comandato, impiegando cioè le vostre ricchezze a favore dei poveri. Dio non ha bisogno di vasi d’oro, ma di anime d’oro” (Giovanni Crisostomo, Commento a Matteo, 50, 2-ss).

Eucarestia e amore per i poveri, tavola del sacrificio eucaristico e tavola della carità vissuta sono due realtà che si illuminano a vicenda e che sussistono solo sorrette l’una dall’altra.

Testi utili


Esodo 22,20

Non molesterai il forestiero né lo opprimerai, perché voi siete stati forestieri in terra d'Egitto.”



Levitico 19,33-34

“Quando un forestiero dimorerà presso di voi nella vostra terra, non lo opprimerete. Il forestiero dimorante fra voi lo tratterete come colui che è nato fra voi; tu l'amerai come te stesso, perché anche voi siete stati forestieri in terra d'Egitto. Io sono il Signore, vostro Dio.”



Deuteronomio 10,17-19

perché il Signore, vostro Dio, è il Dio degli dei, il Signore dei signori, il Dio grande, forte e terribile, che non usa parzialità e non accetta regali, rende giustizia all'orfano e alla vedova, ama il forestiero e gli dà pane e vestito. Amate dunque il forestiero, perché anche voi foste forestieri nella terra d'Egitto.



Deuteronomio 24,17-18

Non lederai il diritto dello straniero e dell'orfano e non prenderai in pegno la veste della vedova. Ricordati che sei stato schiavo in Egitto e che di là ti ha liberato il Signore, tuo Dio; perciò ti comando di fare questo.



Luca 9,57-58

Mentre camminavano per la strada, un tale gli disse: "Ti seguirò dovunque tu vada".

E Gesù gli rispose: "Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell'uomo non ha dove posare il capo".



Matteo 8,18-20

Vedendo la folla attorno a sé, Gesù ordinò di passare all'altra riva. Allora uno scriba si avvicinò e gli disse: "Maestro, ti seguirò dovunque tu vada". Gli rispose Gesù: "Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell'uomo non ha dove posare il capo".



Matteo 25,31-46

Quando il Figlio dell'uomo verrà nella sua gloria, e tutti gli angeli con lui, siederà sul trono della sua gloria. Davanti a lui verranno radunati tutti i popoli. Egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dalle capre, e porrà le pecore alla sua destra e le capre alla sinistra. Allora il re dirà a quelli che saranno alla sua destra: "Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo, perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi". Allora i giusti gli risponderanno: "Signore, quando ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, o assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando mai ti abbiamo visto straniero e ti abbiamo accolto, o nudo e ti abbiamo vestito? Quando mai ti abbiamo visto malato o in carcere e siamo venuti a visitarti?". E il re risponderà loro: "In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me". Poi dirà anche a quelli che saranno alla sinistra: "Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli, perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e non mi avete dato da bere, ero straniero e non mi avete accolto, nudo e non mi avete vestito, malato e in carcere e non mi avete visitato". Anch'essi allora risponderanno: "Signore, quando ti abbiamo visto affamato o assetato o straniero o nudo o malato o in carcere, e non ti abbiamo servito?" Allora egli risponderà loro: "In verità io vi dico: tutto quello che non avete fatto a uno solo di questi più piccoli, non l'avete fatto a me". E se ne andranno: questi al supplizio eterno, i giusti invece alla vita eterna".


 “Tu non dai del tuo al povero, ma gli restituisci il suo; infatti tu solo usi la proprietà comune che è stata data a tutti! La terra è di tutti non sol­tanto dei ricchi, ma sono in minor numero quelli che la usano di quelli che non la usano. Dunque tu restituisci il dovuto, non elargisci il non dovuto.” (Ambrogio)

“Chi è il ladro? Colui che porta via le cose degli altri. Non sei un ladro tu, che conservi come tua proprietà i beni che hai ricevuto perché fossero distribuiti a tutti? Chi spoglia qualcuno dei suoi vestiti si chiama ladro. E chi non veste l’ignudo, quando può farlo, merita forse altro nome? Il pane che tieni per te è dell’affamato, il mantello che custodisci nel guardaroba è dell’ignudo, le scarpe che ammuffiscono in casa tua sono dello scalzo, l’argento che conservi sotto terra è del povero. Così tu commetti altrettan­ta ingiustizia quanti sono i poveri che avresti potuto aiutare.” (Basilio Magno)






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