Baruc 2, 11-32
Ora, Signore, Dio d'Israele, che hai
fatto uscire il tuo popolo dall'Egitto con mano forte, con segni e prodigi, con
grande potenza e braccio possente e ti sei fatto un nome, qual è oggi, noi
abbiamo peccato, siamo stati empi, siamo stati ingiusti, Signore, nostro Dio,
verso tutti i tuoi comandamenti. Allontana da noi la tua collera, perché siamo
rimasti pochi in mezzo alle nazioni fra le quali tu ci hai dispersi. Ascolta,
Signore, la nostra preghiera, la nostra supplica, liberaci per il tuo amore e
facci trovare grazia davanti a coloro che ci hanno deportati, perché tutta la
terra sappia che tu sei il Signore, nostro Dio, e che il tuo nome è stato
invocato su Israele e sulla sua stirpe. Apri, Signore, i tuoi occhi e guarda:
perché non i morti che sono negli inferi, il cui spirito se n'è andato dalle
loro viscere, daranno gloria e giustizia al Signore, ma l'anima colma di
afflizione, chi cammina curvo e spossato, e gli occhi languenti e l'anima
affamata, ti renderanno gloria e giustizia, Signore. … Noi non abbiamo dato
ascolto al tuo invito a servire il re di Babilonia, perciò tu hai eseguito le
parole che avevi detto per mezzo dei tuoi servi, i profeti, e cioè che le ossa
dei nostri re e dei nostri padri sarebbero state rimosse dal loro posto. Ed
eccole abbandonate al calore del giorno e al gelo della notte. Essi sono morti
fra atroci dolori, di fame, di spada e di peste; la casa su cui è stato
invocato il tuo nome, tu l'hai ridotta nello stato in cui oggi si trova, per la
malvagità della casa d'Israele e di Giuda. Tuttavia tu hai agito verso di noi,
Signore, nostro Dio, secondo tutta la tua bontà e secondo tutta la tua grande
misericordia, come avevi detto per mezzo del tuo servo
Mosè, quando gli ordinasti di scrivere la tua legge davanti ai figli d'Israele,
dicendo: "Se voi non darete ascolto alla mia voce, certo, questa
moltitudine grande e numerosa sarà resa piccola tra le nazioni fra le quali io
la disperderò; poiché io so che non mi ascolteranno, perché è un popolo di dura
cervìce. Però nella terra del loro esilio rientreranno in se stessi e
riconosceranno che io sono il Signore, loro Dio. Darò loro un cuore e orecchi
che ascoltino; nella terra del loro esilio mi loderanno e si ricorderanno del
mio nome”.
Commento
Cari fratelli e care sorelle, in questo tempo di Quaresima
camminiamo in compagnia della Scrittura che ci guida a riflettere su di noi e
su cosa vogliamo fare della nostra vita. Non è inutile fermarsi a riflettere,
come facciamo abitualmente nel nostro appuntamento di preghiera. Molti infatti
ritengono che sia più importante agire, darsi da fare, essere impegnati e la
sosta in compagnia della Scrittura sembra loro tempo perso. Ma quante ore ogni giorno
perdiamo senza problemi in cose inutili! Ma la compagnia del Signore che parla ci
crea imbarazzo, fastidio, perché mette a nudo alcuni aspetti della nostra vita
che non vogliamo riconoscere o ci invita ad assumere atteggiamenti e modi di
fare che non siamo disposti ad accogliere.
In modo particolare oggi la Parola del profeta Baruc ci
suggerisce, attraverso l’esperienza del popolo di Israele, il cammino del
ritorno a Dio. La vita infatti facilmente ci porta ad allontanarci ciascuno
sulla propria strada. Pensieri, recriminazioni, l’orgoglio, un senso altro di
se stessi ci fanno infatti spesso ritenere che non ci serve di restare fedeli
alla strada che il Signore traccia e che abbiamo le capacità e le risorse per
camminare per conto nostro.
È quando rifiutiamo di lottare per plasmare la nostra umanità
scontrosa o antipatica perché possa incontrare con simpatia il fratello e
vivere con gioia l’accoglienza a chi ci si fa incontro.
Oppure è la durezza di cuore che si ammanta di senso pratico,
realismo per cui l’indifferenza e la mancanza di pietà si giustificano come
atteggiamenti di chi la sa lunga.
A volte ci riteniamo non all’altezza, come se dovesse essere
sempre qualcun altro a fare, a dire, a prendere l’iniziativa e noi siamo sempre
giustificati per la nostra poca attenzione e il nostro poco tenerci.
Insomma spesso i nostri passi si incamminano in strade che ci
facciamo da soli scegliendo alla luce della sapienza del mondo che ci troviamo
naturalmente dentro. Ma dove conducono questi cammini? “siamo rimasti pochi in mezzo alle nazioni fra le
quali tu ci hai dispersi”dice Baruc. Sì, ci siamo dispersi ciascuno seguendo il
proprio cammino!
Ma Israele ascolta il grido della
voce di Dio che si fa strada nei cuori pentiti e si rivolge a lui con animo
umile e pentito: “noi abbiamo peccato,
siamo stati empi, siamo stati ingiusti, Signore, nostro Dio, verso tutti i tuoi
comandamenti. Allontana da noi la tua collera, ... Ascolta, Signore, la nostra
preghiera, la nostra supplica, liberaci per il tuo amore e facci trovare grazia
davanti a coloro che ci hanno deportati”. È un grido accorato di chi si
rende conto che il cammino del seguire se stessi ci allontana da Dio e dai
fratelli e mette in pericolo il nostro futuro.
È la domanda della Quaresima: non
posso giocare con la mia vita, è troppo importante per affidarne il destino al
caso del mio istinto naturale, al capriccio del mio carattere, o all’indurimento
del cuore. All’uomo che si pone con sincerità questa domanda la Quaresima
insegna l’atteggiamento giusto: “l'anima
colma di afflizione, chi cammina curvo e spossato, e gli occhi languenti e
l'anima affamata, ti renderanno gloria e giustizia, Signore.”
È l’afflizione di chi si fa colpire
dal dolore altrui e non indurisce il cuore chiudendolo alle domande di chi è
nel bisogno.
È l’umiltà di chi non sta davanti a Dio
con l’atteggiamento dell’orgoglioso, pieno di sé e appagato dalla sapienza
accumulata, ma sa abbassarsi per ricolmarsi della sapienza nuova e vera del Vangelo.
È la visione di chi ha occhi
desiderosi di contemplare la bellezza della vita del Vangelo, la realizzazione
di quel sogno che la Parola di Dio ci fa sperare di umanità pacifiche e miti,
di cuori inteneriti e sensibili, di mani generose e pronte ad aiutare senza
giudicare e condannare.
È la fame di bene per gli altri, di
pace per chi è nel conflitto, di misericordia per sciogliere i grumi di peccato
nei petti di chi fa il male, di giustizia, come ricordano le Beatitudini, di
vita eterna e non effimera e inutile.
Sono gli atteggiamenti che la
Quaresima ci invita a fare nostri, facendoci ascoltatori docili della Parola di
Dio. Così saremo in grado di contemplare la gloria di Dio che è la Resurrezione
del Signore.
Fratelli e sorelle, se non accettiamo
di incamminarci in questo tempo di Quaresima sulla via del cambiamento della
vita e del pentimento non giungeremo mai a incontrare Cristo Risorto. Ci sembrerà
un fantasma, come agli apostoli sul mar di Galilea, o un contadino qualunque,
come a Maddalena nell’alba della Resurrezione.
Viviamo stranieri a noi stessi in questo tempo di Quaresima,
viviamo come esiliati dalla terra del nostro solito modo di essere e di fare, e
riscopriremo la bellezza di affidarci ad una sapienza non nostra ma che Dio stesso
ci dona dalla sua bocca. Dice Baruc “nella terra
del loro esilio rientreranno in se stessi e riconosceranno che io sono il
Signore, loro Dio. Darò loro un cuore e orecchi che ascoltino; nella terra del
loro esilio mi loderanno e si ricorderanno del mio nome”.
Sì, nella terra del nostro esilio da noi stessi rientriamo in
noi stessi, riconosciamo la vacuità dei nostri cammini dispersi verso il nulla,
riconosciamo la signoria di un Dio buono che ci guida e incammina verso la vita
piena e avremo un cuore e orecchi capaci di ascoltare la Parola e viverla
salvando se stessi e tanti attorno a noi.
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