Os 11, 1-9
Quando Israele era fanciullo,
io l'ho amato
e dall'Egitto ho chiamato mio figlio.
Ma più li chiamavo,
più si allontanavano da me;io l'ho amato
e dall'Egitto ho chiamato mio figlio.
Ma più li chiamavo,
immolavano vittime ai Baal,
agli idoli bruciavano incensi.
A Èfraim io insegnavo a camminare
tenendolo per mano,
ma essi non compresero
che avevo cura di loro.
Io li traevo con legami di bontà,
con vincoli d'amore,
ero per loro
come chi solleva un bimbo alla sua guancia,
mi chinavo su di lui
per dargli da mangiare.
Non ritornerà al paese d'Egitto,
ma Assur sarà il suo re,
perché non hanno voluto convertirsi.
La spada farà strage nelle loro città,
spaccherà la spranga di difesa,
l'annienterà al di là dei loro progetti.
Il mio popolo è duro a convertirsi:
chiamato a guardare in alto,
nessuno sa sollevare lo sguardo.
Come potrei abbandonarti, Èfraim,
come consegnarti ad altri, Israele?
Come potrei trattarti al pari di Adma,
ridurti allo stato di Seboìm?
Il mio cuore si commuove dentro di me,
il mio intimo freme di compassione.
Non darò sfogo all'ardore della mia ira,
non tornerò a distruggere Èfraim,
perché sono Dio e non uomo;
sono il Santo in mezzo a te
e non verrò da te nella mia ira.
Le parole del Signore sembrano quasi il lamento della madre
sulla tomba del figlio. Sì Israele ha scelto per gli idoli morti, legno e
metallo a cui si affida ricevendone, in ricambio, la morte spirituale e la
schiavitù. Il culto degli idoli li porta infatti a soccombere sotto il dominio
di un nuovo padrone: Dio li aveva liberati dall’Egitto, ma ora si gettano sotto
la signoria di Assur: “Non ritornerà al
Pese di Egitto, ma Assur sarà il suo re, perché non hanno voluto convertirsi.
La spada farà strage nelle loro città, spaccherà la spranga di difesa, l’annienterà
al di là dei loro progetti”.
Cari fratelli e care sorelle, all’inizio di un nuovo anno in
compagnia del Signore, della sua Parola appassionata e materna, egli si rivolge
a noi con espressioni di tenerezza e affetto. Ci ricorda l’amore con cui ci ama
e la sollecitudine con cui ci assiste amorevolmente. Eppure, quanto è facile
preferire al suo amore il culto agli idoli? Essi sono docili, si piegano alle
nostre esigenze, e ci rendono docili schiavi affezionati alle catene e insensibile
al pericolo di morirne. Pensiamo all’idolo delle abitudini a cui sacrifichiamo
volentieri la nostra libertà: ho sempre fatto così, è normale pensare questo,
mi viene spontaneo essere in questo modo. L’abitudine è un idolo affascinante e
dall’aspetto accattivante. Ci attira perché sembra inoffensivo, anzi quasi
protettivo nella sua bonaria semplicità. Eppure esso mangia la nostra vita,
sottraendoci la libertà di scegliere secondo il Vangelo e non secondo il suo
volere. È un certo modo di pensare se stessi, i propri rapporti con gli altri,
con i familiari, con le cose, di reagire istintivamente, ecc…
Ma poi c’è l’idolo del proprio benessere psico-fisico, a cui
sacrifichiamo energie, forze e risorse. Per sentirsi rassicurati, voluti bene,
ammirati, approvati, anche un po’ invidiati si asseconda quello che crediamo ci
si aspetti da noi, si evita di apparire diversi o strani, ci si sforza di
conformarsi al modo di pensare e di vivere di tutti.
Eppure questi idoli conducono alla schiavitù e alla morte
della nostra interiorità, luogo dell’incontro con Dio e con i fratelli. Gli
idoli ci assecondano, ci seguono nei nostri capricci e umori, rassicuranti e
docili.
Davanti a questa realtà il Signore invita a sollevare lo
sguardo da sé: “Il mio popolo è duro a convertirsi: chiamato a guadare in alto,
nessuno sa sollevare lo sguardo”. Gli idoli ci rendono egocentrici perché in
ultima analisi il re degli idoli e quello a cui tutti fanno riferimento è il
mio io. Di lui mi fido, di lui mi compiaccio, a lui guardo sempre e rivolgo
attenzioni e cure. Lui difendo da tutti e tutto, lui cerco di accrescere e
rafforzare.
Dio ci propone di liberarci dalla schiavitù dell’idolo-io
alzando lo sguardo da sé. Sì, se solleviamo lo sguardo incontriamo quello del
fratello che ci strappa dal culto dell’io e rompe le catene dell’egocentrismo.
Incontriamo gli occhi di Dio che non riesce a fare a meno di volerci bene. “Come potrei abbandonarti? … Il mio cuore si
commuove dentro di me, il mio intimo freme di compassione … perché sono Dio e
non uomo.” Dio confessa tutta la debolezza della sua forza d’amore: non
riesce a disprezzarci e ad abbandonarci.
È il mistero di una paternità e maternità divina che oggi,
alla soglia di questo nuovo anno che si apre, vogliamo contemplare come il
mistero che ci salva. Mistero di un amore immeritato, insistente e tenace oltre
ogni ragionevolezza, ma che non sopporta di vederci schiavi degli idoli e
votati alla morte.
Lasciamoci sedurre da un Dio così compassionevole e buono,
stacchiamoci dagli idoli a cui facciamo continuamente riferimento, e ci
troveremo accolti dalle braccia di un padre così affettuoso che non si stanca
di aspettarci.
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