mercoledì 26 settembre 2012

Preghiera del 25 settembre 2012


Os 11, 1-9

Quando Israele era fanciullo,
io l'ho amato
e dall'Egitto ho chiamato mio figlio.
Ma più li chiamavo,
più si allontanavano da me;
immolavano vittime ai Baal,
agli idoli bruciavano incensi.
A Èfraim io insegnavo a camminare
tenendolo per mano,
ma essi non compresero
che avevo cura di loro.
Io li traevo con legami di bontà,
con vincoli d'amore,
ero per loro
come chi solleva un bimbo alla sua guancia,
mi chinavo su di lui
per dargli da mangiare.
Non ritornerà al paese d'Egitto,
ma Assur sarà il suo re,
perché non hanno voluto convertirsi.
La spada farà strage nelle loro città,
spaccherà la spranga di difesa,
l'annienterà al di là dei loro progetti.
Il mio popolo è duro a convertirsi:
chiamato a guardare in alto,
nessuno sa sollevare lo sguardo.
Come potrei abbandonarti, Èfraim,
come consegnarti ad altri, Israele?
Come potrei trattarti al pari di Adma,
ridurti allo stato di Seboìm?
Il mio cuore si commuove dentro di me,
il mio intimo freme di compassione.
Non darò sfogo all'ardore della mia ira,
non tornerò a distruggere Èfraim,
perché sono Dio e non uomo;
sono il Santo in mezzo a te
e non verrò da te nella mia ira.

 È il canto struggente di Dio per il suo popolo. Il Signore si rivolge ad Israele addolorato e tradito dalla sua gente che preferisce il culto degli idoli, piuttosto che l’amicizia con lui. Eppure le prove del suo amore sono state tante:  le ricorda, un po’ per rivendicarle davanti al popolo, un po’ con un senso di nostalgia per un tempo in cui Israele-bambino ancora sentiva bisogno di lui e si attaccava alla sua mano che lo sosteneva e lo nutriva.

Le parole del Signore sembrano quasi il lamento della madre sulla tomba del figlio. Sì Israele ha scelto per gli idoli morti, legno e metallo a cui si affida ricevendone, in ricambio, la morte spirituale e la schiavitù. Il culto degli idoli li porta infatti a soccombere sotto il dominio di un nuovo padrone: Dio li aveva liberati dall’Egitto, ma ora si gettano sotto la signoria di Assur: “Non ritornerà al Pese di Egitto, ma Assur sarà il suo re, perché non hanno voluto convertirsi. La spada farà strage nelle loro città, spaccherà la spranga di difesa, l’annienterà al di là dei loro progetti”.

Cari fratelli e care sorelle, all’inizio di un nuovo anno in compagnia del Signore, della sua Parola appassionata e materna, egli si rivolge a noi con espressioni di tenerezza e affetto. Ci ricorda l’amore con cui ci ama e la sollecitudine con cui ci assiste amorevolmente. Eppure, quanto è facile preferire al suo amore il culto agli idoli? Essi sono docili, si piegano alle nostre esigenze, e ci rendono docili schiavi affezionati alle catene e insensibile al pericolo di morirne. Pensiamo all’idolo delle abitudini a cui sacrifichiamo volentieri la nostra libertà: ho sempre fatto così, è normale pensare questo, mi viene spontaneo essere in questo modo. L’abitudine è un idolo affascinante e dall’aspetto accattivante. Ci attira perché sembra inoffensivo, anzi quasi protettivo nella sua bonaria semplicità. Eppure esso mangia la nostra vita, sottraendoci la libertà di scegliere secondo il Vangelo e non secondo il suo volere. È un certo modo di pensare se stessi, i propri rapporti con gli altri, con i familiari, con le cose, di reagire istintivamente, ecc…

Ma poi c’è l’idolo del proprio benessere psico-fisico, a cui sacrifichiamo energie, forze e risorse. Per sentirsi rassicurati, voluti bene, ammirati, approvati, anche un po’ invidiati si asseconda quello che crediamo ci si aspetti da noi, si evita di apparire diversi o strani, ci si sforza di conformarsi al modo di pensare e di vivere di tutti.

Eppure questi idoli conducono alla schiavitù e alla morte della nostra interiorità, luogo dell’incontro con Dio e con i fratelli. Gli idoli ci assecondano, ci seguono nei nostri capricci e umori, rassicuranti e docili.

Davanti a questa realtà il Signore invita a sollevare lo sguardo da sé: “Il mio popolo è duro a convertirsi: chiamato a guadare in alto, nessuno sa sollevare lo sguardo”. Gli idoli ci rendono egocentrici perché in ultima analisi il re degli idoli e quello a cui tutti fanno riferimento è il mio io. Di lui mi fido, di lui mi compiaccio, a lui guardo sempre e rivolgo attenzioni e cure. Lui difendo da tutti e tutto, lui cerco di accrescere e rafforzare.

Dio ci propone di liberarci dalla schiavitù dell’idolo-io alzando lo sguardo da sé. Sì, se solleviamo lo sguardo incontriamo quello del fratello che ci strappa dal culto dell’io e rompe le catene dell’egocentrismo. Incontriamo gli occhi di Dio che non riesce a fare a meno di volerci bene. “Come potrei abbandonarti? … Il mio cuore si commuove dentro di me, il mio intimo freme di compassione … perché sono Dio e non uomo.” Dio confessa tutta la debolezza della sua forza d’amore: non riesce a disprezzarci e ad abbandonarci.

È il mistero di una paternità e maternità divina che oggi, alla soglia di questo nuovo anno che si apre, vogliamo contemplare come il mistero che ci salva. Mistero di un amore immeritato, insistente e tenace oltre ogni ragionevolezza, ma che non sopporta di vederci schiavi degli idoli e votati alla morte.

Lasciamoci sedurre da un Dio così compassionevole e buono, stacchiamoci dagli idoli a cui facciamo continuamente riferimento, e ci troveremo accolti dalle braccia di un padre così affettuoso che non si stanca di aspettarci.

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