Processione dell’ingresso di Gesù a Gerusalemme: dal vangelo
secondo Giovanni 12,12-16
In quel
tempo, la grande folla che era venuta per la festa, udito che Gesù veniva a
Gerusalemme, prese dei rami di palme e uscì incontro a lui gridando: «Osanna! Benedetto
colui che viene nel nome del Signore, il re d’Israele!». Gesù, trovato un
asinello, vi montò sopra, come sta scritto: «Non temere, figlia di Sion! Ecco,
il tuo re viene, seduto su un puledro d’asina.» I suoi discepoli sul momento
non compresero queste cose; ma, quando Gesù fu glorificato, si ricordarono che
di lui erano state scritte queste cose e che a lui essi le avevano fatte.
Dal libro del profeta Isaia 50,4-7
Il Signore
Dio mi ha dato una lingua da discepolo, perché io sappia indirizzare una parola
allo sfiduciato. Ogni mattina fa attento il mio orecchio perché io ascolti come
i discepoli. Il Signore Dio mi ha aperto l’orecchio e io non ho opposto
resistenza, non mi sono tirato indietro. Ho presentato il mio dorso ai
flagellatori, le mie guance a coloro che mi strappavano la barba; non ho
sottratto la faccia agli insulti e agli sputi. Il Signore Dio mi assiste, per
questo non resto svergognato, per questo rendo la mia faccia dura come pietra,
sapendo di non restare confuso.
Salmo 21 - Mio Dio, mio
Dio, perché mi hai abbandonato?
Si fanno beffe di me quelli che mi vedono,
storcono le labbra, scuotono il capo:
«Si rivolga al Signore; lui lo liberi,
lo porti in salvo, se davvero lo ama!».
Un branco di cani mi circonda,
mi accerchia una banda di malfattori;
hanno scavato le mie mani e i miei piedi.
Posso contare tutte le mie ossa.
Si dividono le mie vesti,
sulla mia tunica gettano la sorte.
Ma tu, Signore, non stare lontano,
mia forza, vieni presto in mio aiuto.
Annuncerò il tuo nome ai miei fratelli, +
ti loderò in mezzo all’assemblea.
Lodate il Signore, voi suoi fedeli,
gli dia gloria tutta la discendenza di Giacobbe,
lo tema tutta la discendenza d’Israele.
Si fanno beffe di me quelli che mi vedono,
storcono le labbra, scuotono il capo:
«Si rivolga al Signore; lui lo liberi,
lo porti in salvo, se davvero lo ama!».
Un branco di cani mi circonda,
mi accerchia una banda di malfattori;
hanno scavato le mie mani e i miei piedi.
Posso contare tutte le mie ossa.
Si dividono le mie vesti,
sulla mia tunica gettano la sorte.
Ma tu, Signore, non stare lontano,
mia forza, vieni presto in mio aiuto.
Annuncerò il tuo nome ai miei fratelli, +
ti loderò in mezzo all’assemblea.
Lodate il Signore, voi suoi fedeli,
gli dia gloria tutta la discendenza di Giacobbe,
lo tema tutta la discendenza d’Israele.
Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Filippesi 2,6-11
Cristo Gesù,
pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l’essere come
Dio, ma svuotò se stesso assumendo una condizione di servo, diventando simile
agli uomini. Dall’aspetto riconosciuto come uomo, umiliò se stesso facendosi
obbediente fino alla morte e a una morte di croce. Per questo Dio lo esaltò e
gli donò il nome che è al di sopra di ogni nome, perché nel nome di Gesù ogni
ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra, e ogni lingua
proclami: «Gesù Cristo è Signore!», a gloria di Dio Padre.
Lode a te o Signore, re di eterna gloria
Per noi Cristo si è fatto obbediente fino
alla morte
e a una morte di croce.
Lode a te o Signore, re di eterna gloria
e a una morte di croce.
Lode a te o Signore, re di eterna gloria
Passione di nostro Signore
Gesù Cristo secondo Luca
Lc 22,14-23,56
Commento
Cari
fratelli e care sorelle, la liturgia di oggi ci guida fra le strade di
Gerusalemme a farci compagni del Signore che entra nella città santa e da essa
uscirà, di lì a pochi giorni, per essere crocefisso fuori. È l’itinerario
paradossale di colui che in un primo momento è accolto dalla folla come un re,
titolo che Gesù accetta come suo e che non rifiuta, anzi. Per tutta la sua vita
Gesù si era proposto come un re, anzi un pastore buono che guidasse il popolo
alla salvezza. Ma appena la folla che lo acclamava si rende conto di quale
signoria è quella di Gesù e che tipo di re esso voglia essere ben presto lo
rifiuta e lo espelle come un rifiuto, degno nemmeno di essere ucciso al suo
interno.
Infatti
nella folla siamo anonimi e ciascuno può essere se stesso senza timore di
doversene assumere la responsabilità. Lo vediamo durante la passione: chi grida
crocifiggilo? Tutta la folla, unanime e violenta nell’accusare un innocente, ma
su chi cade la responsabilità? Su nessuno. Nell’anonimato della folla ci si fa
comodamente trascinare dall’opinione di tutti, senza dover decidere e scegliere,
basta fare come fanno tutti, e ogni difficoltà è risolta, ogni responsabilità
assolta. Per questo la folla rifiuta Gesù, grida a Pilato che lo elimini,
perché non vuol essere il suo gregge, dove ognuno sceglie chi seguire e dove
ognuno ogni giorno vede e decide il cammino che il pastore indica. È molto più
facile essere una folla anonima.
Così
è anche per noi. A noi piace distinguerci, essere originali, emergere. Non ci
piace sentirci aggregati in un popolo. Ci piacere decidere da noi le strade da
percorrere, non seguire come pecore il gregge; ci piace seguire i nostri gusti
e scegliere le nostre priorità, non farcele indicare da un altro; preferiamo
essere conosciuti e stimati per ciò che ci distingue dagli altri, il tratto
originale, piuttosto che per la docilità nel seguire la guida di un altro. Da qui
la difficoltà a prestare attenzione alla Parola di Dio, a farla scendere dentro
di noi, a restarle fedeli per tutta la settimana.
Eppure,
è proprio quando gli apostoli si confondono anch’essi con la folla e si
disperdono dal piccolo gregge degli amici e discepoli di Gesù, cioè durante la
passione, quando si ritrovano da soli e devono fare i contri ognuno per conto
suo con le sfide che la vita pone loro innanzi, è proprio allora che essi fanno
emergere la parte peggiore di sé. Quando il pastore è imprigionato e il gregge
viene disperso ciascuno si nasconde per conto suo, pauroso e dimentico, e
tradisce l’amico che non li ha mai abbandonati. Così è anche per noi: quando
ciascuno avrebbe l’occasione per mostrare quanto vale e quanto preziosi e
brillanti sono i propri talenti, cioè quando siamo posti da soli davanti alle
scelte della vita, è proprio allora che restiamo sgomenti e senza parole,
perché non abbiamo il pastore buono a indicarci la via giusta del bene.
Dicevamo
che il popolo che prima aveva accolto Gesù come un re, poi ad un tratto grida “crocifiggilo”. Perché questo cambiamento
così deciso? Perché Gesù anche da re non smette di proclamare il suo Vangelo, e
lo fa non esercitando il potere forte del re, ma la debolezza del pastore
buono, mite e pieno di amore e di misericordia per il suo gregge. Questo è un
grande scandalo per il popolo. Che se ne fa di un re debole, che si lascia
umiliare, che affida alla forza dell’amore la sua signoria sulla terra? Il
popolo ha bisogno di un re forte, potente della forza delle armi, arrogante del
potere di schiacciare e opprimere gli altri. È questa la forza che gli uomini rispettano
e desiderano. Chi rispetta il potere di amare gratuitamente e fino in fondo? Chi
ammira la debolezza di chi si affida alla riconoscenza del fratello per il bene
ricevuto?
Per
questo la folla di Gerusalemme, e ogni folla nella storia, anche oggi, rifiuta
Gesù: è un re, un pastore, una guida che non vale niente, anzi anche
pericolosa, da eliminare.
Cari
fratelli e care sorelle, noi purtroppo ci siamo abituati all’immagine del crocefisso,
ma esso deve restare anche per noi motivo di grande scandalo, come dice S:
Paolo, perché è il vero volto di Dio, che pur di amarci fino alla fine, accetta
di presentarcisi con il volto dell’umiliato, dello sconfitto, del perdente.
Diciamo:
dove pensa di portarci Gesù se accettiamo lui come re? Uno che non sa nemmeno
salvare se stesso dove pretende di condurci? Che ce ne facciamo di un Dio
sconfitto e umiliato sulla croce, noi abbiamo bisogno di uno che ci faccia
trovare la nostra strada di sicurezza e salvezza? Sono le domande della
Settimana Santa, le domande dei dodici che fuggono e si disperdono, la domanda
di Pietro che cerca calore ad un fuoco che non lo può scaldare e rimane freddo
davanti a Gesù in tribunale e lo rinnega per tre volte.
Papa
Francesco ha bene espresso questo rifiuto spontaneo che ci viene: “Lo stesso Pietro che ha confessato Gesù
Cristo, gli dice: Tu sei Cristo, il Figlio del Dio vivo. Io ti seguo, ma non
parliamo di Croce. Questo non c’entra. Ti seguo con altre possibilità, senza la
Croce.” (omelia della prima messa con i cardinali).
Il
crocefisso ci impone una scelta: a quale vangelo, cioè a quale promessa di
salvezza, vogliamo affidarci? Il mondo ha da proporci un suo vangelo più sicuro,
che possiamo riassumere nell’invito beffardo e spietato che rivolgono i
passanti sprezzanti al Signore crocifisso e agonizzante: “Il popolo stava a vedere; i capi invece lo deridevano dicendo: “Ha
salvato altri! Salvi se stesso, se è lui il Cristo di Dio, l'eletto”. Anche i
soldati lo deridevano, gli si accostavano per porgergli dell'aceto e dicevano:
“Se tu sei il re dei Giudei, salva te stesso”. (Lc 23,35-37)
“Pensa a te stesso!” è la salvezza che il mondo propone a noi e a tutti
gli uomini, “preoccupati della tua
salvezza, mettiti al sicuro, evita di finire male, occupati di te stesso!”
sono gli articoli di quel “vangelo”
del mondo che offre la salvezza all’uomo moderno illudendolo che ci si può salvare da sé, evitando il
contagio del male e chiudendosi in un cupo individualismo egoista. Eppure sono
pensieri così comuni, a cui quasi nemmeno facciamo più caso, perché si
ammantano di buon senso e di realismo, e per questo tante volte, purtroppo, li
facciamo anche nostri.
A
questo “vangelo” del mondo Gesù però
non cede, e non scende dalla croce. Non salva se stesso perché egli è venuto al
mondo per salvare gli uomini: “Per noi
uomini e per la nostra salvezza discese dal cielo” affermiamo nel Credo. Al
“vangelo” del mondo egli contrappone
il suo Vangelo, vero annuncio di salvezza, che, all’opposto, individua la
propria salvezza nell’offrire tutto se stesso agli altri. Sì, è l’amore
gratuito, pacifico e mite di Dio, che tutto perdona e tutto dona e che ha vinto
la morte con la risurrezione. La croce allora non è la sconfitta di Dio e
dell’uomo, ma la vittoria definitiva perché ci dice che per amore si può offrire
anche la cosa più preziosa che abbiamo, la vita. La croce non è la fine di una
vita e di una storia, ma la manifestazione della forza del Vangelo che
trasforma in profondità la storia; non è vittoria della paura e del silenzio,
ma è l’annuncio gridato sui tetti delle case che l’uomo può voler bene con lo
stesso amore di Dio, molto più forte della sofferenza e della morte.
L’Apostolo
Paolo afferma che “ciò che è debolezza di
Dio è più forte degli uomini” (1Cor 1,25): la debolezza della croce che non
contrappone la forza alla forza del male, ma la mitezza e l’amore è la più
grande vittoria sul mondo che sia possibile testimoniare e l’unica vera
salvezza di ciascuno.
Il
mistero della croce, cari fratelli e care sorelle, ci rivela pienamente la
verità più profonda della nostra salvezza, e cioè che per noi cristiani la
felicità passa attraverso la croce. Il mondo ci dice che per essere felici
bisogna mettere da parte la croce, evitarla, perché soffrire è il contrario
della gioia. Ci suggerisce di girarci dall’altra parte davanti alle sofferenze
del mondo, di sfuggire il pericolo di soffrire, di tradire pur di non restare
schiacciati dal male. Ma il Vangelo ci insegna invece che la vita vera, piena e
felice viene attraverso il passaggio per la croce, ed è condividere con Gesù la
passione per condividere anche la sua resurrezione.
Ma
cosa vuol dire passare per la croce? Una certa spiegazione tradizionale vuole
farci credere che la croce sono i nostri dolori personali, le mie sofferenze.
In parte è anche vero, ma la croce di Gesù non è un suo fatto personale. La
croce Gesù non l’ha subita per sue colpe o per un caso del destino. La croce
Gesù l’ha subita perché non h amai rinunciato a fare il bene della gente. Gesù
ha sopportato una croce che non è sua, ma perché ha voluto liberare tutti gli
uomini dalla croce del dolore che veniva imposta dal male sui tanti sofferenti.
Allora la croce che dobbiamo prendere su noi, a imitazione di Cristo e per
godere della trasfigurazione della sua resurrezione, è il dolore degli altri. È
questo il messaggio della passione, morte e resurrezione di Cristo: non fuggire
dolore altrui, anzi fattene carico, come di una croce pesante, appesantita
anche da fatto che non è la tua e non è giusta, perché attraverso quella croce
riuscirai a vedere la gloria della resurrezione e troverai la tua vita
trasfigurata e resa felice e piena di senso e valore.
In
questi giorni di passione e morte allora, non disperdiamoci come i discepoli ma
restiamo uniti a lui, seguendolo nel cammino scandaloso della croce, rischiando
di farci riconoscere per suoi amici, anche quando questo è scomodo e rischioso
per i nostri interessi personali, rinunciando a tagliare i legami con lui
proclamandoci figli e discepoli di noi stessi, imitandolo facendoci carico del
peso che grava sulle spalle deboli dei tanti poveri sconfitti della terra. Come
umili pecore del suo gregge, non fuggiamo la croce, piuttosto seguiamo il
pastore che attraverso la croce ci conduce alla salvezza della resurrezione.
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