Mc 4,35-41
In quel medesimo giorno, venuta la
sera, disse loro: "Passiamo all'altra riva". E, congedata la folla, lo presero con
sé, così com'era, nella barca. C'erano anche altre barche con lui. Ci fu una
grande tempesta di vento e le onde si rovesciavano nella barca, tanto che ormai
era piena. Egli se ne stava a poppa, sul cuscino, e dormiva. Allora lo
svegliarono e gli dissero: "Maestro, non t'importa che siamo
perduti?". Si destò, minacciò il vento e disse al mare: "Taci,
calmati!". Il vento cessò e ci fu grande bonaccia. Poi disse loro:
"Perché avete paura? Non avete ancora fede?". E furono presi da
grande timore e si dicevano l'un l'altro: "Chi è dunque costui, che anche
il vento e il mare gli obbediscono?".
Commento
Cari fratelli e care sorelle, Marco ci racconta di questo
episodio della vita di Gesù con i suoi discepoli, quando una tempesta li colse
all’improvviso, mentre erano in mezzo al Lago di Tiberiade. Lo facciamo oggi, a
pochissimi giorni dal terribile uragano che così tante vittime ha causato nelle
Filippine. Una forte tempesta che ha spazzato intere città e inghiottito le
vite di così tanti innocenti. Le onde sovrastavano la barca dove Gesù si
trovava con i discepoli.
Davanti a questo pericolo i discepoli sono terrorizzati e
aggrediscono Gesù, dicendo: “non t'importa che siamo perduti?” c’è in quell’esclamazione
un’accusa al Signore. Accusa di indifferenza, freddezza nei loro confronti,
distanza dai drammi che stanno vivendo. A volte è anche il nostro
atteggiamento: davanti alle tempeste della vita accusiamo Gesù di essere
indifferente a noi. Ma l’assurdità di quell’accusa è resa ancora più evidente
dal fatto che Gesù è lì su quella barca con loro! Cioè egli è talmente vicino a
loro che ne condivide la stessa situazione di pericolo. Gesù non è indifferente
ai drammi degli uomini, tanto che è sceso dai cieli per assumere la stessa
carne soggetta al dolore, alla fame, alla sete e ad ogni tipo di sofferenza.
Gesù è nella stessa nostra barca, affronta con noi le stesse tempeste, ma la
differenza è che lui non strepita e non accusa, ma si affida alla forza della
preghiera. Nel brano parallelo di Matteo si dice che “si alzò” sulla barca.
Nonostante la tempesta Gesù riesce a stare in piedi nell’atteggiamento della
preghiera. Anche noi possiamo alzarci, senza stare a recriminare e a maledire,
per rivolgere con fiducia la nostra preghiera a Dio.
La parola di Gesù calma la tempesta. Basta affidarsi alla sua
parola perché la tempesta perda il suo potere di schiacciare e annientare gli
uomini.
Anche noi allora questa sera difronte al dolore e alla morte
che hanno sconvolto un Paese a noi geograficamente lontano, ma che sentiamo
stasera così vicino proprio per la sua sofferenza, ci alziamo nell’atteggiamento
della preghiera, fiduciosi nella parola che toglie la paura perché dona
speranza e certezza nella misericordia di Dio.
Preghiamo per le vittime dell’uragano, per quanti sono morti,
per chi è ferito, disperso, isolato. Per i più deboli, i bambini e gli anziani,
per chi ha perso i cari. Signore calma la tempesta dei cuori, dona salvezza e
fa che si rialzi chi oggi è prostrato e abbattuto nel dolore.
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