sabato 9 novembre 2013

XXXII domenica del tempoordinario - 10 novembre 2013


 
Dal secondo libro dei Maccabei 7, 1-2. 9-14

In quei giorni, ci fu il caso di sette fratelli che, presi insieme alla loro madre, furono costretti dal re, a forza di flagelli e nerbate, a cibarsi di carni suine proibite. Uno di loro, facendosi interprete di tutti, disse: «Che cosa cerchi o vuoi sapere da noi? Siamo pronti a morire piuttosto che trasgredire le leggi dei padri». E il secondo, giunto all’ultimo respiro, disse: «Tu, o scellerato, ci elimini dalla vita presente, ma il re dell’universo, dopo che saremo morti per le sue leggi, ci risusciterà a vita nuova ed eterna». Dopo costui fu torturato il terzo, che alla loro richiesta mise fuori prontamente la lingua e stese con coraggio le mani, dicendo dignitosamente: «Dal Cielo ho queste membra e per le sue leggi le disprezzo, perché da lui spero di riaverle di nuovo». Lo stesso re e i suoi dignitari rimasero colpiti dalla fierezza di questo giovane, che non teneva in nessun conto le torture. Fatto morire anche questo, si misero a straziare il quarto con gli stessi tormenti. Ridotto in fin di vita, egli diceva: «È preferibile morire per mano degli uomini, quando da Dio si ha la speranza di essere da lui di nuovo risuscitati; ma per te non ci sarà davvero risurrezione per la vita». 

 

Salmo 16 - Ci sazieremo, Signore, contemplando il tuo volto.

Ascolta, Signore, la mia giusta causa,
sii attento al mio grido.
Porgi l’orecchio alla mia preghiera:
sulle mie labbra non c’è inganno.

Tieni saldi i miei passi sulle tue vie
e i miei piedi non vacilleranno.
Io t’invoco poiché tu mi rispondi, o Dio;
tendi a me l’orecchio, ascolta le mie parole.

Custodiscimi come pupilla degli occhi,
all’ombra delle tue ali nascondimi,
io nella giustizia contemplerò il tuo volto,
al risveglio mi sazierò della tua immagine. 


Dalla seconda lettera di san Paolo apostolo ai Tessalonicesi 2, 16 - 3, 5

Fratelli, lo stesso Signore nostro Gesù Cristo e Dio, Padre nostro, che ci ha amati e ci ha dato, per sua grazia, una consolazione eterna e una buona speranza, conforti i vostri cuori e li confermi in ogni opera e parola di bene. Per il resto, fratelli, pregate per noi, perché la parola del Signore corra e sia glorificata, come lo è anche tra voi, e veniamo liberati dagli uomini corrotti e malvagi. La fede infatti non è di tutti. Ma il Signore è fedele: egli vi confermerà e vi custodirà dal Maligno. Riguardo a voi, abbiamo questa fiducia nel Signore: che quanto noi vi ordiniamo già lo facciate e continuerete a farlo. Il Signore guidi i vostri cuori all’amore di Dio e alla pazienza di Cristo.

 

Alleluia, alleluia alleluia.
Gesù Cristo è il primogenito dei morti:
a lui la gloria e la potenza nei secoli dei secoli.
Alleluia, alleluia alleluia.


Dal vangelo secondo Luca 20, 27-38

In quel tempo, si avvicinarono a Gesù alcuni sadducei – i quali dicono che non c’è risurrezione – e gli posero questa domanda: «Maestro, Mosè ci ha prescritto: “Se muore il fratello di qualcuno che ha moglie, ma è senza figli, suo fratello prenda la moglie e dia una discendenza al proprio fratello”. C’erano dunque sette fratelli: il primo, dopo aver preso moglie, morì senza figli. Allora la prese il secondo e poi il terzo e così tutti e sette morirono senza lasciare figli. Da ultimo morì anche la donna. La donna dunque, alla risurrezione, di chi sarà moglie? Poiché tutti e sette l’hanno avuta in moglie». Gesù rispose loro: «I figli di questo mondo prendono moglie e prendono marito; ma quelli che sono giudicati degni della vita futura e della risurrezione dai morti, non prendono né moglie né marito: infatti non possono più morire, perché sono uguali agli angeli e, poiché sono figli della risurrezione, sono figli di Dio. Che poi i morti risorgano, lo ha indicato anche Mosè a proposito del roveto, quando dice: “Il Signore è il Dio di Abramo, Dio di Isacco e Dio di Giacobbe”. Dio non è dei morti, ma dei viventi; perché tutti vivono per lui».

 

Commento

Cari fratelli e care sorelle, abbiamo ascoltato nella prima lettura il racconto di un tragico episodio di persecuzione di alcuni ebrei ad opera del pagano re di Siria Antioco. Siamo nel secondo secolo avanti Cristo, quando la potenza dominante della regione, la Siria, conquistò il controllo della regione dove vivevano gli Ebrei e cercò di assimilare quel popolo rendendolo come tutti gli altri della regione. Come sappiamo ciò che rendeva Israele diverso da tutti gli altri popolo pagani del tempo era la loro fede in un Dio unico, creatore e Signore della storia, padre degli uomini e loro salvatore e protettore. Che ogni popolo e gruppo avesse i propri idoli e li adorasse con culti propri non dava fastidio, anzi essi si mescolavano arricchendo una religione affollata di divinità e riti  multiformi. Ma quel Dio unico, che pretendeva che non ci fosse nessun altro dio, che rendeva relativo ogni altro potere e rivendicava la capacità di essere l’unico a poter salvare gli uomini non era tollerabile.

In realtà queste caratteristiche del Dio degli ebrei e Dio dei cristiani hanno continuato ad essere un segno di contraddizione in tutti i tempi, fino ad oggi, ed un elemento che oltre a caratterizzare le due fedi unite nella radice abramitica le rende così inconciliabili con le culture mondane di ogni tempo. In ogni epoca infatti ci sono stati tentativi da parte di diversi “poteri”, fossero ideologie, modelli culturali o forze politiche, re e signori, che hanno rivendicato di essere loro la vera origine della salvezza e della felicità dell’uomo. Infatti essi non combattevano tanto le espressioni esteriori della religiosità, ma quella fede nel  Dio unico e misericordioso che le metteva in discussione, perché faceva riporre in un altro la fiducia e la speranza per il proprio destino.

Pensiamo, in epoca più recente, alla forza del pensiero scientifico che voleva sradicare la presenza di Dio semplicemente per il fatto che non si tocca e voleva affidare alla conoscenza e al dominio sui fenomeni naturali la vora felicità dell’uomo. Oppure pensiamo alle ideologie totalitarie che si prefiggevano di realizzare il “paradiso in terra” creando invece un inferno in cui l’uomo era prigioniero, chiusa ogni apertura verso il cielo e verso un oltre la mera esperienza quotidiana. Ma ancora oggi, in modo forse più subdolo, la cultura dei consumi, che si fonda sulla globalizzazione del mercato, rivendica a sé la capacità esclusiva di realizzare la felicità dell’uomo. Lo vediamo nei modelli di vita e nei comportamenti che ci si propongono come accattivanti e di successo. È una cultura materiale che attribuisce la felicità dell’uomo al possesso di beni e alla conseguente capacità di controllare gli altri, di dominarli e di non essere sottomessi a nessuno. Questa cultura non vieta la fede, purché non gli si dia il potere di essere la prospettiva a cui affidare la propria salvezza.

Le risposte di quei sette fratelli Maccabei, torturati e minacciati di morte e poi uccisi, ci sembrano un po’ ingenue. Essi dicono, in sostanza, che sì il potere del re li può far soffrire e persino strappare la vita materiale, può dominare la loro esistenza contemporanea, ma non può né dargli, né togliergli la fiducia in una salvezza che viene da Dio. Egli infatti, per quegli ebrei, li aveva amati fin dall’origine, creando l’uomo, donandogli la vita, offrendogli la sua amicizia di Padre fedele e assicurando che mai li avrebbe abbandonati, sia in vita che in morte. Questa è la prospettiva che permette loro di non perdere, tra le minacce di morte, la fiducia in Dio e una speranza incrollabile che la loro vita spesa nella fedeltà a Dio non si sarebbe perduta, ma avrebbe continuato ad essere da lui amata e protetta. Essi dicono: «Tu, o scellerato, ci elimini dalla vita presente, ma il re dell’universo, dopo che saremo morti per le sue leggi, ci risusciterà a vita nuova ed eterna». «È preferibile morire per mano degli uomini, quando da Dio si ha la speranza di essere da lui di nuovo risuscitati »

Cari fratelli e care sorelle, noi, grazie a Dio, non siamo certo minacciati di morte, come i Maccabei, eppure la cultura materiale e dei consumi ci vuole strappare dalle mani di Dio perché noi affidiamo invece la nostra speranza e la nostra fiducia ad essa. Non contesta le forme di religiosità esteriori, purché esse non pretendano di avere l’ultima parola sul destino dell’uomo e affermare che la sua salvezza è in quel patto di fedeltà che Dio ha stretto con l’uomo, l’unica certezza che può renderlo felice e dargli una speranza certa e che non va mai delusa. Eppure quanto è facile che noi cediamo con arrendevolezza alle lusinghe di una cultura che vuole farci credere che quello che conta è quanto possediamo, quanto dominiamo sulle situazioni e sulle persone, avendone il controllo senza dipendere da niente e nessuno. È questa la grande illusione di divenire Dio a noi stessi, senza legami di responsabilità, di sottomissione, di servizio, che ci rendano dipendenti da altri e da Dio, e  voler bene è il primo modo per dire che dipendiamo da qualcuno. Cedere a queste lusinghe ci rende infelici. Pensiamo, ad esempio, al fenomeno dei tanti che purtroppo, in un recente passato, in seguito all’inasprirsi della crisi economica e al fallimento delle loro imprese e speranze di benessere si sono tolti la vita. Senza quella prospettiva di successo economico a cui si erano affidati la vita non aveva più senso, né la famiglia o altri rapporti, né la possibilità stessa di costruirsi un futuro, magari più modesto. Ma senza giungere a questi epiloghi tragici, quanti uomini si rovinano la vita perché si ritengono falliti e infelici perché non riescono a realizzare i loro modelli di successo, o perché devono dipendere da altri a causa della debolezza fisica, ecc… È un vero e proprio destino di morte a cui tanti si legano accettando la schiavitù di idoli che promettono salvezza e ingannano.

Come restare allora fedeli al patto di amore con Dio che ci salva da questo destino di morte?

L’Apostolo Paolo scrive ai Tessalonicesi “Gesù Cristo e Dio, Padre nostro, ci ha amati e ci ha dato, per sua grazia, una consolazione eterna e una buona speranza”, cioè la speranza e la grazia di affidarvisi non sono una nostra capacità innata, ma il frutto di un amore che Dio per primo ci ha rivolto. Se lo accettiamo e ce ne rendiamo conto, sapremo esserne grati e capaci di affidarci ad esso. Infatti Paolo prosegue: “La fede infatti non è di tutti. Ma il Signore è fedele: egli vi confermerà e vi custodirà dal Maligno.” La fede non ci viene dal latte materno, non è un dato culturale o sociale, non è scontata, ma nasce dalla constatazione della fedeltà di Dio, dei segni del suo amore che ci confermano nel poter essere anche noi liberi dalle schiavitù della cultura materiale e capaci, come lui, di voler bene.

Anche Gesù a quei sadducei che gli pongono problemi capziosi circa il caso di chi deve dominare su chi e come si devono regolare i rapporti sociali, risponde ribaltando il piano del ragionamento: ciò che conta veramente non è far tornare i conti del dare e dell’avere dei rapporti, ma viverli con la libertà dell’amore che ci deriva dalla coscienza di essere sempre in debito verso Dio e verso gli altri, di amore, di considerazione, di aiuto, poi tutto il resto si aggiusta. La prospettiva a cui guardare tutte le cose della vita è per Gesù quella della resurrezione: “poiché sono figli della risurrezione, sono figli di Dio”. Anche noi, fratelli e sorelle, riconosciamo nella nostra storia e in quella del mondo i segni di una protezione dal Maligno che opera purtroppo ancora con grande forza, impariamo dalla fedeltà di Dio che non si dimentica di nessuno e non tradisce la speranza dei suoi figli e saremo resi figli della resurrezione, cioè capaci di vivere senza fidare in noi stessi e nella forza del mondo, ma in un Dio che ci restituisce la vita accresciuta e rafforzata, prima e dopo la morte.

Preghiere

O Dio che sei fedele al tuo patto stretto con gli uomini, rendici capaci di accogliere con gioia e gratitudine i segni del tuo amore,

Noi ti preghiamo


Rendici, o Signore, figli della resurrezione e non della cultura del consumismo e del dominio sugli altri. Fa’ che affidiamo a te la nostra vita per riceverla rafforzata e resa eterna,

Noi ti preghiamo


Ascolta o Signore l’invocazione di chi ti cerca. Mostrati misericordioso e benigno a chi desidera affidare a te il proprio destino e fa’ che sappiamo anche noi restarti fedeli,

Noi ti preghiamo

 
Non guardare o Dio ai segni del nostro poco amore, ma alla speranza che poniamo nella tua misericordia. Sii benevolo con chi ha fiducia nel tuo perdono,

Noi ti preghiamo


Guida e proteggi chi ti cerca, o Dio; accompagnalo col tuo amore perché trovi la forza di riconoscerti Signore e re della propria vita,

Noi ti preghiamo

Proteggi o Padre buono chi è debole e povero. Guarisci i malati e salva tutti i bisognosi di consolazione  e aiuto,

Noi ti preghiamo.


Proteggi o Dio tutti i tuoi figli ovunque diffusi. Raduna la famiglia umana nell’ovile dei tuoi discepoli perché nessun odio e guerra la divida

Noi ti preghiamo


Salva o Dio chi è morto confidando in te, raccogli i dispersi che non hanno saputo o potuto cercarti sulle vie della vita, radunali nel tuo amore misericordioso nella casa dove hai preparato un posto per ciascuno,

Noi ti preghiamo

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