mercoledì 10 novembre 2010

Scuola del Vangelo 2010-11 - V e VI incontro

I discepoli

I Vangeli ci mostrano fin dall’inizio della vita pubblica di Gesù il suo desiderio di vivere non da solo ma con un gruppo di amici, quelli che comunemente sono chiamati “i discepoli”. Come dicevamo, in questo modo Gesù realizza con pienezza la natura buona dell’uomo che il Creatore enuncia al momento della sua creazione con la frase: “Non è bene che l’uomo sia solo” (Gen 2,18).

Perché i discepoli
Innanzitutto è significativo che Gesù non scelga come compagni stabili della sua vita quelli che lo sarebbero stati naturalmente e che ordinariamente accompagnano la vita delle persone, come ad esempio i familiari, gli affini, i compaesani ecc… (1) (il numero rimanda alle note delle Conclusioni) Egli cerca i suoi compagni, non prende chi capita o chi ha accanto in modo scontato e non per scelta, propria e dell’interessato.
Il quarto capitolo del Vangelo di Matteo fa vedere i primi passi della vita pubblica di Gesù: prima aveva chiesto il battesimo a Giovanni sul Giordano, poi si era ritirato nel deserto dove il diavolo lo aveva tentato, e poi, subito dopo, inizia a chiamare i discepoli:

“Da allora Gesù cominciò a predicare e a dire: «Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino». Mentre camminava lungo il mare di Galilea vide due fratelli, Simone, chiamato Pietro, e Andrea suo fratello, che gettavano la rete in mare, poiché erano pescatori. E disse loro: «Seguitemi, vi farò pescatori di uomini». Ed essi subito, lasciate le reti, lo seguirono. Andando oltre, vide altri due fratelli, Giacomo di Zebedèo e Giovanni suo fratello, che nella barca insieme con Zebedèo, loro padre, riassettavano le reti; e li chiamò. Ed essi subito, lasciata la barca e il padre, lo seguirono. Gesù andava attorno per tutta la Galilea, insegnando nelle loro sinagoghe e predicando la buona novella del regno e curando ogni sorta di malattie e di infermità nel popolo.” (Mt 4,17-23)

La chiamata dei primi discepoli è racchiusa fra due frasi (una tecnica compositiva che si chiama “inclusione”) che parlano dell’inizio della predicazione itinerante per città e villaggi del Signore, per indicare lo stretto legame fra il suo compito di annunciare la salvezza e operare la guarigione e la compagnia dei suoi. Come vedremo meglio in seguito, i discepoli sono chiamati proprio per collaborare col Signore alla sua missione salvifica: il Messia non è una figura isolata che viene a imporre l’instaurazione del Regno con le armi del potere umano o di quello soprannaturale, ma a seminarlo e coltivarlo nella vita degli uomini con la pazienza del contadino.

Infatti i discepoli non sono chiamati solo alla prima ora: Matteo, ad esempio, si unisce al gruppo solo in un secondo momento:

“Andando via di là, Gesù vide un uomo, seduto al banco delle imposte, chiamato Matteo, e gli disse: «Seguimi». Ed egli si alzò e lo seguì.” (Mt 9,9).

Cioè Gesù non vuole arruolare uno staff, istruirlo e poi partire alla conquista del mondo col suo piccolo esercito ben addestrato. I discepoli infatti non sono solo la cerchia ristretta dei dodici più famosi, ma un gruppo ampio che comprende anche donne, simpatizzanti, ecc… che stanno con Gesù fino alla fine della sua vicenda terrena, tranne quelli che lo abbandonarono prima.

Per esempio vediamo nel Vangelo di Giovanni come l’incontro casuale con una samaritana provoca in quella donna un cambiamento interiore e della vita tale da farla diventare una vera discepola che annuncia il Vangelo ricevuto da Gesù (Gv 4):

“Gesù dunque, stanco del viaggio, sedeva presso il pozzo. Era verso mezzogiorno. Arrivò intanto una donna di Samaria ad attingere acqua. Le disse Gesù: «Dammi da bere».
Inizia così un dialogo lungo e complesso fra Gesù e la samaritana che si conclude con la donna che diviene annunciatrice del Vangelo del Signore:
“La donna intanto lasciò la brocca, andò in città e disse alla gente: «Venite a vedere un uomo che mi ha detto tutto quello che ho fatto. Che sia forse il Messia?». … Molti Samaritani di quella città credettero in lui per le parole della donna che dichiarava: «Mi ha detto tutto quello che ho fatto». E quando i Samaritani giunsero da lui, lo pregarono di fermarsi con loro ed egli vi rimase due giorni. Molti di più credettero per la sua parola e dicevano alla donna: «Non è più per la tua parola che noi crediamo; ma perché noi stessi abbiamo udito e sappiamo che questi è veramente il salvatore del mondo».”
Vediamo dunque come Gesù raduna il gruppo dei discepoli.

Come sono scelti
In ogni caso è Gesù che sceglie i discepoli, ma non tutti nello stesso modo. In alcuni casi è una chiamata per nome, il Signore prende l’iniziativa di invitare esplicitamente qualcuno a stare con lui. Allo stesso tempo però “scegliere” per Gesù non significa selezionare le persone teoricamente più adatte (non avrebbe mai chiamato una donna, per di più samaritana, o un uomo sposato con famiglia a carico come Pietro), ma la scelta è di farsi lui per primo compagno di tutti quelli che incontra (2): “lungo il mare di Galilea” o lungo le strade o addirittura al pozzo. Se poi chi incontra Gesù diviene suo discepolo dipende dal fatto se quella persona, attratta dalla proposta che è l’umanità piena di Gesù, decide di ricambiare la compagnia di lui facendosi a sua volta suo compagno, poiché intuisce in essa la propria salvezza.
Ad esempio il cieco Bartimeo stava lungo la strada a mendicare e invocò l’aiuto di Gesù che passava di lì, e:

“Gesù gli disse: «Abbi di nuovo la vista! La tua fede ti ha salvato». Subito ci vide di nuovo e cominciò a seguirlo lodando Dio. E tutto il popolo, alla vista di ciò, diede lode a Dio.” (Lc 18,42-43).
Bartimeo comincia a seguire Gesù e il suo esempio suscita la lode a Dio in chi lo vede. In altri casi però Gesù non accetta chi vorrebbe seguirlo, ma lo fa restare nel suo ambiente, perché seguire Gesù non si esprime solo sul piano fisico dell’andare con lui, ma significa innanzitutto “stare dalla sua parte” e cooperare con lo scopo della sua vita, portare l’annuncio del Vangelo a tutti:

“Mentre risaliva nella barca, colui che era stato indemoniato lo pregava di permettergli di stare con lui. Non glielo permise, ma gli disse: «Va' nella tua casa, dai tuoi, annunzia loro ciò che il Signore ti ha fatto e la misericordia che ti ha usato». Egli se ne andò e si mise a proclamare per la Decàpoli ciò che Gesù gli aveva fatto, e tutti ne erano meravigliati” (Mc 5,18-20)

(3) Gesù spiega bene che essere discepoli non significa solo essere fisicamente con lui, ma, più in generale, operare perché il Vangelo raggiunga gli altri e li salvi:

“Giovanni prese la parola dicendo: «Maestro, abbiamo visto un tale che scacciava demoni nel tuo nome e glielo abbiamo impedito, perché non è con noi tra i tuoi seguaci». Ma Gesù gli rispose: «Non glielo impedite, perché chi non è contro di voi, è per voi»” (Lc 9, 49-50).

Per ricapitolare possiamo dire che per Gesù l’incontro con ognuno è occasione per stringere un rapporto serio e profondo, questa è una sua scelta, cioè quella che con termine tecnico si dice “chiamata” o “vocazione”, la scelta di stare, lui per primo, con te. Gesù incontra tanti per proporre a ognuno la salvezza dal male: che sia la guarigione dalla malattia, la liberazione dal demonio, ma anche, come nel caso dei dodici, dalla banalità futile di una vita “normale”, cioè spesa solo per se stessi:

“Gesù disse loro: «Seguitemi, e io farò di voi dei pescatori di uomini». (Mc 1,17)

Proprio per questo l’incontro con Gesù contiene sempre una domanda di seguirlo, cioè di collaborare con lui per allargare la cerchia delle persone raggiunte dall’annuncio del Vangelo.
Di tutti quelli che Gesù incontra poi alcuni accolgono questa domanda e la fanno propria, divenendo discepoli, altri invece, come il giovane ricco, “se ne vanno tristi” (Mt 19), oppure hanno altro a cui pensare, come nove dei dieci lebbrosi che non tornano nemmeno a ringraziare Gesù (Lc 17), ecc…
Sono i tanti fallimenti affettivi di Gesù…

Com’è il rapporto di Gesù con i discepoli
Innanzitutto Gesù crede che i rapporti siano fatti per durare, perché Gesù ha bisogno di quelle persone. (4) La buona notizia di salvezza che è venuto a portare non si diffonde infatti per magia ma ha bisogno della collaborazione di qualcuno che creda, viva e annunci il Vangelo ad altri. Gesù non si mostra mai superiore o sprezzante, non nasconde il proprio bisogno degli altri, fosse il più piccolo e apparentemente inutile. Lo si capisce ad esempio dalla domanda sconsolata che rivolge ai suoi nel momento in cui tanti lo abbandonano:

“Da allora molti dei suoi discepoli si tirarono indietro e non andavano più con lui. Disse allora Gesù ai Dodici: «Forse anche voi volete andarvene?». Gli rispose Simon Pietro: «Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna; noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio». Rispose Gesù: «Non ho forse scelto io voi, i Dodici? Eppure uno di voi è un diavolo!». Egli parlava di Giuda, figlio di Simone Iscariota: questi infatti stava per tradirlo, uno dei Dodici.” (Gv 6,66-70).

Ma nonostante la delusione e il tradimento facciano costantemente parte dell’esperienza di Gesù, come di quella di ciascuno, esse non sono motivo per smettere di avere fiducia e cercare altri alleati nel suo cammino. Dopo quei fatti Gesù continua a incontrare gente e a suscitare discepoli:

“Detto questo (Gesù) sputò per terra, fece del fango con la saliva, spalmò il fango sugli occhi del cieco e gli disse: «Va' a lavarti nella piscina di Sìloe (che significa Inviato)». Quegli andò, si lavò e tornò che ci vedeva. …
Allora (i farisei) dissero di nuovo al cieco: «Tu che dici di lui, dal momento che ti ha aperto gli occhi?». Egli rispose: «È un profeta!». …
Rispose loro: «Ve l'ho già detto e non mi avete ascoltato; perché volete udirlo di nuovo? Volete forse diventare anche voi suoi discepoli?». Allora lo insultarono e gli dissero: «Tu sei suo discepolo, noi siamo discepoli di Mosè!”
(Gv 9)

Il cieco nato guarito diventa discepolo e invita col suo entusiasmo altri a divenirlo.
Potremmo dire che Gesù vede in tutti quelli che incontra dei potenziali discepoli, cioè gente che accetti di essere mandata a comunicare la salvezza del Vangelo a sempre più persone:

“Come tu mi hai mandato nel mondo, anch'io li ho mandati nel mondo” (Gv 17,18)
“Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anch'io mando voi” (Gv 20,21).

(5) Gesù con ognuno ha un rapporto diverso. Direi che con ognuno usa una strategia di conquista, ha preferenze, è esigente, non è “giusto”, nel senso che non si comporta nello stesso modo con tutti:

“Sei giorni dopo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni suo fratello e li condusse in disparte, su un alto monte.” (Mt 17,1)
“E detto questo aggiunse: «Seguimi». Pietro allora, voltatosi, vide che li seguiva quel discepolo che Gesù amava, ... Pietro dunque, vedutolo, disse a Gesù: «Signore, e lui?». Gesù gli rispose: «Se voglio che egli rimanga finché io venga, che importa a te? Tu seguimi».” (Gv 19,22)

(6) Il suo è un rapporto esigente, che non si accontenta. Con i discepoli Gesù perde tempo, insiste, ha tenerezza, si adira, cioè ha una gamma di sentimenti e di comportamenti molto vari perché la sua priorità è conquistare l’altro alla sua causa, cioè all’amore, e non imporre se stesso, per quanto perfetto e nel giusto fosse. Lo vediamo ad esempio nell’episodio di Mt 20, 20-28:

“Allora gli si avvicinò la madre dei figli di Zebedèo con i suoi figli, e si prostrò per chiedergli qualcosa. Egli le disse: «Che cosa vuoi?». Gli rispose: «Di' che questi miei figli siedano uno alla tua destra e uno alla tua sinistra nel tuo regno». Rispose Gesù: «Voi non sapete quello che chiedete. Potete bere il calice che io sto per bere?». Gli dicono: «Lo possiamo». Ed egli soggiunse: «Il mio calice lo berrete;
(Gesù è indulgente con la pretesa dei due, quasi intenerito dalla loro foga entusiasta)
però non sta a me concedere che vi sediate alla mia destra o alla mia sinistra, ma è per coloro per i quali è stato preparato dal Padre mio». Gli altri dieci, udito questo, si sdegnarono con i due fratelli;
(Gesù ora deve sopportare lo sdegno degli altri che scambiano quella generosità per arrivismo: pazientemente spiega senza scandalizzarsi)
ma Gesù, chiamatili a sé, disse: «I capi delle nazioni, voi lo sapete, dominano su di esse e i grandi esercitano su di esse il potere. Non così dovrà essere tra voi; ma colui che vorrà diventare grande tra voi, si farà vostro servo, e colui che vorrà essere il primo tra voi, si farà vostro schiavo; appunto come il Figlio dell'uomo, che non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la sua vita in riscatto per molti».”

(7) Gesù non lascia che i suoi siano schiacciati dal peso del loro peccato, ma usa una pedagogia dell’amore che non tollera il peccato ma si fa compagno nel sostenerne il peso. Gesù riesce a vedere nell’amico dietro il volto brutto, sfigurato dal male quello bello, trasfigurato dalla forza del perdono:

“Simone, Simone, ecco satana vi ha cercato per vagliarvi come il grano; ma io ho pregato per te, che non venga meno la tua fede; e tu, una volta ravveduto, conferma i tuoi fratelli». E Pietro gli disse: «Signore, con te sono pronto ad andare in prigione e alla morte». Gli rispose: «Pietro, io ti dico: non canterà oggi il gallo prima che tu per tre volte avrai negato di conoscermi».” (Lc 22,31-34)

Conclusioni
Ho evidenziato alcune caratteristiche del rapporto di Gesù con i discepoli. Questo ci serve per provare a confrontare il nostro modo di rapportarci agli altri con quello di Gesù. Infatti molto spesso l’atteggiamento più comune e spontaneo è diametralmente opposto a quello del Signore con i suoi amici.

1) Gesù sceglie gli altri. Non è comune decidere di farsi compagni e amici di qualcuno. In genere si ha l’idea che il rapporto con l’altro non possa essere frutto di una scelta, ma la casualità di un incontro, lo scoccare di una scintilla, il verificarsi di certe condizioni di compatibilità di carattere, di comunanza di interessi, di gusti simili, ecc… Non con tutti posso diventare amico, si devono verificare delle condizioni che lo rendano possibile.

2) Scelta di Gesù è farsi compagno per primo lui per coinvolgere gli altri nell’amicizia. In genere si sta molto attenti a chi fa il primo passo, a chi merita la nostra amicizia ecc…

3) Per Gesù il cuore dell’amicizia è lo sforzo di collaborare per il bene degli altri. In genere l’amicizia è finalizzata al proprio bene, al massimo a quello reciproco, figuriamoci a quello di altri,

4) Gesù crede nel rapporto come qualcosa di definitivo, perché ne ha bisogno. In genere si pensa che se il rapporto con qualcuno finisce a rimetterci sia l’altro, perché perde il vero valore che sono io, esattamente il contrario di Gesù, per il quale la perdita è di entrambi perché il vero valore è il rapporto stesso. Il rapporto ha motivo di esistere finché è soddisfa certe mie esigenze, affettive, sociali, economiche, ecc… Venuto meno questo ruolo e le esigenze il rapporto non serve e può essere lasciato cadere.

5) Al contrario delle strategie affettive di Gesù che per ognuno cerca la strada giusta per raggiungere il cuore, per noi difficilmente chi è l’altro influenza il mio atteggiamento, il modo di parlare, i contenuti che esprimo: io mi esprimo così come sono e come mi viene, sta all’altro apprezzarmi per quello che valgo, se non lo fa peggio per lui. Non si sente il bisogno di una strategia affettiva, perché non si ha bisogno dell’altro, casomai è vero il contrario.

6) In continuità col punto precedente spesso il rapporto di Gesù è esigente, mentre il nostro modo si limita a vedere il volto attuale del fratello come fosse quello definitivo. In genere il volto di tutti noi non è molto bello, così come è sfigurato dal peccato, ma noi a differenza di Gesù non cerchiamo dietro di esso il volto bello dell’uomo perdonato e amato da Dio. C’è bisogno di non accontentarci ed essere ambiziosi per il fratello e la sorella e lottare per conquistarli alla causa del Signore, che il bene vinca sul male ovunque esso si manifesti.

7) Farsi carico del peccato del fratello, non nel senso di tollerarlo, ma di vincerlo con le armi del bene, con una strategia affettiva che porti alla richiesta di perdono a Dio. Il male infatti non può essere dimenticato, va perdonato, sennò resta sempre.

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