martedì 11 gennaio 2011

Scuola del Vangelo 2010/11 - Incontro X – 12 gennaio 2011


Scuola del Vangelo 2010/11 - Incontro X – 12 gennaio 2011
La tavola di Natale con i poveri



Alcuni dati sulla cena di Natale del 4 gennaio:
160 ospiti
46 persone che hanno aiutato nella preparazione e realizzazione
22 fra negozi e ristoranti che hanno offerto gratuitamente il cibo

Vita di Tommaso da Celano (cap. XXX)
84. La sua aspirazione più alta, il suo desiderio dominante, la sua volontà più ferma era di osservare perfettamente e sempre il santo Vangelo e di imitare fedelmente con tutta la vigilanza, con tutto l’impegno, con tutto lo slancio dell’anima e del cuore la dottrina e gli esempi del Signore nostro Gesù Cristo. Meditava continuamente le parole del Signore e non perdeva mai di vista le sue opere. Ma soprattutto l’umiltà dell’Incarnazione e la carità della Passione aveva impresse così profondamente nella sua memoria, che difficilmente gli riusciva di pensare ad altro. A questo proposito è degno di perenne memoria e di devota celebrazione quello che il Santo realizzò tre anni prima della sua gloriosa morte, a Greccio, il giorno del Natale del Signore. C’era in quella contrada un uomo di nome Giovanni, di buona fama e di vita anche migliore, ed era molto caro al beato Francesco perché, pur essendo nobile e molto onorato nella sua regione, stimava più la nobiltà dello spirito che quella della carne. Circa due settimane prima della festa della Natività, il beato Francesco, come spesso faceva, lo chiamò a sé e gli disse: «Se vuoi che celebriamo a Greccio il Natale di Gesù, precedimi e prepara quanto ti dico: vorrei rappresentare il Bambino nato a Betlemme, e in qualche modo vedere con gli occhi del corpo i disagi in cui si è trovato per la mancanza delle cose necessarie a un neonato, come fu adagiato in una greppia e come giaceva sul fieno tra il bue e l’asinello». Appena l’ebbe ascoltato, il fedele e pio amico se ne andò sollecito ad approntare nel luogo designato tutto l’occorrente, secondo il disegno esposto dal Santo.


85. E giunge il giorno della letizia, il tempo dell’esultanza! Per l’occasione sono qui convocati molti frati da varie parti; uomini e donne arrivano festanti dai casolari della regione, portando ciascuno secondo le sue possibilità, ceri e fiaccole per illuminare quella notte, nella quale s’accese splendida nel cielo la Stella che illuminò tutti i giorni e i tempi. Arriva alla fine Francesco: vede che tutto è predisposto secondo il suo desiderio, ed è raggiante di letizia. Ora si accomoda la greppia, vi si pone il fieno e si introducono il bue e l’asinello. In quella scena commovente risplende la semplicità evangelica, si loda la povertà, si raccomanda l’umiltà. Greccio è divenuto come una nuova Betlemme.
Questa notte è chiara come pieno giorno e dolce agli uomini e agli animali! La gente accorre e si allieta di un gaudio mai assaporato prima, davanti al nuovo mistero. La selva risuona di voci e le rupi imponenti echeggiano i cori festosi. I frati cantano scelte lodi al Signore, e la notte sembra tutta un sussulto di gioia. Il Santo è lì estatico di fronte al presepio, lo spirito vibrante di compunzione e di gaudio ineffabile. Poi il sacerdote celebra solennemente l’Eucaristia sul presepio e lui stesso assapora una consolazione mai gustata prima.


86. Francesco si è rivestito dei paramenti diaconali perché era diacono, e canta con voce sonora il santo Vangelo: quella voce forte e dolce, limpida e sonora rapisce tutti in desideri di cielo. Poi parla al popolo e con parole dolcissime rievoca il neonato Re povero e la piccola città di Betlemme. Spesso, quando voleva nominare Cristo Gesù, infervorato di amore celeste lo chiamava «il Bambino di Betlemme», e quel nome «Betlemme» lo pronunciava riempiendosi la bocca di voce e ancor più di tenero affetto, producendo un suono come belato di pecora. E ogni volta che diceva «Bambino di Betlemme» o «Gesù», passava la lingua sulle labbra, quasi a gustare e trattenere tutta la dolcezza di quelle parole.Vi si manifestano con abbondanza i doni dell’Onnipotente, e uno dei presenti, uomo virtuoso, ha una mirabile visione. Gli sembra che il Bambinello giaccia privo di vita nella mangiatoia, e Francesco gli si avvicina e lo desta da quella specie di sonno profondo. Né la visione prodigiosa discordava dai fatti, perché, per i meriti del Santo, il fanciullo Gesù veniva risuscitato nei cuori di molti, che l’avevano dimenticato, e il ricordo di lui rimaneva impresso profondamente nella loro memoria. Terminata quella veglia solenne, ciascuno tornò a casa sua pieno di ineffabile gioia.

Il racconto di quel primo presepio che Francesco di Assisi volle realizzare a Greccio nel 1223 mi sembra esprima bene quello che anche noi abbiamo vissuto qui a Santa Croce solo pochi giorni fa durante la Cena di Natale con i poveri del 4 gennaio.
Dicevamo nel nostro ultimo incontro che questa festa con i poveri era per noi come quel “segno” di cui parlano gli angeli che annunciano la nascita di Gesù: qualcosa di concreto che irrompe nella nostra vita portandovi la novità del Vangelo.
Anche noi, come Francesco abbiamo voluto “vedere con gli occhi del corpo” Gesù nascere fra di noi.
Ed in effetti così è stato.
Abbiamo visto e gustato lo spettacolo bello che anche a noi, come ai contadini di Greccio, ci si è riempito il cuore di gioia: “In quella scena commovente risplende la semplicità evangelica, si loda la povertà, si raccomanda l’umiltà. Greccio è divenuto come una nuova Betlemme. Questa notte è chiara come pieno giorno e dolce agli uomini e agli animali! La gente accorre e si allieta di un gaudio mai assaporato prima, davanti al nuovo mistero.”

La semplicità evangelica: accogliere e voler bene è semplice perché è la verità umana di ciascuno che non si corazzi dietro paure e pregiudizi ma accolga e viva il Vangelo.


Si loda la povertà, si raccomanda l’umiltà: si realizza quel misterioso legame fra poveri e umili (i ricchi che si fanno servitori, come Giovanni che pur essendo nobile si china su Francesco e sui poveri) che si confondono in un unico abbraccio di cui parla il profeta Sofonia: “Lascerò in mezzo a te un popolo umile e povero. Confiderà nel nome del Signore” (Sof. 3,12). Sono superate differenze e divisioni

Greccio è divenuto come una nuova Betlemme: è il privilegio di vivere la contemporaneità col vangelo, in questo caso col Natale: è come stringere il bambino fra le braccia, come fecero i pastori a Betlemme.

Questa notte è chiara come pieno giorno: chiarore di una visione bella che riempie il cuore e libera dal velo della tristezza egocentrica e delle tenebre dell’egoismo.

La gente accorre e si allieta di un gaudio mai assaporato prima, davanti al nuovo mistero: La felicità è di tutti quelli che contemplano nell’immagine della tavola di Natale con i poveri un’icona del vero Natale. E’ un mistero sempre nuovo: l’amore che viene vissuto non è mai qualcosa di scontato o ripetitivo, ma sempre ha il volto nuovo del fratello e della sorella amati, e anche noi, misteriosamente trasfigurati, siamo persone nuove, come non sapevamo di poter e saper essere.

il fanciullo Gesù veniva risuscitato nei cuori di molti, che l’avevano dimenticato : Sì a Natale molti mettono in secondo piano Gesù che nasce bambino, e la tavola con i poveri invece ce lo ha risvegliato nel cuore.

Sono tanti i segni della straordinarietà di ciò che abbiamo vissuto, e dobbiamo un po’ ridirceli per non dimenticare e sminuirne la portata.

Innanzitutto il numero delle persone che sono venute, così ampio. E’ vero, ne aspettavamo di più e abbiamo apparecchiato la tavola per oltre 250 ospiti, quanti erano quelli previsti. Poi, per cause diverse, ne sono venuti di meno, ma sempre tanti. All’inizio ci sembrava impossibile accogliere così tante persone: non c’era il posto e nemmeno le forze. Era esattamente il doppio del numero che avevamo accolto negli anni precedenti! Chi di noi non ha pensato che era impossibile? Eppure siamo riusciti a preparare un posto per tutti, come si fa per una festa di famiglia. Perché per noi i poveri non sono un numero, ma volti concreti, e per l’amico il posto si trova anche a costo di faticare il doppio e aguzzare l’ingegno e la fantasia. Con la preoccupazione e le attenzioni perché ciascuno avesse un regalo, ci fosse il cibo adatto per i musulmani, la tombola per i bambini (e non solo), La tavola apparecchiata con cura e la bellezza degli ambienti, ecc… Non abbiamo risparmiato gli sforzi, né ci siamo accontentati di quello che capitava.

Poi mi ha colpito che la grande maggioranza di quelli che sono venuti sono conosciuti da più di 4 o 5 anni e vengono regolarmente a festeggiare il Natale con noi. Mi sembra che questo stia a significare l’emergere di una domanda di famiglia che sale dai poveri. In questo, lo dicevamo già l’altra volta parlando di Mario, essi ci precedono nel desiderio di veder realizzata la promessa evangelica del dono di una nuova, vera e bella famiglia per coloro che vogliono realizzare la volontà del Padre (cfr. Mt 12,50).

Infine vorrei con voi soffermarmi sul fatto che la tavola con i poveri realizza diverse immagini bibliche ed evangeliche: il banchetto preparato da Abramo presso le querce di Mamre (Gen 18), il banchetto del Regno (Lc 14, 12-24; Mt 22, 2-14).

Mamre
L’accoglienza a tavola dello straniero, che nell’antico Israele era una categoria di persone fra le più povere perché precarie e senza protezione, alla mercé di chi incontravano, realizza la presenza di Dio in mezzo a noi, come fu per Abramo, che ricevendo i tre misteriosi forestieri accolse i messaggeri del Signore, ritrovò la fecondità della sua vita rimasta fino ad allora sterile e poté esercitare quella sua opera di intercessione in favore degli abitanti di Ninive anche per la quale Abramo è ricordato come il giusto.
Tutto ciò si è realizzato anche per noi.
Il banchetto del Regno
Nel Vangelo più volte Gesù è attorniato a tavola da gente la più diversa: pubblicani, come ad esempio Zaccheo (Lc 19 “Gesù alzò lo sguardo e gli disse: «Zaccheo, scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua». In fretta scese e lo accolse pieno di gioia”) o Matteo (Mt 9, 10), donne discutibili, come in Mt 26, 6-ss e Lc 7, 37-ss, farisei, ecc… tanto che viene giudicato un mangione e un beone (Mt 11, 19).
Però quando Gesù vuole offrire un’immagine del Regno di Dio propone quella di un banchetto pieno di poveri.

Disse poi a colui che l'aveva invitato: «Quando offri un pranzo o una cena, non invitare i tuoi amici, né i tuoi fratelli, né i tuoi parenti, né i ricchi vicini, perché anch'essi non ti invitino a loro volta e tu abbia il contraccambio. Al contrario, quando dai un banchetto, invita poveri, storpi, zoppi, ciechi; e sarai beato perché non hanno da ricambiarti. Riceverai infatti la tua ricompensa alla risurrezione dei giusti».” Lc 14, 12-14

Colpisce la felicità (“sarai beato”) di chi prepara un banchetto per i poveri e che un po’ descrive anche quello che abbiamo provato anche noi nel farlo.
Allo stesso tempo però la descrizione del banchetto del Regno racchiude un contrasto molto forte: gli invitati benestanti rifiutano l’invito; i poveri accettano volentieri l’invito; lo sdegno del padrone di casa e l’esclusione definitiva dei primi invitati dal Regno. Questo contrasto di comportamenti e le sue gravissime conseguenze ci fa capire bene tutta la terribile serietà dell’atteggiamento di fronte all’invito di Gesù.
Gesù rispose: «Un uomo diede una grande cena e fece molti inviti. All'ora della cena, mandò il suo servo a dire agli invitati: Venite, è pronto. Ma tutti, all'unanimità, cominciarono a scusarsi. Il primo disse: Ho comprato un campo e devo andare a vederlo; ti prego, considerami giustificato. Un altro disse: Ho comprato cinque paia di buoi e vado a provarli; ti prego, considerami giustificato. Un altro disse: Ho preso moglie e perciò non posso venire. Al suo ritorno il servo riferì tutto questo al padrone. Allora il padrone di casa, irritato, disse al servo: Esci subito per le piazze e per le vie della città e conduci qui poveri, storpi, ciechi e zoppi. Il servo disse: Signore, è stato fatto come hai ordinato, ma c'è ancora posto. Il padrone allora disse al servo: Esci per le strade e lungo le siepi, spingili a entrare, perché la mia casa si riempia. Perché vi dico: Nessuno di quegli uomini che erano stati invitati assaggerà la mia cena». Lc 14,16-24

Mi colpisce che il rifiuto dei primi invitati è dettato dal possesso di cose (acquisto dei buoi e del campo) o da un senso chiuso di famiglia (ho preso moglie). Il Vangelo ci dice che l’attaccamento alle cose o a un senso chiuso dei rapporti familiari è alla base del rifiuto dell’invito. Potremo dire che sono le espressioni di una mentalità materialistica di cui parlavamo tempo fa: valore attribuito esclusivamente alle cose materiali, disprezzo per ciò che non ha un prezzo e un mercato, il privilegiare il proprio corpo ed essere asserviti alla soddisfazione dei suoi bisogni, ecc…
E’ come se accanto alla forza di questa icona santa si insinuasse in noi purtroppo anche la forza “normalizzatrice” del mondo che inesorabilmente vuole ridurre a banale un fatto che è invece, ci tengo a sottolinearlo, “straordinario” e “storico”. E’ la forza di una mentalità materialista che prova fastidio per ciò che realizza il Vangelo sovvertendo l’ordine naturale delle cose. Vedo questa forza agire soprattutto in alcune tentazioni:

abitudine (ormai è il sesto anno, non ci fa più stupire, siamo esperti e smaliziati).

egocentrismo (idea che non vengo messo sufficientemente al centro, non sono valorizzato, non ho abbastanza ruolo).

sopraffazione del “fare” sull’ “essere” (efficientismo, frettolosità, a discapito della cura del rapporto umano). ecc…

Evidenzio questi problemi non perché voglio sminuire la bellezza dell’evento accaduto, anzi, al contrario, per combattere con voi la forza del male che vuole far prevalere la nostra ordinarietà naturale sulla straordinarietà del Vangelo vissuto.

Questo ci fa dire che la cena di Natale cui abbiamo partecipato in vari modi non è stato solo un evento fra i molti, o una occasione privata di fare un po’ di bene, ma costituisce qualcosa di “straordinario” e “storico” rilevante per l’intera città e per il mondo, perché è stata una radicale contestazione del modo di vivere materialista del mondo e una imitazione, anche se pallida e imperfetta, di quel Regno che attendiamo impazienti. E questo vuol dire imporre una spinta alla storia in una direzione. Noi però, come dicevo prima, siamo tentati di sminuire questo valore “storico” relegando la cena nel capitolo delle “iniziative” che riguardano me che le ho vissute, ma invece bisogna dargli la centralità che merita: è un segno visibile e concreto del Natale, ed esso non lascia mai il mondo come era prima, e poi è la pregustazione di un regno in cui la prigione della materialità è vinta dalla forza dello Spirito.

E questo è il modo con cui i cristiani cambiano la storia: non con la forza delle armi, né col potere della politica o dell’economia, ma con la forza debole del Vangelo vissuto e reso concreto in mezzo agli uomini.

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