mercoledì 26 gennaio 2011

Scuola del Vangelo 2010/11 - XII incontro La Liturgia "anima" della fede delle Chiese orientali


Dopo aver percorso la volta scorsa la storia e la realtà attuale delle Chiese cristiane ci vogliamo soffermare questa volta per entrare in modo più profondo nello spirito delle Chiese Orientali, e in modo particolare della Chiesa bizantina, cioè quella di lingua greca che si sviluppò attorno al suo centro principale che era Costantinopoli o Bisanzio, e che oggi si prolunga fino a comprendere tutte le Chiese Ortodosse slave ecc… nel mondo intero.


La tradizione orientale attribuisce una centralità particolare alla Liturgia che è definita Divina, è cioè un atto comune degli uomini e di Dio. In fondo basti pensare al fatto che per oltre 60 anni di persecuzione e impedimento di ogni attività pastorale in Unione Sovietica la fede si è mantenuta e tramandata esclusivamente attraverso la Liturgia, unica “attività” consentita alla Chiesa Ortodossa Russa. Le chiese (poche) in cui si è continuato a celebrare hanno trasmesso la fede cristiana tutta intera che poi con rapidità straordinaria è rifiorita e si è sviluppata appena la caduta del regime comunista ha consentito la vita ordinaria della Chiesa. Se non si fosse preservata la radice profonda della fede questa rinascita non sarebbe stata possibile, e l’unico modo in cui essa è rimasta profondamente infissa nel terreno della vita del popolo russo è stata appunto la celebrazione della divina Liturgia.


In essa possiamo dire che si riassume tutto l’essenziale della fede cristiana.


I due fondamenti su cui si basa la liturgia sono il mistero dell’incarnazione e la Resurrezione di cristo.


La Liturgia è infatti il contesto in cui avviene la redenzione della nostra realtà terrena: essa con le sue miserie e limiti è stata assunta e trasfigurata da Dio che nell’incarnazione di Cristo ha rivestito la nostra natura umana per renderci in grado di innalzarci noi fino a quella divina: si è fatto come noi perché noi divenissimo come lui.


La liturgia è il contesto più alto e pieno in cui si può realizzare per ciascuno una vera e propria “trasfigurazione” della natura umana che è portata a divenire simile a quella divina. Tutto nella liturgia è trasformato e assunto in una dimensione di bellezza che richiama la gloria divina del cielo: dal canto, al profumo dell’incenso, alla bellezza delle icone, l’oro degli arredi sacri, la bellezza sfolgorante degli abiti liturgici, ecc… . La liturgia è infatti un angolo di cielo che si realizza in terra, la gloria di Dio che diviene accessibile, come nel roveto ardente che purifica incenerendo il peccato e illumina e scalda. Chi partecipa alla divina Liturgia è pertanto innalzato fino all’altezza del cielo, pur mantenendo i piedi sulla terra: è il mistero dell’incarnazione di Cristo, vero uomo e vero Dio.


La chiesa è orientata verso Oriente, luogo del sorgere del sole, simbolo della resurrezione e della venuta di Cristo sulla terra. È l’orientamento della comunità che prega scrutando da dove è venuto e tornerà il Salvatore. È l’orientamento di tutta la vita, protesa verso la venuta di Cristo e in attesa del suo ritorno.

La chiesa è divisa in due dall’iconostasi che separa il santuario dalla navata. Dall’ingresso progressivamente l’ambiente diviene sempre più spirituale fino a raggiungere il massimo nel santuario, dimora di Dio. I santi che assistono al rito dalle icone sono il segno della partecipazione della Chiesa spirituale all’interno del rito, sono lo specchio nel quale il fedele può riflettere la propria immagine cercando di assumerne i tratti spirituali e lontani dalla carnalità pesante e volgare della vita di tutti i giorni. L’icona è detta infatti finestra verso l’invisibile, alla quale possiamo affacciarci, che ci mette in comunicazione con la realtà spirituale umano-divina. L’iconostasi non è dunque una separazione, quanto un punto di congiunzione fra la realtà terrena e quella divina, immagine di quello che siamo chiamati a divenire anche noi umani ma divinizzati dallo Spirito.

Il sacerdote e il diacono vestono gli abiti liturgici che, nel loro splendore, indicano la separazione che in quel momento li deve caratterizzare da ogni attività ordinaria, per immergersi invece nella straordinarietà dell’azione liturgica. La tunica bianca rappresenta l’abito degli angeli che celebrano la liturgia celeste davanti a Dio in cielo e la purezza d’animo con cui il celebrante deve rivestirsi. La stola del diacono rappresenta le ali degli angeli e viene usata per invitare il popolo e il celebrante ad intraprendere le azioni nei vari momenti della liturgia. La stola sulle spalle del sacerdote simboleggia il giogo soave del vangelo e l’unzione che discente su tutto il corpo, come ad Aronne nel Salmo 132, 2. Si stringe con la cintura che simboleggia la potenza di Dio di cui è rivestito.


L’atto della vestizione del diacono e del sacerdote sono già un primo passo verso la trasfigurazione della comunità intera: non sono più gli uomini di prima, ma strumenti dello Spirito per la realizzazione dell’atti liturgico. Non conta più l’indegnità e piccolezza personale, ma il ruolo che si riveste.


Rito della preparazione o proscodimìa
La prima parte della liturgia è la preparazione dei doni in vista della loro consacrazione. Il pane offerto dai fedeli (pròsfora) rappresenta il corpo di Cristo e con una lancia viene inciso, come Gesù sulla croce e sezionato nelle particole che verranno distribuite al popolo. Questa parte avviene segretamente e rappresenta la vita nascosta di Gesù. Viene stratta la parte centrale del pane, con le iniziali divine, per indicare la carne che è venuta dalla carne, cioè il corpo di Gesù nato dalla Vergine Maria.


Nel compiere questi Gesti il sacerdote ripete le parole del profeta Isaia circa la venuta dell’agnello sacrificale “come agnello condotto al macello” , “come pecora muta davanti al tosatore” , “con oppressione e ingiusta sentenza fu tolto di mezzo”, ecc…


Poi vengono preparate altre particole in memoria di Maria, del battista, gli apostoli e i santi: Cristo è così circondato da quelli che gli sono più vicini. Cristo si mostra vicino a quelli che si sono fatti più vicini e simili a lui. Poi seguono le particole che ricordano i vivi che si vogliono ricordare e infine i defunti. Cristo e la Chiesa (terrestre e celeste) sono uniti.


A questo punto il luogo in cui si prepara l’offerta diviene la grotta di Betlemme che racchiude Gesù che nasce e la stella è posta sul pane, il disco è la mangiatoia e i veli i panni che lo coprirono. Si incensa come i Magi che offrirono incenso, mirra e oro.


Si incensa tutto il popolo: segno di benvenuto che ricorda il lavaggio dei piedi agli ospiti del banchetto che Gesù stesso compì nell’ultima cena. Anche le icone sono incensate perché i santi sono ospiti e patecipano con noi al banchetto liturgico.


Liturgia dei catecumeni
Questa parte della liturgia simboleggi al’inizio della vita pubblica di Gesù. Tutte le azioni liturgiche sono poste sotto la luce della Trinità con l’invocazione “sia benedetto il regno del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, perché è l’incarnazione che ha manifestato pienamente Dio agli uomini. In questa luce il popolo si accinge a celebrale la divina Liturgia.

Litanie di pace
Il diacono invita il popolo alla preghiera con la stola alzata come l’ala di un angelo e il popolo si accinge alla risposta corale che fa propria la preghiera offerta dal diacono. In conclusione si ricorda l’inefficacia della preghiera di gente indegna come noi e la si affida a Maria e ai santi che lo fecero meglio di noi. Vengono quindi cantate le profezie della venuta del Salvatore, tratte dai Salmi e si conclude con l’amen di assenso di tutto il popolo.


Canto delle beatitudini
Segue il canto delle Beatitudini, intercalate con l’invocazione del buon ladrone “Ricordati di noi Signore quando entrerai nel tuo Regno”. Le parole del Vangelo ricordano all’assemblea chi sono quelli a cui è indirizzata la rivelazione della salvezza e ai quali è riservato il Regno concesso al ladrone: “i miti, i perseguitati, gli operatori di pace, i puri di cuore, ecc…”

Ingresso del Vangelo
A questo punto si aprono le porte del Regno (le porte dell’iconostasi) che è il luogo in cui il Signore si farà presente col suo corpo e sangue, e il Vangelo cioè Cristo stesso si fa presente e attraversa tutta l’assemblea. Esce dal buio del luogo della vita nascosta di Gesù e si manifesta a tutto il popolo che lo acclama con l’alleluja: è la predicazione del Vangelo.


Canto del Trisaghion
Dopo aver cantato i tropari che ricordano i santi e la festa del giorno, cioè coloro che hanno ascoltato e vissuta il Vangelo entrato nella nostra vita, si invoca la potenza della Trinità stessa: Dio Padre, la sua Forza, cioè il Figlio, l’Immortale, cioè lo Spirito che è il pensiero e la volontà sempre presente di Dio. Il canto è fatto tre volte per dire che Dio è stato, è e sarà sempre presente. L’invocazione alla Trinità coinvolge tutta l’assemblea perché sia rivestita dalla forza e la presenza di Dio nell’avviarsi a celebrare il sacramento della sua presenza fisica. Il celebrante col Vangelo sale verso il santuario e indica con questo atto l’Ascensione di Cristo nel seno paterno, invitando anche noi a seguirlo nell’elevarci verso Dio padre, depone il Vangelo sul trono che è l’altare e si pone in atteggiamento di ascolto, come i discepoli attorno a Gesù che predica.

Lettura dell’Epistola
È il primo gradino che si sale nella scala dell’elevazione verso Dio. Il diaconi prepara la chiesa e il popolo con l’incenso alla venuta del Signore Gesù nella sua Parola proclamata nel Vangelo. È il profumo dello Spirito che ci deve pervadere per ascoltare e comprendere la Parola divina e purificare perché essa rimanga in noi. La luce dei ceri simboleggia la luce della Parola che viene e il diacono invita all’attenzione e concentrazione piena all’ascolto della Parola.


Lettura del Vangelo
Il popolo ascolta il vangelo proclamato e poi rende Gloria a Dio per l’annuncio di salvezza ricevuto. Il diacono restituisce il Vangelo al sacerdote, come il Verbo uscito dal Padre a Lui ritorna. Si richiudono le porte del santuario-Regno celeste, per dire che non vi è altro modo di intravedere il Regno se non attraverso le Parole della Sacra Scrittura, che è l’unico ingresso: “Io sono la porta”.


Seconde litanie o ektenìa
Il diacono di nuovo invita il popolo a rivolgersi in preghiera a Dio con sempre maggior forza. SI ricordano i vivi e i defunti, per i catecumeni, ma anche per chi pur avendo ricevuto il battesimo si discosta dal cammino della fede. A questo punto i catecumeni sono fatti uscire dalla Liturgia. Anche coloro che restano sono però invitati ad essere cosciente della propria indegnità e a temere di essere scacciato dal santuario come fece Gesù dal tempio. Ciascuno è invitato a bandire dalla propria anima il “catecumeno” che vi è albergato e a scacciarlo dal tempio perché rinasca in sé il fedele degno di partecipare ai divini misteri.


Liturgia dei fedeli
Il celebrante apre sul tavolo l’antimension, cioè un telo con disegnata la deposizione di Cirsto sul quale saranno posti il pane e il vino. Esso simboleggia i tempi in cui la Chiesa non aveva un luogo stabile per l celebrazione, perché perseguitata, e nell’antimension sono conservate anche delle reliquie. Ricorda oggi che non è il mondo la patria definitiva della Chiesa. Il sacerdote e il popolo si preparano alla parte centrale della liturgia: la consacrazione.


Inno cherubicon e grande ingresso
Rappresenta l’inno degli angeli che accolgono l’imperatore, secondo il rito che prevedeva l’ingresso fra la folla dell’imperatore sollevato in alto dai soldati e acclamato. I doni vengono portati in mezzo all’assemblea con una processione che simboleggia l’ingresso a Gerusalemme subito prima della passione. I doni vengono deposti sull’altare che rappresenta la tomba e la porta è richiusa, come il sepolcro, e coperti col velo che rappresenta il sudario.

Grande litania e supplica, abbraccio di pace e credo
Il diacono d nuovo invita a pregare sulle offerte e a scambiarsi la pace, come ricorda il vangelo di Matteo 5, 24, per offrire il sacrificio con animo riconciliato con tutti: questo rende possibile la professione di fede avviene che è nello spirito della Trinità, cioè per un amore che viene da Dio e non dagli uomini. Lo si ricorda quando si scambia il bacio di pace dicendo: “Cristo è in mezzo a noi, lo è e lo sarà”. Si conferma quanto fatto professando la fede nel credo. Il velo è agitato sui doni, simboleggiando la discesa dello Spirito su di essi.


Offerta eucaristica
Il santuario diviene ora il cenacolo e l’altare è la mensa del banchetto eucaristico, si alzano i cuori a DIo, come fece Gesù alzando gli occhi al cielo. Tutti partecipano alzando il cuore a Dio, cioè concentrando l’attenzione e i sentimenti come alla sua presenza. Il canto del Santo richiama l’inno trionfale dei serafini che fu udito dai profeti durante le visioni divine. Tutti sono trasportati in alto e partecipano al coro degli angeli che circondano la gloria di Dio. A questo canto è stato accodato il grido degli ebrei all’ingresso di Gerusalemme, Osanna, proprio per significare che all’innalzamento dei fedeli corrisponde la discesa di Dio verso la terra


Il sacerdote recita la preghiera di consacrazione con la memoria delle parole di Gesù nell’ultima cena. La mensa diviene altare, luogo del sacrificio dell’Agnello che dona la vita per la nostra salvezza. È il Golgota. Il sacerdote come Abramo sale sul monte del sacrificio lasciandosi dietro ogni preoccupazione e cura mondana ed è tutto rivolto verso Dio, porta su di sé il peso del legno che è l’amarezza per i propri peccati e la confessione delle proprie colpe, da far ardere al fuoco della penitenza spirituale


Si invoca lo Spirito Santo che opera la trasformazione del pane e vino in corpo e sangue di Cristo. Il diacono indica prima il pane e poi il vino e il sacerdote benedicendolo lo consacra. Il sacrificio è avvenuto attraverso la parola pronunciata, più tagliente ed efficacie della spada, come il Verbo proferito al momento della creazione.


Il sacerdote convoca tutta la chiesa, sia quella presente sulla terra che quella del cielo, Maria, i profeti, i patriarchi, i martiri e i santi perché intercedano per il popolo e ciascuno si unisce alla preghiera con le proprie intenzioni personali davanti al Signore che si è fatto presente al nostro cospetto.


Litania di supplica
Segue la grande litania in cui si supplica perché la presenza del Signore non sia causa di giudizio e di condanna. SI invoca chiedendo salvezza e perdono, misericordia nel giudizio di Dio e sostegno della sua grazia fino al momento della morte. Non si chiede più il sostegno e l’intercessione dei santi, ma si invoca direttamente il Signore che è presente, e tutti dicono “A te Signore” e ripetono la preghiera che lui ha insegnato, il Padre nostro.


Il popolo ora non è più come servi timorosi, ma siamo tutti come bambini davanti al loro padre e lo invochiamo fiduciosi e certi della sua benevolenza. Si arriva dunque ora, dopo un lungo processo di progressivo innalzamento e purificazione a quel livello supremo di intimità con Dio che permette di rivolgersi direttamente a lui chiamandolo “Papà”. E’ la preghiera che chiede tutto quello di cui si può avere bisogno nelle sue domande semplici e concrete. Si diviene così pronti a comunicare con il Signore stesso.

L’altare è ancora nascosto ai fedeli, durante la comunione dei celebranti. Si canta ora il tropario dei santi, per dire che anche l’uomo può aspirare alla santità cioè essere degno di Lui. Infatti non è il merito dell’uomo che rende santi, ma è la presenza di Cristo in lui che santifica l’uomo, come Lui è Santo.


Le specie sono distribuite col cucchiaino che simboleggia le molle con cui il Serafino prese il tizzone dall’altare per toccare le labbra di Isaia.


Le porte si aprono e il sacerdote porta il calice verso il popolo. La comunione è distribuita vicino ai santi e chi si accosta ad essa è più simile a loro. Come il tizzone preso dal Serafino, la comunione brucia ogni nostra impurità e ci trasforma dal di dentro. Le porte restano aperte per simboleggiare che il Regno è ora accessibile agli uomini, finché il Signore è fra di loro.

La comunione viene riportata dentro, incensata e il canto sottolinea che il Signore resta per sempre nel luogo della sua gloria che si celebra col canto dell’alleluja.

La liturgia si conclude con le preghiere di ringraziamento e di nuovo per tutti gli uomini che si desidera ricordare alla presenza del Signore. Si termina col congedo che richiama le parole di Simeone e Anna. “Ora lascia Signore che il tuo servo vada in pace secondo la tua parola…”.

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