mercoledì 2 marzo 2011

Scuola del Vangelo 2010/11 - XV incontro (Gesù e le folle)




Abbiamo parlato della difficoltà che noi abbiamo a vivere con interesse e partecipazione la presenza delle folle che attorniavano il Signore. Esse spesso sono per noi un fastidio, ci fanno paura, ci sembrano troppo grandi e confuse, portatrici di problemi.


Vorrei riprendere questo tema prendendo lo spunto da quanto sta avvenendo proprio in questi giorni a poche centinaia o migliaia di chilometri da noi, nel Nord Africa.


Come sappiamo il 15 gennaio il presidente della Tunisia Zine El Abidine Ben Àli è fuggito dal Paese, scacciato dalla forte protesta di piazza. La scintilla era stata accesa il 4 gennaio da Mohamed Bouazizi, un giovane tunisino di 27 anni, venditore ambulante di frutta e verdura che ha deciso di darsi fuoco pubblicamente in segno di protesta dopo che la polizia gli aveva confiscato la merce, la sua unica fonte di sostentamento. Era un giovane che aveva studiato e non trovava lavoro, e che alla fine decide con le poche economie che aveva di comprare un po’ di verdura per venderla in strada. Ed ecco che la polizia arriva e gli dice “tu non hai il permesso” e si prende tutta la roba. La sua vita viene troncata di colpo, così, mentre sta lottando per vivere, e allora si è dato fuoco. Un gesto assurdo e disperato, ma che ha suscitato una ondata di intensa emozione in tanti giovani arabi che condividono la stessa difficoltà di vivere e di costruirsi un futuro migliore.


Questo fatto ha suscitato un forte movimento di protesta in Tunisia. Dopo 11 giorni di manifestazioni di piazza, represse con una relativa durezza (i morti sono stati un centinaio circa) si è giunti ad una conclusione pacifica: un nuovo governo, pur con molte difficoltà, sta cercando di preparare il terreno, con l’elaborazione di una nuova Costituzione, per le prime elezioni libere che si dovrebbero tenere entro il 15 luglio.


Dalla Tunisia la protesta antigovernativa si è propagata ad altri Paesi arabi: Egitto, Marocco, Algeria, Yemen, Iran e Libia, paese quest’ultimo nel quale, purtroppo, stiamo ancora assistendo ad un bagno di sangue: Gheddafi come è noto ha usato persino l’aviazione militare per bombardare la folla in piazza.


Punto comune a tutti questi movimenti è che le proteste sono dirette contro regimi autoritari che durano da decenni, com'è il caso di Tunisia (21 anni), Egitto (quasi 30 anni), Libia (42 anni), Yemen (21 anni), etc... Si tratta di società bloccate e senza prospettive, con un futuro coperto dalla cappa pesante del perpetuarsi di potentati corrotti, senza libertà e democrazia.


Si tratta di manifestazioni che si sono svolte “a mani nude”, cioè senza aggressioni violente da parte della folla, che purtroppo a sua volta è stata vittima di repressione armata. Altra caratteristica è la presenza massiccia di giovani che hanno sostenuto e animato le manifestazioni, senza leader politici o religiosi ( i quali in maggior parte si trovano in carcere o in esilio): si tratta di movimenti spontanei, spesso ingenui, pieni di slogan fantasiosi, senza elementi di intolleranza religiosa.
Infine sono proprio i giovani quelli che hanno dimostrato una grande voglia di sognare e costruire, anche rischiando e pagando di persona, un futuro comune a uomini e donne di fedi diverse, in nome di valori come libertà, democrazia, giustizia, ecc… che non hanno un colore religioso.


Qui da noi come si è reagito a tutto ciò che stava avvenendo?

In Occidente negli ultimi decenni, dalla guerra del FIS e GIA in Algeria (inizio anni ’90) fino all’attentato alle Torri gemelle e nella metro di Londra e alla stazione Atocha di Madrid, all’immigrazione islamica in Europa Occidentale, si sono consolidate alcune immagini stereotipate dei musulmani. I mass media e gli intellettuali occidentali hanno cioè costruito dei modelli molto semplificati, e per questo efficaci e di facile diffusione televisiva e presa sulle masse, secondo i quali alle società musulmane, nonché ai singoli credenti, sono stati automaticamente attribuiti i seguenti comportamenti e caratteristiche, quasi un codice genetico:


oscurantismo;
arretratezza culturale;
normalità, anzi “sacralità” dell’uso della violenza a fini politici e religiosi (la nota “guerra santa” e gli “sgozzamenti rituali”);
un’aggressività connaturata con il credo musulmano;
intolleranza e integralismo religiosi come volto ordinario dell’islam e non sua aberrazione estremistica;
tendenza a ingannare mostrando un volto più tollerante al fine di nascondere la vera anima dell’islam;
rifiuto viscerale di tutto ciò che è cultura occidentale;
tendenza all’isolazionismo;
disprezzo della donna; ecc…


E' vero, esistono in alcuni ambienti islamici tendenze simili (ma anche in Occidente ne abbiamo espressioni, basti pensare ai neo-nazi, o ai fondamentalisti protestanti in USA o agli ebrei ultra-ortodossi di Meah-Sharim, ecc...) ma compiere delle arbitrarie generalizzazioni non ha aiutato certamente ad avere una visione più chiara della realtà. Si è preferito cioè deliberatamente costruire del mondo musulmano una caricatura che veniva sbandierata ad ogni occasione: in televisione, nei dibattiti pubblici, nella politica (vedi ad esempio la Lega e il suo rifiuto alla costruzione delle moschee o addirittura ai negozi che vendono cibo dei paesi musulmani, i kebab), e che purtroppo ha coinvolto anche tanti cristiani che vedevano in questa demonizzazione del musulmano un motivo per il rafforzamento, nelle società occidentali, delle presunte “radici cristiane”. Ma, ci chiediamo oggi, che radici cristiane sono quelle che si nutrono di intolleranza per chi è diverso da me e che fondano la propria identità nell’essere “contro” qualcun’altro?


Eppure tanti l’hanno creduto.


Sono nati così i famosi “atei devoti” (i Giuliano Ferrara, Oriana Fallaci, Eugenio Scalfari, ecc…) che pur non essendo cristiani, ed anzi professandosi apertamente atei, appoggiavano la polemica antimusulmana utilizzando strumentalmente le “radici cristiane” della civiltà occidentale, fino a renderle una specie di decorazione del loro comodo mondo salottiero: la bellezza del suono delle campane, l’architettura sacra, il senso rassicurante della cultura contadina, ecc… Tutte cose che hanno molto poco a che vedere con un Vangelo incarnato nel mondo di oggi, e per questo inoffensive e accettate.


I fatti che sono avvenuti e che ancora sono in corso in Nord Africa e nel mondo Arabo hanno del tutto sparigliato le carte di questo gioco di schemini semplificati preconfezionati:


I giovani musulmani si sono rivelati assai simili ai nostri giovani occidentali, con un diffuso uso di internet, Twitter, Facebook, seguono le stesse mode e hanno gli stessi modelli culturali di massa (consumismo, televisione, aspirazione al benessere, ecc…);


Le loro rivendicazioni non erano per una società oscurantista e arretrata, piena di divieti e per un ritorno al passato, ma aspirazioni democratiche e di libertà, voglia di un futuro migliore;


Il loro comportamento in piazza Tahrir (al centro del Cairo) non aveva nulla della rozzezza primitiva del trucido fanatico musulmano con la spada in una mano e il Corano nell’altra: le uniche loro armi erano striscioni, slogan, resistenza passiva e pacifica, presenza e compattezza, c’era un’atmosfera quasi di festa popolare;


c’era una presenza massiccia di donne, in prima fila nello scandire slogan e mostrare striscioni.


La protesta ha visto assieme, mano nella mano, giovani musulmani e cristiani, spontaneamente raccolti dal desiderio comune di futuro e non loscamente manovrati da figuri con il turbante, gli striscioni dicevano “Musulmano e cristiano, una sola mano”, oppure “Musulmani e cristiani uniti contro il governo”.


Insomma i recenti fatti sono stati una vera e propria sconfessione delle certezze del mondo Occidentale che aveva già capito tutto, interpretato e giudicato, e ripeteva formule trite e ritrite sulla base delle analisi dei presunti “esperti” formatisi ad Harvard o Yale.


Ma tutte queste carte andate in aria invece di provocare un senso di stupita curiosità, di interesse e il tentativo di rimettere in discussione le conoscenze del passato ha spinto il mondo occidentale, attraverso i media e i commentatori, in due diverse direzione: da un lato cercare di riproporre le vecchie letture dicendo che quello che si vedeva dall'esterno era solo un’apparenza e la realtà erano i presunti manovratori nascosti nell’ombra (ad esempio all’inizio delle rivolte si diceva che sarebbe finita come in Iran con l’instaurazione di un regime teocratico e oscurantista, peccato che il contesto era completamente diverso); dall’altro lato leggere la svolta storica che stava avvenendo guardando dal buco della serratura del proprio interesse e tornaconto: tutto ciò che stava avvenendo si involgariva in un lamento per il paventato aumento del flusso degli immigrati, l’innalzamento del prezzo del petrolio (dovuto alla speculazione delle compagnie occidentali che lucrano sempre nei momenti di disordini o incertezza politica e istituzionale), le paure nelle sue varie espressioni, le prudenze a prendere posizione delle Cancellerie occidentali che dovevano sconfessare decenni di appoggio ai regimi oggi sconfessati dalle piazze, ecc...


Cioè si è dimostrato come davanti alle folle del Nord Africa che rivendicavano con forza e pacificamente il proprio desiderio di un futuro nuovo, più giusto e libero la reazione dei popoli occidentali era lo spavento e la presa di distanza, senza la minima simpatia e partecipazione, senza provare pietà per gente umiliata da decenni di mancanza di libertà, subiti per di più con la benedizione dei nostri Paesi.


Infatti va aggiunto che il paranoico allarme degli analisti occidentali sul pericolo islamico visto dietro ogni angolo ha offerto il destro ai regimi corrotti dei Paesi citati per giustificare agli occhi dell’Occidente (USA ed Europa per primi) la loro politica repressiva come un comodo rimedio alle nostre paure del terrorismo fondamentalista. Con la scusa della mano pesante contro tutte le espressioni di un islam politico e radicale (come ad esempio i Fratelli Musulmani) i Ben Ali, Mubarak, Gheddafi, ecc… si sono garantiti l’immunità da ogni critica per la loro negazione dei minimali diritti civili e anzi l’appoggio occidentale alle loro politiche accentratrici del potere e degli affari nelle mani dei loro clan familiari.


Quanto questo gioco sia stato sporco è emerso con chiarezza dal fatto che, ad esempio, dopo la caduta di Mubarak in Egitto il suo ministro degli interni Habib El Adly sia stato incriminato per aver effettuato attraverso i Servizi Segreti Egiziani l’attentato di Capodanno contro la chiesa copta Dei Santi ad Alessandria, del quale il Governo aveva incolpato Al Quaeda.


Tutta questa vicenda ci dice come sia difficile voler bene alle folle, e facile, quasi istintivo e naturale, disprezzarle e provare inimicizia e fastidio per la loro presenza ingombrante, causa di turbamento per la nostra tranquillità personale.


Vorrei adesso leggere alcuni brani di un diario che un giovane musulmano ha scritto durante i giorni in cui ha partecipato come testimone e protagonista dei fatti di Midan Tahrir (Piazza della Libertà), al Cairo. Essi credo ci aiutino ad assumere un atteggiamento meno distaccato e più partecipe, simile almeno un po’ ai sentimenti che provava Gesù di fronte alle folle: simpatia, compassione, desiderio di essere vicino, pietà.

«Ero al Cairo due giorni prima dell’attacco alla chiesa di Alessandria (avvenuto il 1 gennaio 2011) per preparare un congresso sulle tradizioni islamiche.
Sono rimasto shoccato dall’attacco ad Alessandria. Nel quartiere del Cairo vecchio, dove vivono cristiani e musulmani, normalmente non c’è mai nessun segno di tensione. In quei giorni invece le cose sono cambiate.
Dopo l’attacco il Grande Imam di Al-Hazar (la massima autorità religiosa islamica) ha fatto una dichiarazione contro i terroristi, dicendo che quello di Alessandria era un attacco contro una “casa della nostra famiglia”.
Il 25 gennaio alcuni giovani iniziano a occupare la piazza Tahrir, di loro iniziativa spontanea. C’erano già dei giovani fratelli musulmani in piazza il primo giorno.
Un’alta autorità religiosa islamica davanti alla tv che continua a riprendere la piazza mi dice: “non ho mai visto una cosa così. Sta succedendo qualcosa”. Io ero ancora scettico.

Venerdì 28
Il giorno prima i giovani hanno chiesto ai fedeli di venire sulla piazza Tahrir dopo la preghiera da tutte le moschee. La mattina la polizia si è schierata davanti a tutte le moschee per prevenire assembramenti. Non crede che nessuno vada, pensavo che non poteva funzionare.
Sempre la mattina del venerdì nessuna rete cellulare funziona e nemmeno internet. Solo il telefono fisso funziona. Vado alle 10 alla moschea di Al-Azhar per la preghiera. L’omelia del predicatore ufficiale è tutta incentrata sulla calma, contro la divisione del popolo e chiede di non andare alla marcia di piazza Tahrir. Ma all’uscita la gente spontaneamente si mette in fila e inizia a marciare verso la piazza. Come se il predicatore non avesse detto niente! Sono rimasto meravigliato e li ho seguiti. I poliziotti non sapevano che fare, non avevano ordini (anche perché non avevano i cellulari funzionanti, le radio ce l’hanno solo i capi). Si gridavano slogan ma non tanto contro Mubarak. Soprattutto: “libertà, lavoro!”.
Arrivati a un chilometro dall’Opera (una piazza fra la moschea di Al-Azhar e la piazza Tahrir), c’è un muro di poliziotti. Lanciano lacrimogeni. La gente urla contro di loro: “polizia assassina!”. Il clima si scalda. Iniziano i primi feriti. A quel punto la gente che stava a guardare lungo le strade laterali e dai negozi, entra nel corteo e va all’attacco della polizia. Appena erano iniziati i lacrimogeni, mi ero messo in una libreria che conosco. Accanto c’è un caffè con tre giovani che fumavano il narghilè e guardavano distrattamente il corteo. Appena hanno visto i primi feriti sono scattati anche loro.
Ho visto molti feriti. I commercianti hanno iniziato a chiudere i negozi. A frammenti ci arrivavano notizie che da tutte strade la gente va verso Tahrir: i cortei spingevano per entrare e la polizia cercava di respingerli. Era la stessa scena dappertutto: la polizia bloccava e sparava. Ho visto molto sangue. Addirittura davo consigli su come fare per proteggersi dai lacrimogeni perché ho l’esperienza delle manifestazioni con il FIS (aceto, cipolla ecc..).
Non potevamo comunicare con nessuno. Torno a casa alle 18.00. Ancora nessuno crede alla possibilità di un cambiamento.
Alle 19.30 riesco e mi accorgo che non c’è più nessun poliziotto per strada. È il momento in cui i giovani danno fuoco alla sede del partito di governo: quelle immagini che sono andate in onda per due giorni sulla TV al Jazira. Ma è anche il momento dei casseurs e dei picchiatori pagati dal partito che cominciano i saccheggi. Vado vicino al-Azhar, nelle stradine davanti alla moschea al Gouria, ci sono negozi cristiani di orafi e altro. Ho visto una macchina di casseurs che arriva, scendono e rompono il negozio di un orafo cristiano. Sfondano la vetrina. Arrivano i giovani e li cacciano, quelli scappano con la macchina. Subito dopo ho visto una scena da non credere: uno di questi giovani, che sembrava un semplice operaio, dice agli altri: “hanno sfondato la vetrina di un cristiano per metterci gli uni contro gli altri. Non va bene. Dobbiamo riparare” e inizia a dare fuoco alla vetrina accanto, quella di un musulmano, aiutato dai suoi amici. “Così –dicono - non ci sarà motivo di polemica” e vanno via. Ero shoccato: come faceva questo giovane ad avere un tale senso dell’unità nazionale, lui che sembrava un tipo semplice? Intanto i casseurs entrano al museo egizio e ne danneggiano una parte.

Sabato 29
La mattina non c’è ancora polizia in giro. I giovani se la prendono coi simboli del potere che trovano. Ogni quartiere viene controllato da squadre di autodifesa organizzate dalla gente. Ci sono posti di blocco di civili che con gentilezza ti chiedono di poter controllare la macchina per vedere se ci sono armi. C’è un bel clima, un clima strano. La gente sembra felice di controllarsi da sola, senza la solita polizia che ti taccheggia. Ma ancora niente cellulari. Continuano i saccheggi ma questo lo si vede alla tv, che è l’unica cosa che funziona. È l’unica fonte di informazione disponibile.
La sera scendo verso piazza Tahrir. Passo davanti alla sinagoga, vicino alla piazza, e, con mia grande sorpresa, vedo che nessuno l’ha toccata! Ho provato a bussare ma nessuno mi ha risposto. Prima c’erano sempre blindati davanti e non si poteva arrivare proprio davanti al portone. Vado a vedere la chiesa sotto il ponte Ramses (sempre in quella zona): nessun danno e accanto ad essa un ufficio del partito unico completamente bruciato! Non entro in piazza.
Ho visto in questo giorno quello che non avevo mai visto nel mondo arabo: per strada c’erano tutti, partiti, gruppi etnici, religioni, in un stato quasi mistico, quasi a cercare di unificarsi con la propria patria dopo una lunga separazione, dopo che la prepotenza ne aveva deformato l’immagine.

Domenica 30
Stessa cosa: un giro in centro città. Fino a quel momento non si dice rivoluzione ma “movimento” dei giovani. Finalmente entro in piazza Tahrir. Rimango tre ore. Ero impressionato! Non ero un leader o uno che lottava per la liberazione, ma ho visto tante cose nuove. Ho visto i salafiti (musulmani integristi) che mettevano il rito in secondo piano rispetto all’unità con gli altri. Ho visto i fratelli musulmani mettere la patria in primo piano. Tutti criticavano chi proclamava slogan a sfondo religioso e dicevano loro di smettere. Ho visto gli azariti (studenti della Facoltà di teologia musulmana) in piazza con la bandiera nazionale. I copti criticavano Shenouda che sosteneva ancora Mubarak. Un giovane copto aveva un cartello che diceva “partecipo alla manifestazione malgrado il papa Shenouda” (il capo della Chiesa Ortodossa copta). Tutti mettevano la patria al centro. Una bella convivenza. Era una manifestazione di civiltà spontanea. Era un mosaico. Le ragazze e i ragazzi insieme, senza complessi, senza che nessuno desse fastidio alle donne. Un ragazzo di 28 anni non religioso, precario, non sposato, mi ha raccontato un po’ la sua vita sbagliata. Gli ho chiesto perché stava in piazza e mi ha detto “il sentimento patriottico è più forte”. In piazza c’era come un nuovo mondo: ognuno aveva fiducia negli altri, nessuno approfittava di nulla, nessuno dava fastidio agli altri, tutti erano felici, nessuno rubava, se davi soldi a uno per comprare qualcosa tornava con il resto, ecc… come ho fatto con un giovane per comprare due pizze.
La sera vedo la tv egiziana che diceva che a Tahrir “ci sono solo israeliani, americani, somali, e gente di Hamas (partito integralista islamico fuori legge in Egitto) fuggita dalle carceri!”. La tv dice che i giovani fanno sesso in piazza ecc.

Lunedì 31
Improvvisamente si rimettono in funzione cellulari e internet. I giovani convocano la marcia del milione. Tra i professori di Al Azhar, ciascuno ha un figlio o una figlia che sta su internet e va a Tahrir. Ne parliamo per ore. Ma tutti ancora credono che la cosa finirà presto. Dico che è un movimento di giovani istruiti e che bisogna fare qualcosa.

Martedì 1 febbraio
Marcia del milione. Alle 10.00 torno sulla piazza. La piazza esprimeva l’unione sincera della nazione. Era il contrario di ciò che avevo visto dopo l’attacco di Alessandria. Era il contrario dell’artificiosa propaganda del regime. Sulla piazza gli slogan mostravano l’unità tra mezzaluna e croce. Un anziano musulmano portava una scritta “il mio nome è Islam, mio fratello si chiama Samuele (è un nome cristiano), viviamo e moriamo insieme”. I nomi dei martiri caduti sono cristiani e musulmani. Una ragazza ha tolto il foulard per darlo a un musulmano per stenderlo a terra e fare la preghiera. Ho parlato con lei: era una cristiana. Uno spettacolo raro. Non dimentico il giovane copto che faceva il ripetitore della preghiera nel pomeriggio, perché non c’erano microfoni. Così aiutava la preghiera dei suoi fratelli musulmani. Era uno spettacolo! Sentiamo la mancanza di tali momenti! Era una vera convivenza.
Gli oratori che esageravano in senso troppo religioso o troppo laicista, venivano zittiti dalla folla con urla. Si cercava il giusto mezzo. Chi gridava “islamiyya islamiyya” venivano zittito.
Ho parlato con dei medici, che stavano sulla piazza per aiutare, del dialogo coi cristiani. Nessuno di loro aveva problemi.

Mercoledì 2
E’ la giornata dell’attacco coi cavalli e i cammelli. Mubarak reagisce. In fratelli musulmani –che sono i più organizzati- aiutano i giovani a resistere sulla piazza, la folla ondeggia paurosamente. Per ore va avanti e indietro. I militari sembrano non sapere cosa fare e lasciano compiere l’attacco.
Intanto i giovani cominciano a parlare di “rivoluzione”, ripresi dai giornali. Da “movimento” si passa a “rivoluzione” sulle bocche di tutti. L’esercito fa sapere che non attaccherà i giovani. Il suo portavoce appare sulla piazza.
Lo Sheikh di al Azhar fa una dichiarazione in cui dice che: “l’islam considera la libertà come cosa sacra. Occorre difendere tutte le libertà. Condanna l’ingiustizia. L’islam è sempre con il popolo nelle sue legittime richieste di giustizia, di libertà, di buona vita. Sono molto felice del ruolo dell’esercito che sta con il popolo e che ha dichiarato che non può stare contro la volontà del popolo. Ogni azione che provochi versamento di sangue è condannata dalla sharia, davanti a Dio e davanti al popolo. Chiedo a tutte le forze politiche senza esclusione di iniziare un dialogo”. E così include anche i Fratelli musulmani.

Giovedì 3
Ci sono molti morti davanti al ministero dell’interno. Non mi muovo da casa.

Venerdi 4
Seconda dichiarazione dello Sheikh di al Azhar: “chiedo ai giovani di guardare al futuro, che vedo luminoso con voi e per voi. Voi siete il futuro. I giovani morti sono martiri”. È il primo a usare questa parola. Vado alla preghiera ad Al Azhar. Il predicatore di Stato non sa che posizione prendere, resta sul vago. Dopo la preghiera tutti i fedeli vanno di nuovo a Tahrir. Si aspetta per ore il discorso di Mubarak, che delude. È la sera delle scarpe. A quel punto la situazione appare bloccata. Ci si aspetta il bagno di sangue.

Seguono giorni di stallo.

Venerdi 11
Mubarak se ne va. Torno sulla piazza. È una festa! »

Davanti a questi fatti potremmo dire: “Noi che c’entriamo?” sono cose lontane e non ci riguardano, abbiamo i nostri problemi e di questi dobbiamo occuparci. Io però credo che nel nostro tempo la folla che cercava e chiedeva aiuto a Gesù non è solo quella del mio quartiere o al massimo della mia città. In un mondo globalizzato la dimensione nella quale la storia ci proietta è quella del mondo, e anche le folle del Cairo ci interpellano. Sono persone che cercano un futuro migliore e lo intravedono in ciò che per noi è scontato: libertà, democrazia, sviluppo economico e sociale. Non si può reagire a tutto ciò richiudendosi a riccio, per paura che venga intaccato il nostro benessere o la nostra tranquillità.


Gesù si fa inquietare dalla folla, accetta di confrontarsi con lei anche quando questa è ostile o non sa cosa chiedere e chiede male. Cerca di interpretare il bisogno profondo che non sa esprimere, quello di salvezza e di un futuro nuovo. Forse anche per noi quanto succede in Egitto e dintorni è una sfida ad essere all’altezza della nostra vocazione cristiana che, in un tempo come il nostro, non può solo limitarsi a guardare il cortile di casa o poco più in là. C’è bisogno di esprimere simpatia, comprensione, di non giudicare e respingere, di pregare e sperare che il futuro sia veramente nuovo per loro e anche per noi. Chi infatti non sa farlo vive con un o spirito spento e vecchio, senza futuro e possibilità di costruire qualcosa di buono per sé o per altri.

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