mercoledì 6 aprile 2011

Scuola del Vangelo 2010/11 - XX incontro (V di Quaresima) . Preghiera in memoria dei martiri del XX secolo

Preghiera in memoria dei martiri

e dei testimoni della fede

del XX e XXI secolo


Canto di Quaresima


Preghiera introduttiva


O Dio, origine e fonte di ogni paternità, che hai reso fedeli alla croce del tuo Figlio fino all'effusione del sangue i santi martiri e i testimoni della fede, per la loro intercessione fa' che diventiamo missionari e testimoni del tuo amore fra gli uomini, per chiamarci ad essere tuoi figli. Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio e vive e regna nei secoli dei secoli Amen


Prima Lettura Atti 6,8-10; 7,54-60

In quei giorni, Stefano pieno di grazia e di potenza, faceva grandi prodigi e miracoli tra il popolo. Sorsero allora alcuni della sinagoga detta dei «liberti» comprendente anche i Cirenei, gli Alessandrini e altri della Cilìcia e dell'Asia, a disputare con Stefano, ma non riuscivano a resistere alla sapienza ispirata con cui egli parlava. All'udirlo, fremevano in cuor loro e digrignavano i denti contro di lui. Ma Stefano, pieno di Spirito Santo, fissando gli occhi al cielo, vide la gloria di Dio e Gesù che stava alla sua destra e disse: «Ecco, io contemplo i cieli aperti e il Figlio dell'uomo che sta alla destra di Dio». Proruppero allora in grida altissime turandosi gli orecchi; poi si scagliarono tutti insieme contro di lui, lo trascinarono fuori della città e si misero a lapidarlo. E i testimoni deposero il loro mantello ai piedi di un giovane, chiamato Saulo. E così lapidavano Stefano mentre pregava e diceva: «Signore Gesù, accogli il mio spirito». Poi piegò le ginocchia e gridò forte: «Signore, non imputar loro questo peccato». Detto questo, morì.


Salmo 22 - Dio mio, perché mi hai abbandonato?


Vangelo Mt 10,17-22 In quel tempo, Gesù disse ai discepoli: «Guardatevi dagli uomini, perché vi consegneranno ai loro tribunali e vi flagelleranno nelle loro sinagoghe; e sarete condotti davanti ai governatori e ai re per causa mia, per dare testimonianza a loro e ai pagani. E quando vi consegneranno nelle loro mani, non preoccupatevi di come o di che cosa dovrete dire, perché vi sarà suggerito in quel momento ciò che dovrete dire: non siete infatti voi a parlare, ma è lo Spirito del Padre vostro che parla in voi. Il fratello darà a morte il fratello e il padre il figlio, e i figli insorgeranno contro i genitori e li faranno morire. E sarete odiati da tutti a causa del mio nome; ma chi persevererà sino alla fine sarà salvato».



COMMEMORAZIONE DEI TESTIMONI DELLA FEDE


Ascoltiamo la voce dei martiri e testimoni della fede dell’EUROPA

Franz Jägerstätter nasce il 20 maggio 1907 in un paesino dell’ Austria a pochi chilometri dal confine con la Germania. E’ un semplice contadino, non ha studiato molto, mantiene con il suo umile lavoro la moglie e due bambine piccole. Allo scoppio della II guerra mondiale viene chiamato alle armi, ma lui si rifiuta di partire come soldato del regime nazista che giudica anticristiano e per una guerra sanguinosa ed ingiusta. La famiglia lo sostiene in questa estrema e coraggiosa scelta morale e lo lascia libero di decidere secondo la sua coscienza cristiana. Franz viene ghigliottinato a Brandeburgo (Berlino, nello stesso carcere si trovava anche Bonhoffer) il 9 agosto 1943 perché non vuole imbracciare le armi per servire il nazismo. Ha lasciato scritto nel suo testamento: “Scrivo con le mani legate, ma preferisco questa condizione al sapere incatenata la mia volontà. Non sono il carcere, le catene e nemmeno una condanna che possono far perdere la fede a qualcuno o privarlo della libertà […]. Perché Dio avrebbe dato a ciascuno di noi la ragione ed il libero arbitrio se bastava soltanto ubbidire ciecamente? O, ancora, se ciò che dicono alcuni è vero, e cioè che non tocca a Pietro e Paolo affermare se questa guerra scatenata dalla Germania è giusta o ingiusta, che importa saper distinguere tra il bene ed il male? ”.


Preghiamo:


Ti preghiamo o Signore per tutti i cristiani che hanno sofferto per la loro fede, aiutaci a vivere come loro un amore più forte della morte, noi ti preghiamo.


Kyrie Eleison, Kyrie Eleison, Kyrie Eleison


Per le vittime dei totalitarismi e delle dittature, perché la testimonianza dei martiri ci rafforzi nell’impegno a costruire un futuro di pace in Europa, noi ti preghiamo.


Kyrie Eleison, Kyrie Eleison, Kyrie Eleison


Perché la testimonianza di unione dei cristiani nel dolore della persecuzione affretti il cammino verso l’unità di tutte le Chiese e le comunità cristiane, noi ti preghiamo.


Kyrie Eleison, Kyrie Eleison, Kyrie Eleison


Ascoltiamo la voce dei martiri e testimoni della fede dell’AFRICA

All’alba del 30 aprile 1997, verso le ore 5.00 del mattino una banda armata attaccò il seminario di Buta, nel Burundi, uccidendo i 44 seminaristi che vi si trovavano. Avevano fra i 15 e i 20 anni, erano di etnia mista e, grazie allo sforzo degli educatori, erano rimasti tutti insieme vincendo ogni divisione etnica o tribale. Quando gli assassini li sorpresero ancora a letto ordinarono loro di separarsi in base alle diverse etnie, tutsi da una parte e hutu dall’altra, ma i giovani rifiutarono di separarsi, restando uniti fino alla morte. Alla fine della guerra la cappella del seminario di Buta è divenuto un santuario e un luogo di pellegrinaggio nel quale i burundesi vengono a pregare per la riconciliazione e la pace nel loro paese. Jolique Rusimbamigera fu l’unico giovane a sopravvivere e ha lasciato questa testimonianza: “Erano più di cento, sono entrati nel dormitorio dove si trovavano le tre classi del ciclo superiore e hanno cominciato a sparare in aria quattro volte per svegliarci. Subito hanno cominciato a minacciarci e sono passati tra i letti, ci ordinavano di dividerci … ma noi restavamo uniti. Allora il loro capo si è spazientito e ha dato l’ordine: Sparate su questi imbecilli che non vogliono dividersi. Mentre giacevamo nel nostro sangue pregavamo e imploravamo il perdono per quelli che ci uccidevano. Sentivo le voci dei miei compagni che dicevano: ‘Padre perdona loro perché non sanno quello che fanno’ “


Preghiamo:


O Signore Nostro Gesù Cristo che dall’altro della croce rivolgi agli uomini parole di perdono, fa che sappiamo restarti vicino, ai piedi delle tante croci piantate ancora oggi ovunque nel mondo, noi ti preghiamo.


Kyrie Eleison, Kyrie Eleison, Kyrie Eleison


Ti preghiamo o Signore, dona al Continente Africano, bagnato dal sangue di tanti testimoni della fede, una pace duratura e la salvezza dalla povertà. , noi ti preghiamo.


Kyrie Eleison, Kyrie Eleison, Kyrie Eleison


O Signore della pace, sostieni quanti annunciano il Vangelo in situazioni di pericolo e persecuzione. Sostienili col tuo amore, noi ti preghiamo.


Kyrie Eleison, Kyrie Eleison, Kyrie Eleison


Ascoltiamo la voce dei martiri e testimoni della fede dell’OCEANIA

To Rot, nacque a Rukunai, (Nuova Guinea)e nell’anno 1916. Egli fu scelto dal suo parroco per diventare catechista. Nel 1934 iniziò a lavorare nel suo villaggio come catechista e maestro. Nel 1942, i Giapponesi fecero arrivo alla Nuova Bretagna. I missionari stranieri, vennero tutti mandati in un campo di prigionia. To Rot, prese l’incarico a Rakunai di mantenere la comunità cattolica unita. Portò i bambini a scuola e insegnava loro il catechismo come aveva sempre fatto, cominciò anche a presiedere la preghiera della Domenica. Battezzò anche alcuni bambini, in assenza del sacerdote, e visitò i malati. In più visitava segretamente i missionari nei campi dei Giapponesi. Un giorno To Rot venne chiamato a Rabaul, dove la polizia giapponese gli fece molte domande sul suo lavoro nel villaggio. To Rot disse ai Giapponesi: “voi avete portato via i nostri preti, però voi non potete proibirci di essere cattolici e di vivere come cattolici.” Per questo motivo egli fu arrestato, imprigionato, dichiarato e trovato colpevole di aver infranto la legge perché aveva continuato a radunare le persone per pregare. Per questo gli fu inflitta la condanna a morte. Il giorno della sua esecuzione To Rot si lavò, si mise i vestiti puliti, piegò le sue coperte, dopo andò fuori aspettando e pregando per cosa lui sapeva sarebbe stata la sua ultima ora. Il catechista morto è stato sepolto ai piedi di una croce la quale era piazzata al centro del suo villaggio. “Io sono qui per questi... che non volevano la sviluppo del regno di Dio”.


Preghiamo:


O Padre misericordioso, guarda benigno il nostro mondo, ancora troppo insanguinato per i conflitti e la violenza. Fa che il buon seme del martirio produca frutti di pace e la conversione dei nostri cuori, noi ti preghiamo


Kyrie Eleison, Kyrie Eleison, Kyrie Eleison


Dona a tutti i popoli dell’Oceania di udire presto l’annuncio del Vangelo che ha dato a tanti testimoni della fede la forza di non vivere per sé stessi, noi ti preghiamo.


Kyrie Eleison, Kyrie Eleison, Kyrie Eleison


Proteggi o Signore i religiosi, i sacerdoti, i laici che nel tuo nome continuano a diffondere il Vangelo della carità e del perdono, noi ti preghiamo.


Kyrie Eleison, Kyrie Eleison, Kyrie Eleison


Ascoltiamo la voce dei martiri e testimoni della fede dell’ASIA

Shahbaz Bhatti, ministro per l minoranze religiose del Packistan è stato ucciso il 2 marzo 2011 a Islamabad. Aveva scritto nel suo testamento spirituale: “Sono nato in una famiglia cattolica. Mio padre, insegnante in pensione, e mia madre, casalinga, mi hanno educato secondo i valori cristiani e gli insegnamenti della Bibbia, che hanno influenzato la mia infanzia. Mi sono state proposte alte cariche al governo e mi è stato chiesto di abbandonare la mia battaglia, ma io ho sempre rifiutato, persino a rischio della mia stessa vita. La mia risposta è sempre stata la stessa: "No, io voglio servire Gesù da uomo comune". Questa devozione mi rende felice. Non voglio popolarità, non voglio posizioni di potere. Voglio solo un posto ai piedi di Gesù. Voglio che la mia vita, il mio carattere, le mie azioni parlino per me e dicano che sto seguendo Gesù Cristo. Tale desiderio è così forte in me che mi considererei privilegiato qualora - in questo mio sforzo e in questa mia battaglia per aiutare i bisognosi, i poveri, i cristiani perseguitati del Pakistan - Gesù volesse accettare il sacrificio della mia vita. Voglio vivere per Cristo e per Lui voglio morire. Non provo alcuna paura in questo paese. I passi che più amo della Bibbia recitano: "Ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero forestiero e mi avete ospitato, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, carcerato e siete venuti a trovarmi". Così, quando vedo gente povera e bisognosa, penso che sotto le loro sembianze sia Gesù a venirmi incontro. Per cui cerco sempre d'essere d'aiuto, insieme ai miei colleghi, di portare assistenza ai bisognosi, agli affamati, agli assetati".

Preghiamo:


O Padre di eterna bontà, ti preghiamo per tutti coloro che soffrono nel mondo a causa della violenza fratricida. Soccorri chi è ferito nel corpo e nello spirito, perché ogni piaga sia guarita con l’unguento della tua misericordia infinita. Noi ti preghiamo


Kyrie Eleison, Kyrie Eleison, Kyrie Eleison


Dona o Signore al continente asiatico di vivere nella pace e nell’amore, perché il sangue dei tanti che hanno offerto il loro sangue per tuo amore sia seme di un futuro nuovo, noi ti preghiamo.


Kyrie Eleison, Kyrie Eleison, Kyrie Eleison


Abbi misericordia o Dio di tutti coloro che cedono alla tentazione del male: per i peccatori, i persecutori, coloro che insultano il tuo nome, coloro che profanano la santità della vita umana, dono loro perdono e salvezza, noi ti preghiamo.


Kyrie Eleison, Kyrie Eleison, Kyrie Eleison


Ascoltiamo la voce dei martiri e testimoni della fede dell’AMERICA

Mons. Oscar Arnulfo Romero, arcivescovo di San Salvador, il 24 marzo 1980 è stato assassinato mentre celebrava l’eucarestia. Il suo sangue si è mescolato con le ostie ed il vino che stava consacrando. Otto giorni prima del suo assassinio aveva detto: “Finché i contadini, e gli operai e i loro dirigenti non hanno sicurezza; finché il popolo viene sistematicamente assassinato dalle forze di repressione della giunta, io, che sono un semplice servitore del popolo, non ho nessun diritto di cercare misure di sicurezza. Vi prego di non fraintendermi: non voglio morire, perché so che il popolo non lo vuole, ma non posso tutelare la mia vita come se fosse più importante della loro vita. La più importante è quella dei contadini, degli operai, delle organizzazioni popolari, dei militanti e dei dirigenti, ed essi muoiono tutti i giorni; ogni giorno ne trucidano venti, trenta, quaranta o più ancora. Come potrei adottare delle misure di sicurezza personale? Sì, possono uccidermi; anzi, mi uccideranno, benché alcuni pensino che sarebbe un grave errore politico; ma lo faranno ugualmente, perché pensano che il popolo sia insorto dietro le pressioni di un vescovo. Ma non è vero: il popolo è pienamente consapevole di chi sono i suoi nemici; e altrettanto conosce bene i propri bisogni e le alternative che si presentano. Se uccidono me, resterà sempre il popolo ,il mio popolo. Un popolo non lo si può ammazzare. “


Preghiamo:


O Signore ti ringraziamo perché anche dove il male è sembrato vincere è sempre risuonato forte l’annuncio gioioso della tua Resurrezione, noi ti preghiamo.


Kyrie Eleison, Kyrie Eleison, Kyrie Eleison


O Padre, ti preghiamo per tutti i popoli in guerra, per i poveri oppressi dalla miseria, per i prigionieri, per i condannati a morte, fa che l’amore testimoniato dai martiri ci renda capaci di vincere il male con il bene. Noi ti preghiamo.


Kyrie Eleison, Kyrie Eleison, Kyrie Eleison


Per tutti i pastori che con coraggio indicano al popolo dei discepoli di Cristo la via dell’amore e della pace come l’unica che conduce al regno dei cieli, noi ti preghiamo


Kyrie Eleison, Kyrie Eleison, Kyrie Eleison

Padre nostro

Preghiera conclusiva


Padre che durante tutto il Novecento hai accolto nel tuo regno una schiera cosi grande di martiri e testimoni della fede, accogli oggi la nostra preghiera, perché sappiamo raccogliere la loro eredità preziosa d’amore, divenendo testimoni e annunciatori audaci del Vangelo ovunque nel mondo, Per Cristo nostro Signore.


Abbraccio di pace


Canto di S. Francesco



Il papa Giovanni Paolo II e i martiri del XX e XXI secolo (tratto dal libro A. Riccardi, Il secolo del martirio, Mondadori, Milano 2009)


Era la Domenica delle Palme del 2000 e salii all’appartamento di Giovanni Paolo 11 in Vaticano, per il pranzo. Il papa, già malato, mi aspettava seduto a tavola per un incontro fuori dell’ordinario. Non avevo capito il motivo di quell’invito, anche perché ero stato da lui meno di una settimana prima. Il papa aveva sul tavolo da pranzo le bozze di questo libro (che uscì, nella prima edizione, pochi giorni dopo). Fu molto affettuoso come il solito e, dopo avermi fatto accomodare, mi svelò il motivo dell’incontro: bisognava parlare della celebrazione del 7 maggio 2000 al Colosseo per i nuovi martiri. Giovanni Paolo II non era tanto soddisfatto di come andavano avanti i preparativi e voleva pensare al suo discorso per un evento a cui dava grande importanza. Fui molto toccato da questo vecchio dolente che, malgrado la sua infermità, non era ripiegato sul suo soffrire. Non era succube della malattia che pure lo stava imprigionando. Era sempre affettuoso, capace di sostenere gli altri e di interessarsi a loro. Aveva un grande interesse per il tema del martirio: era una vicenda non remota, una parte palpitante della sua vita e di quella della Chiesa e del suo popolo. A Giovanni Paolo II si deve l’intuizione dell’attualità del martirio, riproposta in modo originale, non come una rivendicazione dei torti subiti, ma come un’interpretazione profonda della vicenda del cristianesimo del Novecento. Si sentiva un testimone di tanto soffrire da parte dei cristiani del XX secolo. Il Novecento è stato il secolo del martirio. Forse lo è stato in una misura così intensa come non accadeva dai primi secoli della storia del cristianesimo. Allora, parlando del mio libro (che ebbi l’impressione fosse stato letto dal papa, anche da come scorreva le pagine e trovava i diversi passaggi), Giovanni Paolo Il insistette sul fatto che bisognava narrare la storia del martire, ma guardare anche al persecutore, perché — in un certo senso — martire e persecutore costituiscono una «coppia». Si doveva guardare in faccia con chiarezza il persecutore, non demonizzarlo, comprendere la sua carica anticristiana e antiumana con un atteggiamento intelligente e capace di perdono. Questo interesse per il persecutore mi colpì molto, quasi il papa volesse ricordare interamente la storia e non solo la parte colpita. Non c’era in lui soltanto l’indulgere alle vittime o il rivendicare il ruolo di perseguitati per la Chiesa e i cristiani. La storia del martirio, per Giovanni Paolo II, era quella di una lotta tremenda e tragica, che andava scritta, capita e soprattutto non dimenticata. Era ben più di una rivendicazione: «Se ci vantiamo di questa eredità» disse durante la celebrazione al Colosseo, il 7 maggio 2000 «non è per spirito di parte e tanto meno per desiderio di rivalsa nei confronti dei persecutori, ma perché sia resa manifesta la straordinaria potenza di Dio...». Il tema del martirio passava dentro la vita di Giovanni Paolo II. Parlò della Chiesa russa come di una Chiesa di martiri. E insistette sul fatto che bisognava citare nella memoria dei martiri anche i cristiani polacchi caduti durante la seconda guerra mondiale. Nel suo discorso al Colosseo si ritrova l’eco di questa coscienza: «La generazione a cui appartengo ha conosciuto l’orrore della guerra, i campi di concentramento, la persecuzione. Nella mia patria, durante la seconda guerra mondiale, sacerdoti e cristiani furono deportati nei campi di sterminio». Il suo amico Jerzy Zachuta, compagno di seminario, era stato prelevato dalla Gestapo (la polizia segreta nazista) nell’arcivescovado, dove viveva con il giovane Karol, e fucilato. La morte era passata accanto al papa. C’è qui la particolare vicenda della Polonia, di cui Wojtyla era stato partecipe. Più di sei milioni di polacchi morirono a causa della violenza nazista: il 22% della popolazione. Un tema dell’epica polacca è proprio quello della nazione martire, il «Cristo delle nazioni» di Mickiewicz. I santi archetipi della nazione polacca (riconosciuti come tali da Giovanni Paolo II) sono sant’Adalberto e san Stanislao, entrambi martiri. Per papa Wojtyla, che conosceva Nikolaj Berdjaev e aveva avidamente letto le pagine di Mickiewicz, la storia aveva una profonda dimensione spirituale, che poteva essere colta da alcuni segni. Tra i principali c’era il martirio: «Se, tuttavia» scrive in Dono e mistero «guardiamo con occhio più penetrante la storia dei popoli e delle nazioni che hanno attraversato la prova dei sistemi totalitari e delle persecuzioni a causa della fede, scopriremo che proprio lì si è rivelata con chiarezza la presenza vittoriosa della croce di Cristo». Per il papa, parlare di comunismo e di nazismo era ripercorrere la storia di due tragedie che avevano sconvolto il suo paese e l’Europa. Ne dava una lettura storica e allo stesso tempo spirituale. Erano rivelazioni apocalittiche del male. Il loro carattere anticristiano (e non dubitava che una vittoria nazista avrebbe cancellato il cristianesimo dall’Europa) era una conseguenza dell’essere radicalmente espressione del male. Come i cristiani avevano resistito al male? Questo era il suo interrogativo, mentre raccontava la fragilità di tanti martiri e notava in loro, però, la «straordinaria potenza di Diò». Il 7 maggio 2000, di fronte al Colosseo, nella celebrazione dei nuovi martiri, il papa prese la parola solennemente. La giornata volgeva al tramonto e lo scenario dell’antico monumento romano era bello e grave. Le parole di Giovanni Paolo II si fecero solenni e forti nella preghiera: «Ricordati, Dio delle tenebre del Venerdì Santo, Dio del silenzio del Sabato Santo, ma anche Dio dell’alba gioiosa della Resurrezione, ricordati di tutti i cristiani vittime del nazismo: cattolici, protestanti, ortodossi e anche fratelli e sorelle della prima alleanza e di altre religioni; essi hanno sofferto la fatica dei lavori forzati, l’umiliazione della loro dignità umana, la fame e la sete, l’annientamento della memoria fino alla loro distruzione nelle camere a gas e nei forni crematori...». Poco prima aveva ricordato i martiri del comunismo, perseguitati «per la causa del Vangelo e per la loro fedeltà alla tradizione cristiana, pregando per i loro persecutori». Poco dopo si sarebbe volto all’Asia e all’Oceania, alla Spagna e al Messico, all’Africa dei martiri («irrigata con il loro sangue»), infine all’America. Qui, tra i pastori caduti, Giovannì Paolo II ricordò «l’indimenticabile arcivescovo Oscar Romero, ucciso all’altare durante la celebrazione del sacrificio eucaristico». C’era allora una polemica su Romero: se fosse da considerare un caduto per motivi politici o un simbolo della teologia della liberazione. L’allora segretario di Stato era intervenuto in questo senso: così almeno disse il papa. Giovanni Paolo II, malgrado non avesse avuto un rapporto di piena intesa con Romero, si era inchinato di fronte al suo martirio. Proprio in un incontro precedente con me il papa aveva ricordato la sua visita in Centro America nel 1983 e il confronto con il regime sandinista in Nicaragua: «Con la fine dell’URSS sono cambiate molte cose in Centro America» concluse. Ero, per parte mia, convinto che l’arcivescovo di San Salvador, ucciso sull’altare, fosse un martire del suo amore pastorale. Poco dopo questo mio incontro con Giovanni Paolo II, il card. Cassidy, responsabile dell’ecumenismo, era stato ricevuto dal papa a cui aveva parlato di Romero da giovane, conosciuto da lui personalmente in Salvador molti anni prima, come di un ottimo prete. Così, alla fine, il nome dell’arcivescovo salvadoregno ucciso mentre celebrava la Messa, era stato inserito nella preghiera al Colosseo per una scelta personale del papa. La vicenda dei martiri era un punto decisivo della lettura della storia di Giovanni Paolo Il. Papa Wojtyla aveva una sensibilità geopolitica, un’interpretazione della storia dei popoli e della Chiesa legata a segni e a eventi rivelatori (si potrebbe dire, con espressione conciliare, i «segni dei tempi»). Per lui le terre e i popoli non erano tutti uguali. C’era una storia di Dio con le nazioni, nei loro dolori, nelle ore di follia, in quelle di liberazione e di fede. Non si trattava di un atlante storico sistematico, ma di una visione organica, affascinante, in cui egli mescolava la sua cultura storico-geografica, la memoria dei suoi incontri e dei suoi viaggi, le sue interpretazioni spirituali e le sue intuizioni geopolitiche. Il martirio illuminava la vita di un popolo, di una Chiesa: sicuramente gettava luce sulla storia della Chiesa del Novecento, di cui Wojtyla si sentiva figlio. «I martiri» disse il papa al Colosseo, «questi nostri fratelli e sorelle nella fede, a cui oggi facciamo riferimento con gratitudine e venerazione, costituiscono un grande affresco dell’umanità cristiana del XX secolo. Un affresco del Vangelo delle beatitudini, vissuto fino allo spargimento del sangue.» E Wojtyla, in quel tramonto romano presso il Colosseo, un luogo carico di memorie dell’antico martirio dei cristiani, affermò con decisione, malgrado la sua voce fosse segnata dalla malattia: «Sono testimone io stesso, negli armi della mia giovinezza, di tanto dolore e di tante prove». L’autorità del papa e quella del testimone si fondevano insieme in un invito che era quasi una supplica: non dimenticare! La sfida che lanciava alla Chiesa, ma anche alla storia, era non dimenticare questa parte sommersa del cristianesimo del XX secolo. Infatti, per lui, il cristianesimo dei martiri era una fonte di autenticità e di rinnovata forza per la Chiesa nel nuovo secolo in cui essa stava entrando. La memoria gli sembrava una lotta contro la forza banalizzatrice dell’oblio e la congiura del silenzio. Gli pareva anche una lotta contro una Chiesa che si normalizzava come una grande e mediocre istituzione del mondo contemporaneo. «E sono tanti!» riuscì a gridare quella sera, parlando dei martiri. E aggiunse: «La loro memoria non deve andare perduta, anzi va recuperata in maniera documentata. I nomi di molti non sono conosciuti; i nomi di alcuni sono stati infangati dai persecutori, che hanno cercato di aggiungere al martirio l’ignominia; i nomi di altri sono stati occultati dai carnefici. I cristiani, però, serbano il ricordo di una gran parte di loro». Era una sfida alla vita dei cristiani. Ma lo era pure per la storia. Infatti la storia dei nuovi martiri non è finita. Non è finita con la crisi dei regimi comunisti dell’Est europeo o con la scomparsa dell’Unione Sovietica. Non è finita con il Duemila. Il nuovo secolo si presenta anch’esso come difficile e insidioso per i cristiani. Antiche forme di violenza si intrecciano con nuove e più raffinate. In questo differente quadro, ricordo la lezione di Giovanni Paolo II: guardare in faccia il persecutore e non generalizzare, provare a scrutare la forza dell’odio nel cuore, nella mente e nel mondo di chi uccide il cristiano. La storia del martirio non è tutta uguale, riducibile a una formula o a una ideologia. Vale la pena ed è doveroso seguirne lo sviluppo drammatico. La storia del martirio non finisce nella constatazione che i cristiani sono le vittime dell’ora presente, quasi per invocare una riscossa cristiana. Si tratta di una riscossa che, in questi nostri tempi, non si risolve in nulla se non nell’accrescere un po’ di più l’ostilità verso l’altro. I martiri non sono stati tali perché potessimo avere qualche motivo in più per disprezzare gli altri o diffidare di loro. In ben altra logica, che quella della riscossa o della vendetta, si colloca il martirio cristiano. Per Giovanni Paolo 11, la memoria del martirio era legata a quell’espressione tipica del suo pensiero: «Perdoniamo e chiediamo perdono». Sì, la Chiesa dei martiri doveva perdonare quanti avevano colpito violentemente i suoi figli. Non era una Chiesa senza forza, anche se la sua era una forza mite. Questa Chiesa, con papa Wojtyla, perdonava i suoi persecutori e chiedeva perdono per i suoi errori. Poco prima della celebrazione al Colosseo, Giovanni Paolo II aveva proclamato: «Perdoniamo e chiediamo perdono!». La storia del martirio era per lui la vittoria della forza particolare dei cristiani: «Laddove l’odio sembrava inquinare tutta la vita senza possibilità di sfuggire alla sua logica, essi hanno manifestato come “l’amore sia più forte della morte”. All’interno di terribili sistemi oppressivi, che sfigurano l’uomo, nei luoghi di dolore, tra privazioni durissime, lungo marce insensate, esposti al freddo, alla fame, torturati, sofferenti in tanti modi, essi hanno fatto risuonare alta la loro adesione a Cristo morto e risorto». Affermava il papa: «Nella loro fragilità è rifulsa la forza della fede e della grazia del Signore». Il martirio è stato, proprio nel complesso Novecento, la rivelazione del volto vero del cristianesimo: la forza nella debolezza. Per questo la sua memoria non doveva andare perduta. Anzi, nel discorso al Colosseo, Giovanni Paolo II parlò del martirio come di un’eredità. Innanzitutto «indica la via dell’unità ai cristiani del XXI secolo». Ma è anche una sorgente di vita rinnovata, di coraggio, di chiarezza interiore, per il cristianesimo che comincia a vivere nel XXI secolo.

Nessun commento:

Posta un commento