martedì 15 gennaio 2013

preghiera del 16 gennaio 2013


Mc 1, 14-20

 Dopo che Giovanni fu arrestato, Gesù andò nella Galilea, proclamando il vangelo di Dio, e diceva: "Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel Vangelo".

Passando lungo il mare di Galilea, Gesù vide Simone e Andrea, fratello di Simone, mentre gettavano le reti in mare; erano infatti pescatori. Gesù disse loro: "Venite dietro a me, vi farò diventare pescatori di uomini". E subito lasciarono le reti e lo seguirono. Andando un poco oltre, vide Giacomo, figlio di Zebedeo, e Giovanni suo fratello, mentre anch'essi nella barca riparavano le reti. E subito li chiamò. Ed essi lasciarono il loro padre Zebedeo nella barca con i garzoni e andarono dietro a lui.

Commento

Il vangelo di Marco che abbiamo ascoltato ci presenta gli inizi della vita pubblica di Gesù.

Dopo la sua manifestazione sul Giordano nella quale il cielo si aprì e la voce del Padre lo presentò come il suo figlio prediletto, Gesù inizia a realizzare la missione per la quale era nato. Il suo primo gesto è radunare attorno a sé un gruppo di amici con i quali condividere tutto della sua vita. Con questa scelta Gesù sembra voler dire come la vita dell’uomo non è l’opera di un singolo isolato, persino se questo è il Signore stesso, ma richiede di vivere una dimensione allargata, di comunità, di gruppo. La presenza degli altri nella mia vita è condizione indispensabile per vivere la fede, e quindi per comunicarla ad altri, per divenire suo testimone credibile.

Questo ci interroga profondamente e interroga le idee che abbiamo di noi stessi e della vita. Noi infatti in genere a fatica ci accorgiamo che gli altri hanno bisogno di noi, e ancora più difficilmente ci facciamo forzare a dare il nostro aiuto, e già questo è un livello alto di coscienza, visto che in genere l’idea normalmente condivisa è che non siamo tenuti a fare qualcosa per gli altri e possiamo farne a meno anche di accorgercene. Ma ancora più difficilmente riusciamo a credere che siamo noi i primi ad aver bisogno degli altri.

Eppure Dio stesso non si vergogna a mostrarsi desideroso dell’incontro con l’uomo, tanto da suscitare lo stupore del salmista: “che cosa è mai l'uomo perché di lui ti ricordi, il figlio dell'uomo, perché te ne curi?” (Sal 8,5) e addirittura da proporre ad alcuni di farsi suoi compagni stabili. A quante seccature, delusioni, problemi andava incontro? Non sarebbe stato più tranquillo e più libero di dedicarsi alla missione senza quei dodici, così litigiosi, ingrati, paurosi e poco generosi?

La sua chiamata dei primi discepoli, che abbiamo letto poco fa, ha qualcosa di incredibile: perché quei pescatori dovevano credere opportuno lasciare tutto per divenire “pescatori di uomini”? Che cosa c’è di tanto attraente nel divenire pescatori di uomini. Noi onestamente non ne sentiamo il bisogno. Non ci sembra una prospettiva allettante, tanto da lasciare qualcosa della nostra vita, ma anzi andare incontro a grane e difficoltà a non finire.

Quale fu la differenza per quei pescatori colti nel pieno della loro abituale attività? La differenza è sintetizzata proprio in quella semplice ed essenziale prima predicazione che Gesù indirizzò a chi lo ascoltava: “Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel Vangelo".

Sì, un tempo è finito, dice Gesù, e se ne apre un altro. C’è una frattura, un prima e un dopo nella mia vita, e questo passaggio non è un piccolo aggiustamento o una semplice evoluzione, ma una “conversione”, cioè un rivoluzionamento dei modi di pensare e di vivere, che viene dal credere, cioè fidarsi, dare credito, ad una buona notizia che ci viene proposta: la vita ha valore se donata agli altri. È questa la buona notizia, Vangelo, che Gesù non solo è venuto a dire, ma ha incarnato, fin da quel primo momento in cui decise che valeva la pena lasciare il cielo per assumere la natura umana, con tutto il peso e la durezza di questa condizione. E l’ha incarnato quando ha chinato il capo per ricevere il battesimo da Giovanni, lui che era senza peccato e senza bisogno di perdono, per mostrare a tutti che Dio è umile e disposto a umiliarsi per farsi vicino a noi e conquistarsi la nostra fiducia. Ma poi ha incarnato il Vangelo quando mostrò che non era sconveniente abbassarsi a chiedere ad altri uomini di stare con lui ed aiutarlo, chiamando i dodici.

Insomma quei pescatori capirono che la buona notizia che quel giovane Maestro era venuto a portare era innanzitutto se stesso, la sua vita, il suo modo di essere e di voler bene, che si sintetizzava in quel suo radicale mettere sopra a tutto gli altri e il loro bene, nel suo far di tutto perché gli altri stessero bene e fossero felici.   

Per questo accolgono con gioia la prospettiva di raccogliere tanti, come erano abituati a fare con i pesci nelle reti. Cioè a gettare la rete del proprio voler bene cercando così di raggiungere più persone possibile e di attrarle a far parte di quella strana e affascinante famiglia di discepoli e amici del Signore Gesù.

Noi conosciamo molto di Gesù, sicuramente più dei pescatori raggiunti dalla sua predicazione in riva la lago di Galilea. Abbiamo ascoltato tante sue parole, abbiamo riflettuto sui suoi gesti, fino a quello estremo del dono della vita sulla croce e alla sua resurrezione. Abbiamo ricevuto tante volte quello stesso invito: “Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel Vangelo”. Ma abbiamo eretto come un muro nel nostro cuore che ci impedisce di credere che è ora di chiudere un tempo passato, di aprirne un altro, di cambiare radicalmente e sovvertire i nostri modi di pensare e vivere, di credere che il modo di vivere di Gesù è anche per noi la buona notizia, Vangelo, che la nostra vita non è condannata a perdersi nel nulla, ma si può salvare.

Fratelli e sorelle, dopo che Gesù ci si è manifestato come figlio di Dio, cominciamo anche noi come cominciò Gesù, e cioè facendoci pescatori di uomini e vivendo con passione il desiderio di radunarne tanti attorno e dentro di noi, nelle nostre preoccupazioni, nelle nostre preghiere, nei nostri impegni. Di stringere le maglie del nostro voler bene perché nemmeno i piccoli, che non si notano, come i poveri, sfuggano dalla rete del nostro affetto. Di non sentire eccessivo, esagerato il bisogno di nessuno, ma casomai troppo angusto e limitato il nostro desiderio di rispondervi. Di non cercare la nostra pace e la nostra soddisfazione nel dedicarci a noi stessi, ma nel lasciarci spossessare da tutto ciò che ci rinchiude nell’orizzonte angusto della nostra piccola vita che esclude gli altri.

Se vivremo così, cominciando dall’imparare a dare nuove priorità e a sentire gli altri decisivi per la nostra salvezza, scopriremo la pesantezza di quelle reti a cui oggi siamo legati e che ci rendono ricurvi su noi stessi nella fatica e proveremo il sollievo di caricarci di quel giogo soave a cui Gesù ci invita a legare la nostra vita.

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