mercoledì 24 luglio 2013

Preghiera del 12 giugno 2013



Colossesi 1, 21-29

Un tempo anche voi eravate stranieri e nemici, con la mente intenta alle opere cattive; ora egli vi ha riconciliati nel corpo della sua carne mediante la morte, per presentarvi santi, immacolati e irreprensibili dinanzi a lui; purché restiate fondati e fermi nella fede, irremovibili nella speranza del Vangelo che avete ascoltato, il quale è stato annunciato in tutta la creazione che è sotto il cielo, e del quale io, Paolo, sono diventato ministro.

 

Ora io sono lieto nelle sofferenze che sopporto per voi e do compimento a ciò che, dei patimenti di Cristo, manca nella mia carne, a favore del suo corpo che è la Chiesa. Di essa sono diventato ministro, secondo la missione affidatami da Dio verso di voi di portare a compimento la parola di Dio, il mistero nascosto da secoli e da generazioni, ma ora manifestato ai suoi santi.

 

A loro Dio volle far conoscere la gloriosa ricchezza di questo mistero in mezzo alle genti: Cristo in voi, speranza della gloria. È lui infatti che noi annunciamo, ammonendo ogni uomo e istruendo ciascuno con ogni sapienza, per rendere ogni uomo perfetto in Cristo. Per questo mi affatico e lotto, con la forza che viene da lui e che agisce in me con potenza.

 

L’apostolo Paolo scrive ai cristiani di Colossi con parole che ci possono apparire complicate e di difficile comprensione. In realtà questo è perché Paolo assume la prospettiva diversa parlando di sé, cioè quella di chi si identifica con il corpo stesso di Gesù e, di conseguenza, con il corpo che è la comunità di coloro che hanno ricevuto il Vangelo. Dice Paolo: egli vi ha riconciliati nel corpo della sua carne , cioè c’è una appartenenza fisica,  stretta, carnale con un corpo largo che è quello di Cristo e che riunisce tutti i discepoli.

Cosa vuol dire questo?

Significa essenzialmente che nessuno ci è estraneo e come in un corpo unico ciò che reca gioia o dolore ci è comune. Paolo dice invece come è la condizione normale, quella da cui ogni uomo parte: Un tempo anche voi eravate stranieri e nemici L’essere estranei, stranieri, ci rende nemici. C’è una inimicizia “naturale” che non solo ci allontana, ma anche ci mette gli uni contro gli altri.

Ma cosa è che ci unisce a questo grande e complesso corpo?

Paolo parla di fede e di speranza del Vangelo. La fede è fidarsi, avere fiducia, non in sé e nell’ordinarietà del modo di essere di tutti, ma in Gesù, che si esprime in un modo diverso di vivere e cioè nello sperare che quella buona notizia di un mondo migliore e liberato dal male si realizzi.

La forza infatti del male si fonda proprio sul mettere in crisi di ciò: cioè far dubitare che il bene possa vincere, che la vita possa essere trasformata dall’amore che Gesù testimonia e ci chiede di vivere. Chi vive nella sfiducia nella forza trasformatrice del vangelo, e perde pertanto na speranza, accontentandosi di trovare le proprie risorse e la propria forza in altro, allora costui si stacca dal corpo e si condanna alla morte.

Questa prospettiva spiega tante altre espressioni apparentemente assurde: Paolo parla di una sua gioia nel soffrire sono lieto nelle sofferenze che sopporto per voi e do compimento a ciò che, dei patimenti di Cristo, manca nella mia carne, a favore del suo corpo che è la Chiesa, perché è qualcosa che si lega al bene degli altri e dona senso anche alla sofferenza del presente.

Infine Paolo mette bene in luce come appartenere a questo corpo ci comunica la forza invincibile del suo capo, Cristo: Per questo mi affatico e lotto, con la forza che viene da lui e che agisce in me con potenza.  La fatica e la lotta, come le sofferenze che ne conseguono, trovano sollievo nella certezza che agisce una forza che assicura la vittoria.

Cari fratelli e care sorelle, quanto cambia nella vita se viviamo in questa prospettiva di Paolo. Ci sembra assurdo, ma partecipare delle sofferenze dei poveri, essere sensibili e vulnerabili, farci colpire dal dolore degli altri sarebbe cosa tragica e fonte di infelicità estrema, e come tale la pensa il mondo, se non avessimo invece la forza che viene dal far parte di quel corpo.

Viviamo allora la fiducia e la speranza nel Vangelo e non solo saremo rafforzati nell’affrontare le durezze della nostra vita, ma diverremo capaci di assumerci anche quelle di tanti, per portarli tutti alla salvezza che è entrare in comunione con quel corpo che Cristo anima e rafforza

 

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