mercoledì 24 luglio 2013

XV domenica del tempo ordinario - 14 luglio 2013


 

Dal libro del Deuteronomio 30, 10-14

Mosè parlò al popolo dicendo: «Obbedirai alla voce del Signore, tuo Dio, osservando i suoi comandi e i suoi decreti, scritti in questo libro della legge, e ti convertirai al Signore, tuo Dio, con tutto il cuore e con tutta l’anima. Questo comando che oggi ti ordino non è troppo alto per te, né troppo lontano da te. Non è nel cielo, perché tu dica: “Chi salirà per noi in cielo, per prendercelo e farcelo udire, affinché possiamo eseguirlo?”. Non è di là dal mare, perché tu dica: “Chi attraverserà per noi il mare, per prendercelo e farcelo udire, affinché possiamo eseguirlo?”. Anzi, questa parola è molto vicina a te, è nella tua bocca e nel tuo cuore, perché tu la metta in pratica».

 

Salmo 18 - I precetti del Signore fanno gioire il cuore.
La legge del Signore è perfetta,
rinfranca l’anima;
la testimonianza del Signore è stabile,
rende saggio il semplice.

I precetti del Signore sono retti,
fanno gioire il cuore;
il comando del Signore è limpido,
illumina gli occhi.

Il timore del Signore è puro,
rimane per sempre;
i giudizi del Signore sono fedeli,
sono tutti giusti.

Più preziosi dell’oro,
di molto oro fino,
più dolci del miele
e di un favo stillante.


Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Colossesi 1, 15-20

Cristo Gesù è immagine del Dio invisibile, primogenito di tutta la creazione, perché in lui furono create tutte le cose nei cieli e sulla terra, quelle visibili e quelle invisibili: Troni, Dominazioni, Principati e Potenze. Tutte le cose sono state create per mezzo di lui e in vista di lui. Egli è prima di tutte le cose e tutte in lui sussistono. Egli è anche il capo del corpo, della Chiesa. Egli è principio, primogenito di quelli che risorgono dai morti, perché sia lui ad avere il primato su tutte le cose. È piaciuto infatti a Dio che abiti in lui tutta la pienezza e che per mezzo di lui e in vista di lui siano riconciliate tutte le cose, avendo pacificato con il sangue della sua croce sia le cose che stanno sulla terra, sia quelle che stanno nei cieli.

 

Alleluia, alleluia alleluia.
Le tue parole, Signore, sono spirito e vita;
tu hai parole di vita eterna.
Alleluia, alleluia alleluia.


Dal vangelo secondo Luca 10, 25-37

In quel tempo, un dottore della Legge si alzò per mettere alla prova Gesù e chiese: «Maestro, che cosa devo fare per ereditare la vita eterna?». Gesù gli disse: «Che cosa sta scritto nella Legge? Come leggi?». Costui rispose: «Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente, e il tuo prossimo come te stesso». Gli disse: «Hai risposto bene; fa’ questo e vivrai». Ma quello, volendo giustificarsi, disse a Gesù: «E chi è mio prossimo?». Gesù riprese: «Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico e cadde nelle mani dei briganti, che gli portarono via tutto, lo percossero a sangue e se ne andarono, lasciandolo mezzo morto. Per caso, un sacerdote scendeva per quella medesima strada e, quando lo vide, passò oltre. Anche un levita, giunto in quel luogo, vide e passò oltre. Invece un Samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto, vide e ne ebbe compassione. Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi lo caricò sulla sua cavalcatura, lo portò in un albergo e si prese cura di lui. Il giorno seguente, tirò fuori due denari e li diede all’albergatore, dicendo: “Abbi cura di lui; ciò che spenderai in più, te lo pagherò al mio ritorno”. Chi di questi tre ti sembra sia stato prossimo di colui che è caduto nelle mani dei briganti?». Quello rispose: «Chi ha avuto compassione di lui». Gesù gli disse: «Va’ e anche tu fa’ così».

Commento

Cari fratelli e care sorelle, il Vangelo di Luca ci mostra Gesù mentre incontra un uomo esperto di religione e profondo conoscitore della Scrittura. Dal racconto emerge come costui parlando con Gesù “si voglia giustificare”, cioè vuole trovare un motivo per cui sentirsi a posto e poter dire che quello che la Scrittura dice non lo riguarda. Sì, non basta conoscere le Scritture, avere familiarità con le cose di religione, con i discorsi sulla fede, conoscere il catechismo, ecc…per trarre da tutto ciò l’unica cosa che ci offre il senso autentico della vita, cioè la fede. Quell’uomo è religioso, sì certo, ma non ha fede, e questa è la condizione di tanti anche oggi. La fede infatti non è cultura religiosa, nemmeno adesione alla morale e osservanza dei precetti. Di tutto ciò quell’uomo andava fiero, molto probabilmente a ben ragione, come tutti i dottori della legge e i farisei, orgogliosi della loro religiosità, ma, paradossalmente, proprio per questo un muro li separava da Gesù e impediva loro di incontrarlo con cuore aperto e sincero, con fiducia e disponibilità, consigliandoli invece di restare diffidenti e lontani, fino a rifiutarne le parole e l’esempio con violenza. Lo si vede così spesso nei racconti evangelici.

Anche noi, dicevo, spesso davanti al Signore che ci si fa incontro attraverso la Scrittura cerchiamo il modo con cui “giustificarci” per la nostra distanza e freddezza. Sono i mille distinguo, per cui la nostra situazione non coincide mai con quello che Gesù dice e fa; sono le facili argomentazioni con le quali affermiamo che il Vangelo è bello, ma non si può vivere, che è per altri, gente speciale, per un’altra stagione della nostra vita, forse, chissà un domani, ecc… tanti motivi per giustificarci e per prendere le distanze dalla Parola di Dio e dal Signore che ci parla attraverso di essa.

Il profeta Mosè sembra voler rispondere a queste obiezioni che, evidentemente, già al suo tempo gli israeliti ponevano davanti alle Parole che Dio, attraverso di lui, rivolgeva loro: “Questo comando che oggi ti ordino non è troppo alto per te, né troppo lontano da te. Non è nel cielo, perché tu dica: “Chi salirà per noi in cielo, per prendercelo e farcelo udire, affinché possiamo eseguirlo?”. Non è di là dal mare, perché tu dica: “Chi attraverserà per noi il mare, per prendercelo e farcelo udire, affinché possiamo eseguirlo?” Come è facile pensare che ci sia un mare che ci divide dal Vangelo, un mare spesso tempestoso per i piccoli drammi della vita quotidiana, le insoddisfazioni, le delusioni, le rivalità, e per quelli più grandi, come la solitudine, la malattia, il dolore. Oppure che un cielo scuro e pieno di nubi ci impedisce di alzare lo sguardo da noi stessi e ci fa vedere solo il piccolo mondo dei nostri affari privati e del nostro lamento quotidiano. È impossibile, diciamo, afferrare la Parola e farla propria: il mare e il cielo ce la rendono così lontana !

Mosè però risponde agli israeliti: “questa parola è molto vicina a te, è nella tua bocca e nel tuo cuore, perché tu la metta in pratica”. Cioè dice che la Parola del Signore non è qualcosa di esterno e lontano, dietro le nubi e le tempeste della vita, ma è ben più vicina, se rinunciamo ad allontanarla da noi con le nostre “giustificazioni”. Essa è così semplice ed umana che, una volta accolta, sgorga da dentro di noi perché è ciò che ci restituisce la nostra umanità: il vero cuore, i veri sentimenti, la tenerezza di cui parla spesso papa Francesco, la capacità di commuoversi e provare compassione davanti al dolore di cui parlava sempre il papa lunedì durante la sua visita a Lampedusa. Sì, la Parola accolta ci fa ritrovare il meglio di noi stessi che giaceva seppellito in profondità sotto le giustificazioni, le paure, le durezze.

A quel dottore della legge Gesù risponde più o meno nello stesso modo. Quello si voleva giustificare obiettando che dipende dagli altri essere vicini a lui perché egli sia in obbligo di prendersene cura, come prescrive il versetto della Scrittura citato. È la logica del mondo che crea mille strutture e schemi per distinguere chi sono quelli di cui siamo in dovere di occuparci, per restringerne al minimo la cerchia. Egli chiede “chi è il prossimo, cioè chi è vicino a me, perché io debba occuparmi di lui?” In queste parole, amare, dure riconosciamo tante delle obiezioni che ancora oggi si fanno: chi si merita le mie attenzioni? Se ci pensiamo, la risposta più normale è scontata: nessuno. Ci sono mille motivi per negare a tutti questo diritto: le rivalità, i risentimenti, oppure più semplicemente l’estraneità e la diversità. Niente ci lega a nessuno di per sé, per natura, risponde Gesù, ed infatti non sono gli altri a doverci essere vicini perché noi siamo in obbligo di averne cura, ma siamo noi a doverci fare vicini a tutti, con un obbligo che nasce dal bisogno di ciascuno, mio per primo, di amare e di essere amato.

È questo l’unico motivo che esiste al mondo perché debba occuparmi di qualcuno che non sono me stesso: perché io ho bisogno di voler bene all’altro e che lui voglia bene a me. È questa la Parola così umana che Dio rivolge all’uomo indurito, isolato e spaventato, l’unica Parola che riesce a risvegliarci dentro il calore di una umanità vera perché riscopre la bellezza di amare il fratello e la sorella, senza speranza di guadagno o per obbligo, ma con quella stessa gratuità di Gesù e di ogni amore autentico.

Fratelli e sorelle, perché quel samaritano avrebbe dovuto fermarsi, prendersi cura di quello sconosciuto, pagare di tasca propria, tornare a visitarlo? Quello non gli era mia stato vicino, ma è lui per primo che gli si è fatto vicino, innescando quella cascata di amore gratuito così umano e così bello che non può che lasciarci pieni di stupore e commozione.

Fin dall’antichità i primi cristiani hanno interpretato questa parabola identificando nel buon samaritano il Signore Gesù stesso, che per primo e senza motivo si fa vicino alla nostra umanità, ferita dalla vita e spenta, quasi morta. Questo ci fa capire come solo il suo esempio, Vangelo di salvezza, può insegnarci a tornare ad essere umani facendo sgorgare dentro di noi la verità di quella somiglianza a Dio che fin dalla creazione ci è stata donata.

Prendiamo allora sul serio questo esempio di amore gratuito e senza nessun motivo, se non il bisogno di Gesù di volerci bene e di essere ricambiato, non gettiamo lontano queste parole dietro le onde del nostro mare in tempesta e dietro le nuvole, ma cogliamole nella loro semplicità e concretezza per viverle.

 

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