mercoledì 24 luglio 2013

Festa del Corpus Domini - 2 giugno 2013


 

Dal libro della Gènesi 14, 18-20

In quei giorni, Melchìsedek, re di Salem, offrì pane e vino: era sacerdote del Dio altissimo e benedisse Abram con queste parole: «Sia benedetto Abram dal Dio altissimo, creatore del cielo e della terra, e benedetto sia il Dio altissimo, che ti ha messo in mano i tuoi nemici». E [Abramo] diede a lui la decima di tutto.  

 

Salmo 109 - Tu sei sacerdote per sempre, Cristo Signore.
Oracolo del Signore al mio signore:
«Siedi alla mia destra
finché io ponga i tuoi nemici
a sgabello dei tuoi piedi».

Lo scettro del tuo potere
stende il Signore da Sion:
domina in mezzo ai tuoi nemici!

A te il principato
nel giorno della tua potenza
tra santi splendori;
dal seno dell'aurora,
come rugiada, io ti ho generato.

Il Signore ha giurato e non si pente:
«Tu sei sacerdote per sempre
al modo di Melchìsedek».


Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi 11, 23-26

Fratelli, io ho ricevuto dal Signore quello che a mia volta vi ho trasmesso: il Signore Gesù, nella notte in cui veniva tradito, prese del pane e, dopo aver reso grazie, lo spezzò e disse: «Questo è il mio corpo, che è per voi; fate questo in memoria di me». Allo stesso modo, dopo aver cenato, prese anche il calice, dicendo: «Questo calice è la Nuova Alleanza nel mio sangue; fate questo, ogni volta che ne bevete, in memoria di me». Ogni volta infatti che mangiate questo pane e bevete al calice, voi annunciate la morte del Signore, finché egli venga.

 

Alleluia, alleluia alleluia.
Io sono il pane vivo disceso dal cielo, dice il Signore,
se uno mangia di questo pane vivrà in eterno.
Alleluia, alleluia alleluia.


Dal vangelo secondo Luca 9, 11b-17

In quel tempo, Gesù prese a parlare alle folle del regno di Dio e a guarire quanti avevano bisogno di cure. Il giorno cominciava a declinare e i Dodici gli si avvicinarono dicendo: «Congeda la folla perché vada nei villaggi e nelle campagne dei dintorni, per alloggiare e trovare cibo: qui siamo in una zona deserta». Gesù disse loro: «Voi stessi date loro da mangiare». Ma essi risposero: «Non abbiamo che cinque pani e due pesci, a meno che non andiamo noi a comprare viveri per tutta questa gente». C'erano infatti circa cinquemila uomini. Egli disse ai suoi discepoli: «Fateli sedere a gruppi di cinquanta circa». Fecero così e li fecero sedere tutti quanti. Egli prese i cinque pani e i due pesci, alzò gli occhi al cielo, recitò su di essi la benedizione, li spezzò e li dava ai discepoli perché li distribuissero alla folla. Tutti mangiarono a sazietà e furono portati via i pezzi loro avanzati: dodici ceste.

Commento

Questa domenica è dedicata alla memoria del Corpo e del Sangue di Gesù. E’ una festa necessaria, perché troppe volte abbiamo la tentazione di pensare al Signore come a qualcosa di evanescente, uno spirito, come quei discepoli che vedendo Gesù venire verso di loro dopo la resurrezione ebbero paura, perché pensavano che fosse un fantasma. Gesù non è un essere invisibile e impalpabile, ma è un corpo e come tale vuole aver a che fare con noi. Infatti la sua presenza fra di noi non è lasciata alla sensibilità di anime che percepiscono gli spiriti, una specie di medium cristiani, ma è concreta e tangibile, tanto che, a volte, secondo alcuni, diventa persino ingombrante e fastidiosa. Infatti un modo di pensare diffuso vorrebbe che il cristianesimo fosse solo la religione dei buoni sentimenti e delle pie intenzioni, fatta di sospiri e sorrisi. E invece no, i cristiani sono quelli che Gesù ha mandato a prendersi cura del suo corpo, enorme, sconfinato corpo, che raccoglie tutta l’umanità. Ne parlavamo già in occasione della festa dell’Ascensione, quando ricordando S. Agostino dicevamo che Gesù, capo del corpo, è asceso al cielo, ma il suo corpo è rimasto tutto intero in mezzo a noi, sulla terra. Sì, il corpo di Cristo è la grande famiglia degli uomini che egli ama e vuole radunare, ciascuno connesso all’altro, ciascuno assieme e non da solo.

Come tutti i corpi, il corpo di Cristo, ha bisogno di cura e ha esigenze concrete. E’ ad esempio un corpo che ha fame. Se ne accorsero i discepoli, quando apparve loro sul lago di Tiberiade dopo la resurrezione e chiese loro da mangiare, ma se ne resero conto anche quando davanti alla folla che ascoltava Gesù  fino a tardi e, un po’ spaventati, gli dissero: “Congeda la folla, perché vada nei villaggi e nelle campagne dintorno per alloggiare e trovar cibo, poiché qui siamo in una zona deserta”. I discepoli provano fastidio per quel corpo troppo grande e dai bisogni così concreti. Finché si tratta di parlare, va bene, ma poi, quando si tratta di affrontare i bisogni concreti è meglio che ciascuno pensi per sé. Ognuno si preoccupi del proprio cibo, dicono i discepoli. Gesù ragiona in modo molto diverso: «Dategli voi stessi da mangiare» risponde loro. Per Gesù la fame di quel popolo radunato attorno a lui, desideroso di stare con lui, di ascoltarlo, è un problema proprio, come fosse la propria stessa fame. Così come, avendo notato il disorientamento della folla che vede “come pecore senza pastore”, se la assume sulle sue spalle e li guida, come un buon pastore, allo stesso modo la fame di quella gente è un suo problema, è sua fame, se ne fa carico. Questo atteggiamento arriverà fino all’estremo quando Gesù si fece carico del peccato di tutta l’umanità, lui vero innocente, tanto da assumersene anche le conseguenze e da non fuggire nemmeno davanti alla croce. Ai discepoli riluttanti propone di fare la stessa cosa che ha fatto lui: “Dategli voi stessi da mangiare”, cioè sentite la loro fame come vostra fame, sentite il bisogno degli altri, come vostro bisogno. Per i dodici invece quella fame non è un problema loro. Perché devo pensarci io? Si chiedono. Questa è la differenza fra Gesù e i discepoli: lui sente la fame di quella grande famiglia riunita attorno a lui come la propria fame, quello è il suo corpo; i discepoli invece no, per loro è fame di estranei. Così facendo sono però loro a tagliarsi fuori dal corpo di Cristo.

A noi tante volte accade lo stesso. Il bisogno di chi sta male, il dolore, la solitudine, l’abbandono, le sofferenze di interi popoli, non sono miei problemi, ciascuno risolva il proprio per conto suo, io ho da risolvere i miei di problemi. Il freddo di chi sta senza casa, non lo sento io, se la vedano loro o ci pensi il Comune; la solitudine dei vecchi che  stanno in istituto non è la mia, peggio per loro, e così via.

Ma come si fa a vivere questa identificazione del proprio corpo col grande corpo di Cristo che è l’umanità intera, della propria vita con la vita degli altri?

Gesù ci indica come fare: nutrendoci del suo corpo e del suo sangue; così egli entra a far parte di noi, e con lui entrano tutti gli altri. Altrimenti che senso avrebbe, mi chiedo fratelli e sorelle, accostarsi al corpo e sangue di Cristo qui in chiesa nell’eucarestia, quando poi quello stesso corpo e quello stesso sangue lo scansiamo o lo disprezziamo per strada o semplicemente lo ignoriamo e non ce ne importa niente? Ancora una volta voglio ricordarvi le parole di S. Giovanni Crisostomo, pronunciate ai cristiani di Bisanzio 16 secoli fa, ma ancora così attuali: “Vuoi onorare il corpo di Cristo? Ebbene, non tollerare che egli sia nudo; dopo averlo ornato qui in chiesa con stoffe di seta non permettere che fuori egli muoia di freddo per la nudità”. E’ inutile riempirsi la bocca di parole sul mistero dell’eucarestia: è mistero perché quel corpo ci siamo rifiutati di incontrarlo e volergli bene. Per noi il corpo di Cristo è misterioso perché ci è estraneo, lo abbiamo ignorato di proposito come, dicevo all’inizio, qualcosa di ingombrante e fastidioso. Ci risulta eccessivo il bisogno dei poveri, fastidioso per gente sensibile come noi, gli anziani ci fanno tristezza, gli zingari ci danno fastidio, i senza casa ci disturbano, i mendicanti sono molesti, e così via. Ma anche il corpo di Cristo che riceviamo a Messa è un corpo che si offre a noi piagato, spezzato, ferito sulla croce, ferito e intriso di sangue. E’ vero, noi lo mettiamo in calici e patene d’oro, in segno di rispetto, ma quello stesso corpo tolleriamo senza scandalizzarci che giaccia nell’immondizia negli angoli nascosti della terra, dove nessuno va a raccoglierlo per venerarlo. Eppure è lo stesso corpo e lo stesso sangue. Se allora l’ostia in chiesa non ci suscita fastidio e turbamento, come la piaga o la vista stessa del povero, è perché non ricrediamo veramente che essa è un frammento di quello stesso corpo Cristo che incontriamo nel mondo.

L’Apostolo Paolo, abbiamo ascoltato, nella prima lettera ai Corinzi ricorda che Gesù nell’ultima cena offri il suo corpo per saziare la fame dei suoi discepoli. Paradossalmente, quel copro di cui il Signore ci chiede di prenderci cura e di sfamare nelle parole del Vangelo “ero nudo e mi avere vestito … ero affamato e mi avete dato da mangiare…” diventa esso stesso nostro cibo. Come è possibile?  E’ quello che Gesù per primo ha vissuto: la sua fame di amore, che ha dimostrato agli uomini in mille modi facendo di tutto per beneficarli e farsi accogliere da loro, lo porta ad offrire ad essi tutta la sua vita, fino all’ultima goccia di sangue e l’ultimo pezzo di carne. Sì perché il bisogno di essere voluti bene si sazia solo vivendo la disponibilità ad amare per primi, ad offrirsi gratuitamente, a donare senza chiedere nulla in cambio. E’ questo il messaggio profondo di questa festa in cui ricordiamo e veneriamo la fisicità corporale di Gesù che si fa presente in mezzo a noi in quel corpo grande che è tutto l’insieme dei fratelli e delle sorelle di cui ci è chiesto di prenderci cura. Farlo ci sazia, aiutare gli altri ci fa felici, donarsi con generosità ci rende più forti e disseta la sete di vita vera che è nel fondo di ogni esistenza. E’ il contrario di quello che a volte pensiamo e cioè che aiutare gli altri ci indebolisce e ci rende meno forti e sicuri. E’ il paradosso del cristianesimo, è il mistero di quel corpo che, come dice la liturgia orientale, è suddivise e spezzato, ma non si esaurisce mai e sempre si rinnova e si dona a noi. Così è l’amore di Dio: è spezzettato e offerto a tutti, ma nel momento stesso che sfama molti si moltiplica e si rafforza, ed è così abbondante che ne avanzano dodici ceste.

 
Preghiere 

O Signore Gesù che ci offri il tuo corpo e il tuo sangue perché nutra la nostra debolezza umana, aiutaci a seguire il tuo esempio e farci sostegno per tanti.

Noi ti preghiamo

 
Tu o Gesù ti sei commosso davanti alla folla affamata e hai moltiplicato il poco che possedevano i discepoli per sfamare tutti. Ti preghiamo, fa’ che le nostre povere forze siano moltiplicare dal tuo amore e siano utili a molti.

Noi ti preghiamo

 
Come un grande unico corpo tu ci riunisci tutti, o Dio, sulla terra. Fa’ che non sentiamo nessuno estraneo o nemico, ma tutti siano amati e sostenuti da noi come parte del nostro stesso corpo. 

Noi ti preghiamo


Ti invochiamo o Dio del cielo, proteggi e guarisci chi è malato e sofferente. Perché coloro che sono nel dolore abbiano le cure amorevoli e il conforto di cui hanno bisogno,

Noi ti preghiamo

 
Con insistenza o Padre misericordioso, invochiamo il tuo perdono, perché le nostre vite mancano del nutrimento buono del tuo corpo e della tua parola, dei quali noi troppo spesso crediamo di poter fare a meno.

Noi ti preghiamo

O Dio della pace, ti invochiamo, fa’ cessare ogni guerra che semina morte e dolore. Aiuta i popoli a vivere nella pace e nella concordia, come figli di un unico padre e fratelli della stessa famiglia. Libera chi è nel dolore, minacciato e prigioniero,

Noi ti preghiamo.


Proteggi O Dio tutti i tuoi discepoli ovunque dispersi. Fa’ che il tuo nome in ogni luogo in cui è amato e invocato porti pace e vita piena.

Noi ti preghiamo


Ti invochiamo infine o Signore Gesù per ciascuno di noi che partecipa al banchetto in cui ci offri tutto te stesso, corpo e sangue. Fa’ che anche noi sappiamo donare la nostra vita agli altri e renderla ricca di buoni frutti.

Noi ti preghiamo

 

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