mercoledì 24 luglio 2013

Preghiera del 19 giugno - XI settimana del tempo ordinario


Mt 13,1-9

 

Quel giorno Gesù uscì di casa e sedette in riva al mare. Si radunò attorno a lui tanta folla che egli salì su una barca e si mise a sedere, mentre tutta la folla stava sulla spiaggia.

Egli parlò loro di molte cose con parabole. E disse: "Ecco, il seminatore uscì a seminare. Mentre seminava, una parte cadde lungo la strada; vennero gli uccelli e la mangiarono. Un'altra parte cadde sul terreno sassoso, dove non c'era molta terra; germogliò subito, perché il terreno non era profondo, ma quando spuntò il sole, fu bruciata e, non avendo radici, seccò. Un'altra parte cadde sui rovi, e i rovi crebbero e la soffocarono. Un'altra parte cadde sul terreno buono e diede frutto: il cento, il sessanta, il trenta per uno. Chi ha orecchi, ascolti".

 

Commento

Cari fratelli e care sorelle, il vangelo ci propone l’immagine di Gesù che si siede in riva al lago e una folla si raccoglie attorno. È l’immagine della Chiesa, cioè della gente che sente il bisogno di stare ad ascoltare Gesù. Questo è infatti ciò che rende una massa di gente anonima e impersonale una comunità di discepoli e fratelli: il bisogno di stare ad ascoltare Gesù. Tutto il resto conta poco. Le strutture, l’organizzazione, tutto quello che contorna e rende in qualche modo visibile la Chiesa da lì trae motivo: tutto serve ad aiutare la gente a radunarsi accanto a Gesù che si siede e parla.

Questo è anche il senso di questo nostro riunirci fedele e umile il me4rcoledì a pregare. Qualcuno dice che non serve a niente, perché siamo pochi, ma noi crediamo che così si realizza quel volto autentico della chiesa di cui noi ci sentiamo figli e discepoli. Tutto il resto conta relativamente.

Ma cosa significa ascoltare Gesù?

Egli parla di una semina e dei diversi esiti che ne derivano. Noi in genere siamo molto attenti ai due momenti estremi: il momento in cui il seme è gettato, e quando si vede il frutto. Il primo ci coinvolge emotivamente, ci tocca e ci fa sentire qualcosa di vero e profondo dentro di noi. È il dolore per la nostra umanità che viene svelata nelle sue miserie, o  anche lo stupore per le nuove prospettive che vengono fatte scorgere e che prima non ci apparivano. Accanto a questo però viviamo la ricerca del frutto: quali risultati ci offre l’ascolto. E allora restiamo delusi o scontenti per la pochezza di essi e ce la prendiamo con la inefficacia di quella Parola.

Quello che però spesso ci sfugge quasi completamente è tutto quello che intercorre fra il primo e l’ultimo momento, e cioè tutto il lavoro segreto o manifesto che fa sì che la parola seminata fruttifichi.

La parabola che abbiamo ascoltato in qualche modo ce ne dà l’immagine. Il seme una volta gettato ha bisogno di trovare terreno e poi irrigazione, di radicarsi, di avere luce e calore dal sole, ecc… Insomma c’è un lungo lavoro che è richiesto e che, come accennavo, è sia nascosto che manifesto. Cioè c’è un lavoro che è la Parola stessa che compie, ed è la forza insita in essa che trasforma e cresce, ma il lavoro di memoria e di protezione che solo noi possiamo fare. È il lavoro paziente di mettere in ogni momento a confronto la nostra vita con la parola, per non farcela rubare via o per non farla seccare, e permettere ad essa di mettere radici forni nella nostra vita e di dare così frutti buoni.

Questo è quello a cui noi difficilmente diamo peso, ma che invece la parabola ci dimostra è decisivo perché l’opera di semina non sia infruttuosa.

Questo tempo che viene allora in genere viene considerato un po’ un tempo vuoto. Tempo di ferie in cui la Parola sembra essere come un po’ essere messa da parte per occuparci un po’ di più a noi stessi: al riposo, allo svago, a fare tutto quello che negli altri tempi non riusciamo a fare.

Ma non potrebbe essere invece questo tempo proprio il tempo opportuno perché la parola ascoltata trovi terreno fertile e attenzione da parte nostra? Un tempo fuori dai ritmi più caotici in cui c’è modo di soffermarsi e riflettere, fare memoria con più calma. Il frutto allora si vedrà perché la Parola lavora, scava, cresce, cambia la nostra vita, ma non lo fa nonostante noi e senza di noi. La Parola non è una magia che opera da sola, ma è il seme di una pianta che ha bisogno di cura e lavoro e può dare un frutto straordinario e inatteso.

 

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