mercoledì 5 dicembre 2012

IV incontro sul Concilio - la Parola di DIo - 5 dicembre 2012


 
 
 “Piacque a Dio rivelarsi in persona”

La centralità della Parola di Dio nella vita del cristiano.

La costituzione Dei Verbum

 

 La storia della Dei Verbum

Il 18 novembre 1965 veniva promulgata la Costituzione Dogmatica sulla divina Rivelazione Dei Verbum (DV), la più breve delle quattro Costituzioni conciliari del Vaticano II.

Questo testo è stato giudicato in modo entusiasta. È stato ritenuto “uno dei testi meglio redatti del Concilio”, forse addirittura il suo “capolavoro”, il “portale di ingresso e fondamento dell'edificio teologico del Vaticano” (Henri de Lubac)[1]. Un altro importante teologo, Oscar Cullmann, ritiene che la DV sia il documento più importante di tutto quanto il Concilio, mentre per Karl Rahner ed Herbert Vorgrimler essa fu il documento decisivo con il quale il Vaticano II trovò una coscienza chiara di sé. Il teologo italiano Giuseppe Dossetti ha scritto che il capitolo primo della DV è “da tutti riconosciuto come l'insegnamento più innovatore e più riuscito del Vaticano II[2]. Con una qualche enfasi è stato detto pure che la DV è il “documento fonte[3], e che tutto il messaggio del Vaticano II si riassume in esso[4].

Bisogna anche dire che la DV ha avuto la storia più travagliata di tutti i documenti conciliari. Infatti occorsero ben cinque stesure per arrivare al testo finale e le prime due redazioni, in particolare, vennero rifiutate e riscritte da capo. Questo lavoro ha occupato l'intero arco dei lavori del Vaticano II con fasi molto difficili[5].

Così si possono schematicamente dividere le fasi di elaborazione:

0. Dalla consultazione previa dell’episcopato cattolico, i dicasteri della Curia romana e le facoltà teologiche e canoniche emerse il desiderio che il futuro Concilio si occupasse dei temi riguardanti la Scrittura, la tradizione, la fede e i costumi. Proprio con questo nome, venne costituita da Giovanni XXIII una commissione teologica (5 giugno 1960, Superno Dei Nutu) incaricata di elaborare lo schema sulle questioni riguardanti “la Sacra Scrittura, la Sacra Tradizione, la fede e i costumi”.

1. Lo schema preparato da questa commissione fu presentato nella prima sessione del Concilio (1962), con il significativo titolo Le fonti della Rivelazione (De fontibus revelationis). Il plurale fonti alludeva ad una dualità di fonti: la Scrittura e la Tradizione, concepite come separate e indipendenti l’una dall’altra, seguendo la dottrina del Concilio di Trento. Il 19 novembre 1962 a larga maggioranza (1386 voti contro, 822 a favore e 19 nulli) lo schema venne rifiutato. Secondo il Regolamento, per respingere uno schema in maniera definitiva (e costringere a riscriverlo occorreva raggiungere il quorum dei 2/3, ma esso non era stato raggiunto. Allora Giovanni XXIII, rendendosi conto della forte contrarietà dei padri conciliari, ritirò lo schema De fontibus Revelationis e dispose che fosse demandata ad una nuova Commissione preparatoria la sua riscrittura. [6]

2. La nuova commissione fallì il suo primo tentativo nel 1963: il testo inviato ai padri dal titolo La salvaguardia del deposito della fede, ebbe ben 2481 proposte di emendamenti.

3. Venne ricomposta la commissione speciale, con l’introduzione di nuovi “periti” (tra cui il giovane prof. Ratzinger); la redazione di questo secondo testo si avvicinò a quello che porterà alla redazione finale della Dei Verbum. Discussa nel 1964, nel corso della terza sessione del Concilio, suscitò numerosi rilievi, ma non più una forte opposizione, come in precedenza.

4. Dopo un’accurata revisione, il testo venne sottoposto a votazione nel 1965, nel corso della quarta e ultima sessione conciliare. I 1498 “placet iuxta modum” resero necessaria un’ulteriore revisione.

5. In quest’ultimo passaggio, il testo prese il suo titolo definitivo Dei Verbum. Il voto fu espresso il 18 novembre 1965, a meno di tre settimane dalla fine del Concilio. Si registrarono solo 6 voti contrari sui 2350 votanti.

Questa travagliata storia della stesura del testo ci fa comprendere la portata di questo documento conciliare che chiama in causa questioni nodali della fede cattolica che suscitarono un acceso dibattito. Come già abbiamo rilevato in altri casi, non si può comprendere il lungo travaglio della Dei Verbum riducendo la questione a tensioni tra conservatori e progressisti. In realtà erano in gioco questioni di fondamentale importanza e il fatto di aver proceduto a ben cinque redazioni ha permesso di approfondire il tema, consentendo al documento conclusivo di usufruire del meglio dei dibattiti svolti nell’ambito del Concilio e nello studio e riflessione che lo avevano accompagnato e preceduto.

Bisogna altresì notare come in questo documento i Padri conciliari siano rimasti fedeli a quel cosiddetto “indirizzo pastorale” che ha animato l’intero Vaticano II. Infatti i temi dottrinali non sono stati scelti e trattati contro gli oppositori, con intenti apologetici, ma piuttosto con il desiderio di suscitare nei cristiani una riflessione ed una presa di coscienza. Lo scopo è attrarli verso un nuovo modo di approcciare e amare la Scrittura per farne il fondamento della loro vita, non quello di combattere qualche idea errata.

Il rapporto dei cristiani cattolici con la Scrittura prima del Concilio

Per mettere a fuoco il rapporto dei cattolici con la Scrittura prima del Concilio bisogna risalire a prima della Riforma protestante. Il punto di partenza è l'invenzione della stampa a caratteri mobili che produsse come primo libro, alla metà del XV secolo, proprio una Bibbia. Essa, in questo modo, iniziò così a godere di una più ampia diffusione. Da allora essa poteva finire nella mani di molti e la sua lettura e studio poteva avvenire anche fuori degli ambiti “controllati” dalla Chiesa: liturgia, predicazione, insegnamento ecclesiastico, ecc… Ciò suscitò una grande opposizione nella Chiesa cattolica. Con l'Umanesimo e il suo interesse per la filologia ci furono edizioni della Bibbia in lingua originale e le prime edizioni critiche, come quella famosa del Nuovo Testamento ad opera di Erasmo da Rotterdam nel 1516.

A questo elemento si aggiunse, e in parte ne fu una conseguenza, il movimento della Riforma protestante che farà del ritorno alla Bibbia un proprio caposaldo. Nella polemica cattolica contro la Riforma, che va sotto il nome di “Controriforma”  e che ha nel Concilio di Trento (1545-1563) un suo punto forte, le posizioni si vennero a polarizzare, raggiungendo gli opposti estremi. Mentre la Riforma infatti con il principio della “Sola Scriptura” affermava che la salvezza dell’uomo è rivelata solo ed esclusivamente dalla Bibbia e tutto il resto erano aggiunte di tipo umano inutili per la salvezza (cioè i dogmi, i sacramenti, la gerarchia, i riti, le dottrine, ecc…, cioè tutto ciò che in una parola si definiva la “Tradizione”), la Controriforma si contrappose per reazione affermando come la Scrittura da sola non contenesse tutto ciò che è necessario alla salvezza dell’uomo, ma che la Tradizione elaborata successivamente e venutasi a stratificare nel corso dei secoli fosse di per sé più utile, tanto da mettere quasi in ombra la Scrittura, per giungere alla situazione che verrà descritta in cui essa giunse ad essere quasi guardata con sospetto e trascurata.

Umanesimo e Riforma, abbiamo detto, favorirono pertanto la diffusione della Bibbia presso il popolo cristiano mediante traduzioni che la resero accessibile a molti ed edizioni critiche che risposero alle esigenze intellettuali dei più colti.

Il Concilio di Trento reagì duramente a questa nuova situazione, affermando l'autorità assoluta della versione latina della Bibbia detta Vulgata, ed esprimendo un forte freno alle traduzioni in lingua volgare. Ad esempio, sempre a Trento, il cardinale spagnolo Pacheco affermò che l'origine di ogni eresia era nelle traduzioni bibliche.

Con la promulgazione dell'Indice dei libri proibiti di Pio IV, del 1564, fu sancito che: “In linea generale è proibita ai laici la lettura della Sacra Scrittura in traduzioni moderne. Risulta chiaramente dall'esperienza, infatti, che, se si consente a chiunque di leggere la Scrittura nelle lingue volgari, ne conseguono più danni che vantaggi, a causa della temerarietà degli esseri umani. Soltanto in casi eccezionali, precisamente regolamentati, i vescovi e gli inquisitori possono accordare delle dispense da questa norma. È prevista una sanzione anche per i tipografi”. Questa regola sarà resa ancora più restrittiva da Sisto V nel 1590 e da Clemente VIII nel 1596, il quale ritirò “a vescovi, inquisitori e superiori regolari il potere di permettere di acquistare, leggere o possedere delle Bibbie in lingua volgare”, riservandolo alla Santa Sede.

Le cose sono rimaste all’incirca così almeno fino alla metà del XVIII secolo, quando è stata concessa la possibilità di riferirsi a versioni bibliche autorizzate e annotate. Eppure ancora nel XIX e XX secolo l'atteggiamento diffuso è quello "prudente", ispirato all'idea che la lettura della Bibbia non sia necessaria alla salvezza e che spesso sia addirittura nociva e pericolosa.

Quindi nel periodo che va dal XVI secolo fino al Vaticano II la Bibbia è essenzialmente un libro riservato al clero, mentre i semplici fedeli vi hanno un accesso indiretto e mediato principalmente da tre elementi: la liturgia, la predicazione e il catechismo. Si potrebbe aggiungere anche l'agiografia, poiché attraverso le vite dei santi, letteratura molto diffusa, passava anche qualche cenno alla Scrittura.

Vediamo come questi canali mediavano l’accesso dei fedeli comuni alla Bibbia.

La liturgia

Nella liturgia, la Bibbia veniva letta in latino. Solo il testo della Vulgata, stabilisce il Concilio di Trento, "deve essere considerata come autentica nelle pubbliche letture, nelle dispute, nella predicazione"[7]. Inoltre fin dal Missale Romanum promulgato da Pio V nel 1570 le letture bibliche della liturgia romana erano scarse e ripetitive. Prima del Vaticano II e della riforma liturgica esse si ripetevano ogni anno e comprendevano un numero irrisorio di testi dell'AT e una proporzione di passi del NT che è stata calcolata nella misura del 13% del totale del NT. Nulla a che vedere, sotto questo aspetto, con la situazione attuale, in cui la scansione triennale dei cicli propone una grande ricchezza e varietà di brani scritturistici.

La predicazione

Il secondo elemento che mediava la Scrittura era la predicazione. Il Concilio di Trento ha prescritto che la predicazione del Vangelo è il “dovere principale dei vescovi”[8] e dei parroci, suoi “delegati”, ed è strumento della salvezza dei fedeli. In questo modo si intendeva reagire alla tendenza, in uso tra la fine del 1400 e l'inizio del 1500, di fare dell’omelia qualcosa che doveva solo colpire la fantasia dei fedeli. Tuttavia si impose uno stile oratorio pieno di artifici che faceva sì che il primato non spettasse più alla Parola di Dio nella sua chiarezza, ma all’abilità retorica del predicatore. I temi principali non erano la spiegazione della Scrittura, ma le verità dottrinali, i comandamenti della Chiesa e i sacramenti, inferno e paradiso, i vizi e le virtù, ecc... La Scrittura era al massimo considerata un serbatoio da cui trarre all'occorrenza citazioni a sostegno di una tesi o di un discorso.

A partire dalla metà del XIX secolo la predicazione è sempre più segnata da una pietà sentimentale, dominata dalla contemplazione dei "misteri", oppure dalla devozione nei confronti del Sacro Cuore, di Gesù sacramento, di San Giuseppe, della Vergine, dell'eucaristia... Sono tutte cose sante, ma considerate in modo scisso dalla storia di salvezza che si conosce attraverso la Scrittura e si concentra in Cristo e nel vangelo. Aumentò anche lo spazio dell’apologetica, cioè la difesa della Chiesa dagli attacchi e dalle ideologie contrarie e la condanna degli errori.

Nel 1893, Leone XIII, nell’enciclica Provvidentissimus Deus, richiama con vigore quelli che “improvvidamente” predicano “servendosi quasi esclusivamente di parole di scienza e di prudenza umana”, quindi non facendo ricorso alla Scrittura, ma costruendo prediche che “per quanto appoggiate sullo splendore dello stile, riescono fiacche e fredde, perché mancanti del fuoco della Parola di Dio”. È una condanna che, in modo implicito, attesta l’uso corrente di ignorare la Scrittura nella predicazione. Si è dovuti arrivare al Vaticano II perché ci fosse un rinnovamento radicale della predicazione restituendole il fondamento scritturistico: “È necessario che tutta la predicazione ecclesiastica sia nutrita e regolata dalla Sacra Scrittura” (DV 21).

Il catechismo

Ultimo elemento di mediazione della Scrittura è il catechismo. Secondo il Concilio di Trento, il catechismo è per i fedeli lo strumento privilegiato di accesso alla Scrittura. Nel 1566 viene pubblicato il cosiddetto "Catechismo romano", strutturato in quattro parti, che costituivano i temi basilari della dottrina cristiana: il Credo, i Sacramenti, il Decalogo, il Padre nostro. La Scrittura, di nuovo, è la grande assente fra quanto è ritenuto necessario per la vita di fede, sostituiti dalla dottrina. È questo infatti il nome che presero i catechismi: "dottrine", attestando chiaramente che si tratta di compendi di nozioni teoriche. Ancora nel 1823 il vescovo di Lodi Alessandro Maria Pagni ha scritto: "Il catechismo è un libro che serve al popolo, ormai, invece della Bibbia".

A partire da questa sommaria descrizione della situazione si comprende meglio quali fossero i problemi che venivano avertiti come più urgenti, alle soglie del Concilio, da coloro che erano più avvertiti sull’urgenza di dare maggior rilievo alla Scrittura nella vita dei cristiani. Essi erano principalmente tre:

1. Il rapporto Tradizione-Scrittura. Questo tema era soprattutto vivo in Europa del Nord, in un contesto segnato dal rapporto tra protestanti e cattolici. Si trattava di rispondere alla domanda se la Chiesa dovesse accompagnare i fedeli verso la salvezza mediante la sola Sacra Scrittura (come affermava il protestantesimo) o anche la Tradizione che contiene anche cose non presenti nella Scrittura, frutto delle elaborazioni successive, come teologie, magistero, morale, ecc…

2. L'applicazione del metodo storico critico alla Sacra Scrittura e il problema connesso dell'inerranza dei libri sacri[9]. Si era avuto qualche progresso rispetto al rifiuto totale dell’applicazione dell’indagine storico-letteraria alla Scrittura grazie all'Enciclica Divino afflante Spiritu del 1943, ma la questione restava ancora aperta. Di fatto si prediligeva una interpretazione di tipo quasi fondamentalistico dei libri sacri, ma non pochi, soprattutto i più colti, avvertivano con disagio crescente le contraddizioni con la cultura scientifica e storica ormai evolutesi.

3. Ultimo tema, caro al cosiddetto "movimento biblico" che da oltre cinquant'anni stava lavorando, era il desiderio di favorire una maggior familiarità dei cristiani con i testi sacri e un approccio più spirituale alla Scrittura, intesa come fonte di preghiera e di nutrimento per la vita pratica. Fino ad allora il movimento, analogamente a quanto abbiamo già visto per la liturgia, si era limitato a iniziative un po' elitarie, viste con sospetto dalla Chiesa ufficiale.

I temi centrali della Dei Verbum:

I temi centrali che corrispondono grosso modo ai capitoli della costituzione conciliare sono:

1.      La Rivelazione

2.      La trasmissione della divina Rivelazione

3.      L’ispirazione e l’interpretazione della Sacra Scrittura

4.      L’unità dei due Testamenti

5.      La Parola di Dio nella vita della Chiesa

La Rivelazione

Per Rivelazione si intende la risposta alla domanda: Come può l’uomo conoscere e incontrare Dio?

La risposta che la Dei Verbum dà a questa domanda non è una dottrina atemporale ma una prospettiva storica. Essa fa emergere un’immagine di Dio da sempre rivolto all’uomo per farsi conoscere da lui e comunicare con lui; un processo che ha come protagonista il Verbo, che prima di tutto si è espresso attraverso la creazione, ha parlato per mezzo dei profeti, si è fatto presente personalmente in Gesù Cristo dando così alla Rivelazione la pienezza.

Ne deriva un superamento della concezione intellettualistica della Rivelazione, e quindi della fede, come “dottrina”, cioè contenuto intellettuale. Essa viene ricondotta all’ambito del rapporto interpersonale. Dio si rivela essenzialmente nel suo cercare un rapporto con l’uomo: “Piacque a Dio nella sua bontà e sapienza rivelarsi in persona e manifestare il mistero della sua volontà (cfr. Ef 1,9), mediante il quale gli uomini per mezzo di Cristo, Verbo fatto carne, hanno accesso al Padre nello Spirito Santo e sono resi partecipi della divina natura (cfr. Ef 2,18; 2 Pt 1,4).” (DV 2).

Con la Rivelazione, atto di auto-comunicazione piena di amore di Dio agli uomini, la storia diventa il luogo della realizzazione pratica del suo progetto di salvezza degli uomini. Proprio poiché il rapporto di Dio con l’uomo si realizza nella storia esso avviene mediante “eventi e parole”, che reciprocamente si illuminano. Non è solo nelle “parole” della Scrittura, nelle sue formule prese in senso letterale, ma in senso più ampio nella Parola di Dio che racconta la Storia della salvezza e insieme illumina il significato della storia dell’umanità: “Questa economia della Rivelazione comprende eventi e parole intimamente connessi, in modo che le opere, compiute da Dio nella storia della salvezza, manifestano e rafforzano la dottrina e le realtà significate dalle parole, mentre le parole proclamano le opere e illustrano il mistero in esse contenuto.” (DV2)

L’offerta di Dio di amicizia con l’uomo richiede una libera risposta di accettazione: è la fede. Pertanto, poiché è la risposta all’incontro personale con Dio, essa non si riduce alla conoscenza di una verità, ma implica l’accoglienza di Dio in un rapporto personale. Riconoscere in lui la verità della vita (dottrina) e affidarsi al rapporto con lui con fiducia (vita vissuta) non sono nella fede cristiana due elementi estranei, perché la Verità a cui aderire non è un’astrazione ma si manifesta nella persona del Figlio di Dio.

Da questa articolata visione dell’atteggiamento comunicativo di Dio e della necessità di una risposta da parte dell’uomo possiamo trarre alcune implicazioni importanti:

·    Solo attraverso la Bibbia possiamo incontrare Dio che si è fatto conoscere dagli uomini nella storia che ancora oggi ci parla nel libro che la contiene e ne illumina il senso. È interessante notare come il documento si apra e si chiuda con un concetto analogo, come a dire che questo è il messaggio condensato di tutto il testo: si legge in DV 2: “Con questa Rivelazione Dio invisibile nel suo immenso amore parla agli uomini come ad amici e si intrattiene con essi, per invitarli e ammetterli alla comunione con sé”; si legge nel capitolo ultimo (DV 21) a proposito di Bibbia: “Nei libri sacri il Padre che è nei cieli viene con molta amorevolezza incontro ai suoi figli ed entra in conversazione con loro”.

 

·    La Bibbia non parla di Dio e dell’uomo come due esseri distinti con due destini separati, ma entrambi sono colti nella loro verità che è il legame di amore, di alleanza, che Dio offre all’uomo, che l’uomo può accogliere e ricambiare.  Afferma pertanto che i due sono inseparabili, le due storie sono fuse in una unica vicenda. Ascoltare la Bibbia, Parola di Dio, vuol dire allora scoprire questa dimensione divino-umana della nostra esistenza: storica e terrena, ma imbevuta di un destino che supera la dimensione umana. È quello che gli orientali chiamano divinizzazione: “Dio in Cristo si è fatto uomo, perché l’uomo potesse divenire Dio come lui”. Mettersi al suo ascolto è un dialogo tra amici, per essere attratti da Dio verso di lui.

 

·    Dio si rivela e dunque comunica la sua Parola nella storia, intreccio di opere e parole,  che la Bibbia racconta nelle vicende del popolo di Dio che è Israele e che continua oggi nella Chiesa (cfr. LG). Questo significa imparare a leggere la Bibbia secondo le dimensioni di storia, letteratura, messaggio incarnato nella vita; ma anche riconoscendo che la storia è il luogo in cui avviene la Rivelazione, cioè ha una dimensione che oltrepassa il dato concreto per aprire un orizzonte ulteriore che è quello del Regno. Bisogna quindi imparare anche oggi a riconoscere i segni di Dio nella storia dell’uomo, dai grandi avvenimenti che segnano la storia dei popoli fino alle vicende personali, per imparare a diventare costruttori della storia di salvezza oggi, lasciandosi guidare dalla Parola.

 

·    Se la Rivelazione è innanzitutto un rapporto, un dialogo fra Dio e l’uomo, con la forza dello Spirito, e la fede è la disponibilità ad intrecciare questo rapporto offertoci, allora essere cristiani non è aderire a una dottrina, ispirarsi a dei valori, seguire una morale, appartenere ad una istituzione, ecc.. ma innanzitutto accogliere il modo di farsi conoscere di Dio come lui lo ha voluto, e rispondergli come noi sappiamo e possiamo. La preghiera e la liturgia come dialogo con Dio, sono essenziali in questo rapporto , e non un di più per gli specialisti di ascesi mistica.

La trasmissione della divina Rivelazione: Tradizione e Scrittura

La Rivelazione giunge a noi attraverso un cammino lungo e complesso (circa 30 secoli di storia). Nel passato si è cercato di semplificare in modo schematico parlando di due “fonti della Rivelazione”:  Tradizione e Scrittura. In qualche modo è stata proposto come se la trasmissione di essa fosse avvenuta in modo diviso e contrapposto tra le due “fonti”, nel tentativo di dare la preminenza ora all’una (cattolici) ora all’altra (protestantesimo). Questo era lo schema sancito dal Concilio di Trento fino a prima del Concilio Vaticano II.

Rispetto a ciò la Dei Verbum presenta un concetto di Tradizione più ampio della “dottrina”, espresso così: "La Chiesa, nella sua dottrina, nella sua vita e nel suo culto, perpetua e trasmette a tutte le generazioni tutto ciò che essa è, tutto ciò che essa crede" (DV 8). Inoltre viene affermata l'unità di Tradizione e Scrittura, contro ogni tentativo di separazione fra le due: "La sacra tradizione e la sacra scrittura sono dunque strettamente tra loro congiunte e comunicanti. Poiché ambedue scaturiscono dalla stessa divina sorgente, esse formano in certo qual modo una cosa sola e tendono allo stesso fine. Infatti la sacra scrittura è parola di Dio in quanto è messa per iscritto sotto l'ispirazione dello Spirito divino" (DV 9).

Nel numero seguente (DV 10) si descrive il rapporto tra le tre entità: Tradizione, Scrittura e Parola di Dio: "La sacra tradizione e la sacra scrittura costituiscono un solo sacro deposito della parola di Dio affidato alla Chiesa". Dobbiamo innanzitutto sottolineare come la DV afferma che Scrittura e Tradizione non coincidono con la Parola di Dio: quest’ultima risuona quando la prima è letta e ascoltata, fatta entrare nella vita e resa parte di essa, cioè incarnata, in quella storia di fede che è la tradizione, comprendente i contenuti e i modi di credere delle generazioni che si sono succedute. La tradizione non è pertanto qualcosa di statico e immutabile, ma è come un continuo risuonare di una Parola nuova, ogni qual volta la Scrittura è accolta e vissuta nella comunità, e consegnata (in latino: tràdere) alle generazioni future e a chi ci sta difronte, divenendo “tradizione”. La Parola di Dio è pertanto una realtà che non può essere racchiusa nella lettera della Bibbia né nella Tradizione intesa come dottrina. La Parola di Dio eccede la Scrittura e la Tradizione e non è esaurita da esse. È realtà creatrice (Logos), instauratrice della storia che genera la Tradizione. Il libro Bibbia e anche la dottrina cristiana ne è come una “solidificazione storica”, la contiene, ma la consegna perché si proceda a una loro lettura e comprensione animata dallo Spirito per farla risuonare ancora viva e non pietrificata.

·   La conseguenza quindi è che occorre farsi carico della fatica della comprensione della Scrittura perché diventi sapienza di vita, personale e comunitaria. Davanti alla Scrittura dobbiamo sempre porci come persone disposte a farci interrogare, a scavare, a coglierne i dettagli sempre nuovi, ecc… Interpretazione non significa solo cercare il significato di una frase, ma vuol dire far calare la Parola di Dio nella vita di un individuo e di una comunità, in un oggi storico. E’ fare in modo che la Parola di Dio, nell'oggi storico di questa comunità, produca nuovamente carità, giustizia, pace, culto, preghiera, amore, e così via.

 

·   La Rivelazione, che si realizza in modo pieno attraverso l’incarnazione della Parola in una persona concreta, Gesù, nello spazio e nel tempo, per arrivare ad ogni uomo deve essere trasmessa di generazione in generazione, con l’annuncio, i segni, la testimonianza, il modo di pregare e credere. La Tradizione è il frutto di questa vocazione missionaria del popolo di Dio: “Dio dispose che quanto egli aveva rivelato per la salvezza di tutte le genti, rimanesse sempre integro e venisse trasmesso a tutte le generazioni” (DV 7). Alla base e all’origine della Tradizione sta la “predicazione apostolica” (DV 8), che continua nel tempo in diversi modi: orale, scritta, testimoniale, nella dottrina, nella celebrazione e nella vita della comunità, da persona a persona, secondo le mediazioni di trasmissione di ciascun tempo.

 

·   Tradizione e Scrittura sono “come uno specchio nel quale la Chiesa pellegrina in terra contempla Dio” (DV 7), sono “strettamente tra loro congiunte e comunicanti”, come canali “che scaturiscono dalla stessa divina sorgente” sono “un solo sacro deposito della parola di Dio affidata alla Chiesa” (DV 10). Il Nuovo Testamento nasce dentro la Tradizione viva degli apostoli, dalla Tradizione viene trasmessa e dunque ha bisogno del contesto della Tradizione per essere capito nel suo significato vitale, cioè come Parola di Dio. D’altra parte la Scrittura costituisce per così dire il centro della Tradizione, la sua sorgente. La Tradizione è il modo con cui la Parola si realizza nella storia; la Scrittura è la sorgente dell’autenticità della Tradizione. Il Magistero ha il compito di “interpretare autenticamente la parola di Dio scritta o trasmessa” (DV 10).

 

·   È importate sottolineare che il soggetto della trasmissione della Rivelazione rimane sempre Cristo, per impulso dello Spirito Santo. Egli oggi è rappresentato ed espresso dal suo Corpo dopo la Pasqua che è la Chiesa, la quale, “nella sua dottrina, nella sua vita e nel suo culto, perpetua e trasmette a tutte le generazioni tutto ciò che essa è, tutto ciò che essa crede” (DV 8). È una Tradizione che “progredisce” grazie all’ascolto, all’esperienza di fede, alla predicazione e “tende incessantemente alla pienezza della verità divina, finché in essa giungano a compimento le parole di Dio” (DV 8). Ciascuno di noi è allora coinvolto in questa responsabilità di continuare la tradizione, cioè di “consegnare” ad altri, a quelli che vengono dopo di noi, la Rivelazione di Dio come l’amico dell’uomo nella storia. Sta a noi concretizzarla nell’oggi, e farla capire agli altri vivendola, attraverso la preghiera, la liturgia, la carità, la missione, ecc…

 

·   Questo implica che saremo in grado di farlo solo se resteremo uniti al Corpo di Cristo che è la Chiesa, cioè l’annuncio non è compito di qualche specialista isolato (preti, religiosi, o laici che siano) ma della comunità di tutti quelli che ne avvertono la responsabilità e si sentono e si comportano come membra dell’unico corpo. Chi se ne distacca non trasmette niente al di fuori di sé. Anche il prete più colto o preparato, il laico più attivo e capace suona come un coccio vuoto se non parte  e torna alla comunità. Anche il più umile e semplice, non colto né carismatico, se fa parte del corpo che è la comunità fa parlare con la sua vita stessa la Parola di Dio e la trasmette continuando e vivificando la tradizione più autentica della Rivelazione di Dio nella storia.

 

·   D’altronde il cristiano impara a conoscere e scoprire la Bibbia non studiando all’Università o per conto proprio né in uno sforzo ascetico individuale, ma nel contesto della vita della comunità dei figli di Dio che è la Chiesa, della sua riflessione, della sua preghiera, della sua carità, della sua realtà storica. Non la si capisce in solitudine fra se e se. L’incontro autentico con la Parola di Dio avviene dentro il popolo di Dio, quello stesso al quale Gesù parlava, illuminandolo, sfamandolo, guarendolo, salvandolo, ecc… Chi si chiude e si isola dalla Chiesa e dal suo essere nella storia, rischia di tagliare il ramo su cui sta seduto, di prosciugare la fonte a cui si abbevera ed è condannato all’aridità sterile. Pensiamo ad esempio al diffuso fenomeno di quanti affermano di credere senza aver bisogno della Chiesa. La debolezza di questa affermazione non sta nella pretesa che la Chiesa cattolica sia l’unica depositaria della verità indiscutibile, ma nel fatto che fuori della comunità nella quale vivere la Parola di Dio, cioè privata della tradizione viva della fede vissuta dalle generazioni precedenti e dall’orizzonte largo di quella contemporanea a noi, essa non è comprensibile e resta muta. È il senso dell’affermazione patristica “Nessuno può avere Dio per Padre, se non ha la Chiesa per Madre[10]. Per incontrare la Bibbia c’è bisogno di una comunità, la Chiesa, perché la Parola ascoltata nella Bibbia per essere resa vitale chiede di essere approfondita e vissuta, e ciò avviene nel popolo che è convocato da quella Parola; chiede di essere celebrata nella preghiera e nella liturgia, di essere concretizzata nei segni di presenza di Cristo, i sacramenti, con al vertice, l’Eucaristia; la Parola letta e celebrata chiede di essere vissuta nella carità verso i fratelli e nella missione, continuare cioè quella tradizione vivente da cui è nata e a cui tende per mezzo di chi l’ascolta.

L’ispirazione e l’interpretazione della Sacra Scrittura

Il cap. III della Dei Verbum è dedicato all’ispirazione e all’interpretazione della Scrittura. Innanzitutto viene affermato che le Scritture sono ispirate, cioè che i libri sacri “hanno Dio per autore e come tali sono stati consegnati alla Chiesa” (DV 11), hanno per origine Dio con la mediazione di autori umani.

Viene poi indicato il senso da dare alla verità della Bibbia: “I libri della Scrittura insegnano fermamente, fedelmente e senza errore la verità che Dio per la nostra salvezza volle fosse consegnata nelle sacre lettere” (DV 11). La Bibbia è verità rivelata da Dio in funzione non della cultura di un tempo o di finalità profane, ma della salvezza delle persone, e quindi da comprendere non come risposta a domande scientifiche, ma religiose. Non viene limitata l’ispirazione, ma ne viene indicato il senso. È possibile un dialogo con le scienze, senza che vi sia ragione di conflitti.

La Dei Verbum ricorda che la Bibbia appartiene al mistero dell’incarnazione. Le parole di Dio nella Bibbia sono comprese nella persona del Figlio di Dio, parole quindi che rispecchiano in se stesse l’umanità e la divinità del Verbo, la debolezza umana e la forza di Dio (cfr. DV 13). Bisogna cercare il vero volto di Dio e dell’uomo riconoscendo entrambi in quello di Gesù, uomo e Dio, è la via per approcciare le Scritture.

·    Allora si deve porre attenzione a comprendere il testo biblico non strumentalizzandolo con letture fondamentaliste o ideologiche, ma anche non riducendolo a una pura comprensione letteraria o storica, come qualunque testo: le Scritture parlano di un Dio vivente, perciò una lettura che non si fa “spirituale” rischia la rigidità della lettera che uccide (cfr. 2Cor 3,6).

 

·    Tutto ciò esige un processo di interpretazione della Bibbia accolta per quello che è: Parola di Dio in linguaggio umano, affidata ad una comunità, come è una comunità che l’ha materialmente prodotta (quella dei profeti, degli evangelisti, degli apostoli, ecc…). Essa per essere scoperta richiede un doppio livello di lettura: la ricerca del senso immediato del testo, secondo le sue connotazioni storiche e letterarie, e la sua trasfigurazione nel senso spirituale, ovvero secondo lo “stesso Spirito mediante il quale è stata scritta” (DV 12), quello Spirito che rimanda a Cristo.

 

·    Esiste uno stretto rapporto tra Parola di Dio ed esperienza umana: questo significa che la Bibbia non è come un ricettario di soluzioni pratiche, o un manuale di morale, restando alla superficie del testo senza andare in profondità.

L’unità dei due Testamenti

L’Antico Testamento viene presentato dalla DV come una parte organica della storia della salvezza. I suoi libri “conservano valore perenne” (DV 14), Parola di Dio anche per i cristiani, nell’ottica di una “preparazione evangelica”, di “una vera pedagogia divina” (DV 15), formando così un’unità con il Nuovo Testamento, alla luce del quale “acquistano e manifestano il loro complesso significato” (DV 16).

·   Spesso invece l’Antico Testamento è trascurato, con gli stereotipi sul Dio “violento” e su una religione “nazionalista”, facendo guardare con sospetto alla religione ebraica; bisogna imparare a vedere la continuità fra Antico e Nuovo Testamento e operare una lettura cristiana della prima alleanza.

Il cap. V della Dei Verbum affronta alcune questioni relative al Nuovo Testamento: esso è il vertice di tutta la Sacra Scrittura, perché in esso ci è data “testimonianza perenne e divina” del mistero del Verbo fatto carne, che si manifesta nella “pienezza dei tempi” (DV 7); questa testimonianza ha al suo centro i santi vangeli, di cui è affermata l’origine apostolica (DV 18) e si sottolinea il valore storico. Bisogna riconoscerne la corretta genesi, partendo dalla vita di Gesù, attraverso la predicazione degli apostoli, fino alla redazione dei quattro evangelisti (DV 19); senza dimenticare l’importanza degli altri scritti neotestamentari (DV 20).

·    È importante sottolineare la necessità quindi di non rinunciare a dare un giusto profilo unitario della persona di Gesù Cristo, evitando di spezzettarlo in frammenti di parole e di fatti, come i riflessi in uno specchio spezzato: il Gesù buono e misericordioso, quello giudice severo, quello schiacciato dalla passione, quello glorioso della resurrezione, ecc... Vi è la missione terrena da collocare nelle sue coordinate storiche, geografiche, ambientali e contestuali; c’è da cogliere nell’integralità il suo messaggio umano, e infine cogliere il “mistero” che va oltre le vicende terrene, quello che la risurrezione svela, ma che è già presente in tutta la sua vita riportata nei vangeli.

La Parola di Dio nella vita della Chiesa

Questo capitolo non fa che applicare nella “vita della Chiesa” quanto è stato esposto negli altri capitoli. È un capitolo pratico come la vita, perché è alla vita che deve tendere l’esegesi, la predicazione, la preghiera, che a loro volta dalla vita ricevono arricchimento e significato.

Il n. 21 indica i “luoghi” dell’incontro del cristiano con la Bibbia.

La liturgia e i sacramenti: "La Chiesa ha sempre venerato le divine Scritture 'come' ha fatto per il corpo stesso del Signore, non mancando mai, soprattutto nella sacra liturgia, di nutrirsi del pane di vita dalla mensa, sia della Parola di Dio, che del Corpo di Cristo e di porgerlo ai fedeli." Si parla di presenza della Bibbia nella liturgia. Con la Dei Verbum e la Sacrosanctum Concilium, come abbiamo già visto, si è riscoperta l’unità della mensa della Parola e del Pane eucaristico. La liturgia della Parola non è una specie di preambolo all’Eucaristia, ma è parte essenziale dell'azione liturgica. Nella Sacrosanctum Concilium n. 56 si dice: "La liturgia della Parola e la liturgia eucaristica sono congiunte tra loro così strettamente da formare un solo atto di culto". Viene affermato che la Chiesa realizza la sua essenza nella liturgia in cui Scrittura e pane diventano Parola e Corpo del Signore. Cioè vi è unità intrinseca tra la Parola e il Pane eucaristico, tra la Parola e il Sacramento. La Scrittura insieme con il Corpo di Cristo è il “pane di vita” di un’unica mensa; essa è “sostegno e vigore della Chiesa, e per i figli della Chiesa saldezza della fede, cibo dell’anima, sorgente pura e perenne della vita spirituale”.

Il Concilio cioè ha sottolineato la dimensione sacramentale della Scrittura. Ma già il fatto stesso che ogni sacramento è accompagnato dalla proclamazione della Parola di Dio (pensiamo alle parole della consacrazione eucaristica), ci fa ben comprendere il legame intimo fra i due elementi. Tutto il primo millennio non aveva difficoltà ad accogliere questa affermazione: la Scrittura è un Sacramento. Vi sono delle pagine di Gerolamo, di Agostino che dicono che, come ci si accosta alla comunione, alla manducazione del pane eucaristico, senza perdere una briciola, perché si ha coscienza che è il corpo di Cristo, così si dovrebbe ascoltare la Scrittura senza perdere una sillaba di quello che viene proclamato, perché è il Cristo che ci parla. Nella Dei Verbum 21 si dice: "Nei libri sacri il Padre che è nei cieli viene con sovrabbondanza di amore incontro ai suoi figli ed entra in conversazione con loro. Nella Parola di Dio è poi insita tanta potenza ed efficacia da essere sorgente perenne della vita spirituale."

 

·   Ne scaturiscono implicazioni fondamentali: La Scrittura è efficace, dona ciò che dice, a patto che non rimanga congelata nello scritto, in un libro collocato in biblioteca, ma diventi parola viva nel suo ambiente vitale che è la comunità che prega, sotto la forza dello Spirito, illuminando la vita personale e sociale. L’ambito dove la Scrittura raggiunge la sua maggior efficacia è dove la Parola, che ha al centro Gesù, si coniuga con la presenza stessa di Gesù: l’Eucaristia, e più ampiamente i sacramenti, da sempre “segni dell’incontro con Cristo”.

Il n. 22 afferma che “è necessario che i fedeli abbiano largo acceso alla Sacra Scrittura”. DV mira a mettere la Bibbia in mano a tutti, superando un passato di lontananza che si vorrebbe ricacciare definitivamente indietro. Di conseguenza si rende necessario fare buone traduzioni. Si deve scoprire la Bibbia come libro di uso quotidiano; averne una copia in casa, abituarsi ad averla in mano, a sfogliarne le pagine, a leggerla come Parola di Dio. Una frase di San Girolamo è eloquente: “L’ignoranza delle Scritture è ignoranza di Cristo”.

La DV insiste su tre elementi:

·   La frequentazione assidua: il “contatto continuo”, la “sacra lettura assidua”, lo “studio accurato”, la “frequente lettura”, ecc. va superata l’episodicità, il distacco dai ritmi della vita.

 

·   L’attenzione di fede perché nella parole del testo si incontra Dio (“ascoltiamo lui, quando leggiamo gli oracoli divini”), e dunque la necessità della interiorizzazione personale, il riferimento alla liturgia, in una parola il clima di preghiera “affinché possa svolgersi il dialogo fra Dio e l’uomo”.

 

·   La Parola di Dio vuol essere “pane di vita”. Significa che l’incontro con la Scrittura si fa serio non quando si ferma in un gusto intimistico e devoto, ma quando porta ad una lettura sapienziale del testo sacro, cioè fa leggere i segni dei tempi e fa diventare testimoni della Parola ascoltata e letta. Queste conseguenze che scaturiscono dalla lettura sapienziale non si esaurisce quindi nella sfera personale, ma si allarga all’impegno del credente nell’ambiente in cui vive, ampliandone la risonanza e la diffusione.



[1] Così H. De Lubac, La Rivelazione divina e il senso dell'uomo. Commento alle Costituzioni conciliari «Dei Verbum» e «Gaudium et Spes», Jaca Book, Milano 1985, p. 173.
[2] G. Dossetti, Il Concilio Ecumenico Vaticano II, San Lorenzo, Reggio Emilia, s. d., p. 22.
[3] R. Latourelle (ed.), Vaticano Il. Bilancio e prospettive. Venticinque anni dopo, I, Cittadella, Assisi 1987, p. 17.
[4] A. M. Javierre, «La divina Rivelazione», in AA.VV., La Costituzione dogmatica sulla divina Rivelazione, LDC,
Torino 1973, p. 75.
[5] Per una introduzione globale al testo, cfr. R. Burigana, La Bibbia nel concilio. La redazione della costituzione "Dei verbum" del Vaticano II, Il Mulino, Bologna 1998.
[6] Questa commissione, denominata “commissione mista” era formata da membri della Commissione teologica (estensori e sostenitori dello schema De fontibus Revelationis) e da membri del Segretariato per l’unità dei cristiani (punto di incontro dei “nuovi teologi” e delle nuove prospettive).
[7] Sessione IV, 8 aprile 1546.
[8] Sessione V, 17 giugno 1546; Sessione XXIV, 11 novembre 1563.
[9] Inerranza è il principio per il quale si intende che la Bibbia, in tutto ciò che afferma, sia da considerarsi priva di errori, incluse le sue parti storiche e scientifiche.
[10] Cipriano di Cartagine, De Ecclesiae catholicae unitate, 6: CCL 3, 253 (PL 4, 519). Cfr. Catechismo della Chiesa cattolica n. 181: “« Credere » è un atto ecclesiale. La fede della Chiesa precede, genera, sostiene e nutre la nostra fede. La Chiesa è la Madre di tutti i credenti. « Nessuno può avere Dio per Padre, se non ha la Chiesa per Madre ».”

Nessun commento:

Posta un commento