giovedì 9 febbraio 2012

V domenica del tempo ordinario




Dal libro di Giobbe b 7, 1-4. 6-7

Giobbe parlò e disse: «L'uomo non compie forse un duro servizio sulla terra e i suoi giorni non sono come quelli d'un mercenario? Come lo schiavo sospira l'ombra e come il mercenario aspetta il suo salario, così a me sono toccati mesi d'illusione e notti di affanno mi sono state assegnate. Se mi corico dico: "Quando mi alzerò?". La notte si fa lunga e sono stanco di rigirarmi fino all'alba. I miei giorni scorrono più veloci d'una spola, svaniscono senza un filo di speranza. Ricordati che un soffio è la mia vita: il mio occhio non rivedrà più il bene».


Salmo 146 - Risanaci, Signore, Dio della vita.

È bello cantare inni al nostro Dio,
è dolce innalzare la lode.
Il Signore ricostruisce Gerusalemme,
raduna i dispersi d'Israele.

Risana i cuori affranti
e fascia le loro ferite.
Egli conta il numero delle stelle
e chiama ciascuna per nome.

Grande è il Signore nostro, +
grande nella sua potenza;
la sua sapienza non si può calcolare.
Il Signore sostiene i poveri,
ma abbassa fino a terra i malvagi.

Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corìnzi  9, 16-19.22-23

Fratelli, annunciare il Vangelo non è per me un vanto, perché è una necessità che mi si impone: guai a me se non annuncio il Vangelo! Se lo faccio di mia iniziativa, ho diritto alla ricompensa; ma se non lo faccio di mia iniziativa, è un incarico che mi è stato affidato. Qual è dunque la mia ricompensa? Quella di annunciare gratuitamente il Vangelo senza usare il diritto conferitomi dal Vangelo. Infatti, pur essendo libero da tutti, mi sono fatto servo di tutti per guadagnarne il maggior numero. Mi sono fatto debole per i deboli, per guadagnare i deboli; mi sono fatto tutto per tutti, per salvare a ogni costo qualcuno. Ma tutto io faccio per il Vangelo, per diventarne partecipe anch'io.


Alleluia, alleluia alleluia.
Cristo ha preso le nostre infermità
e si è caricato delle nostre malattie.

Alleluia, alleluia alleluia.
 

Dal vangelo secondo Marco  1, 29-39

In quel tempo, Gesù, uscito dalla sinagoga, subito andò nella casa di Simone e Andrea, in compagnia di Giacomo e Giovanni. La suocera di Simone era a letto con la febbre e subito gli parlarono di lei. Egli si avvicinò e la fece alzare prendendola per mano; la febbre la lasciò ed ella li serviva. Venuta la sera, dopo il tramonto del sole, gli portavano tutti i malati e gli indemoniati. Tutta la città era riunita davanti alla porta. Guarì molti che erano affetti da varie malattie e scacciò molti demòni; ma non permetteva ai demòni di parlare, perché lo conoscevano.  Al mattino presto si alzò quando ancora era buio e, uscito, si ritirò in un luogo deserto, e là pregava. Ma Simone e quelli che erano con lui si misero sulle sue tracce. Lo trovarono e gli dissero: «Tutti ti cercano!». Egli disse loro: «Andiamocene altrove, nei villaggi vicini. perché io predichi anche là; per questo infatti sono venuto!». E andò per tutta la Galilea, predicando nelle loro sinagoghe e scacciando i demòni.

Commento

Cari fratelli e care sorelle, la prima lettura di oggi ci ha fatto ascoltare la voce di Giobbe che dice: “I miei giorni … svaniscono senza un filo di speranza. Ricordati che un soffio è la mia vita: il mio occhio non rivedrà più il bene.” Giobbe ha esaurito le sue energie: è stato messo duramente alla prova nel corpo e nello spirito, ed ora confessa con tristezza che non ha più prospettive e la sua vita scorre senza poter sperare nel futuro. Queste parole, fratelli e sorelle, mi sembra che descrivano bene anche lo stato d’animo delle nostre società contemporanee, alla presa con la grave crisi economica, ma non solo, direi quasi affogate in una più profonda crisi di senso, che significa assenza di visioni per le quali possa sembrar valere la pena di spendere la vita, cioè, come dice Giobbe, le nostre società occidentali si trovano “senza un filo di speranza.” Il Nord del mondo sta vivendo infatti una stagione scarica di energie vitali, e non basta a spiegare questo fatto l’attuale crisi economica, visto che in altre stagioni crisi ancor più gravi sono state l’occasione per uno scatto vitale e l’avvio della costruzione di un futuro migliore. Pensiamo al dopoguerra: un’Italia distrutta dalla guerra, prostrata dalla sconfitta e sfibrata da decenni di un regime autoritario, velleitario e inconcludente, come quello fascista, seppe trovare le energie per ricominciare a costruire un nuovo futuro e ciò avvenne grazie all’impegno di tutti, fino allo sviluppo conosciuto dagli anni ’60 in poi.

Ma oggi proprio queste energie sembrano mancare, e la crisi economica, spesso presentata come la causa della fine delle speranze, mi sembra piuttosto essere essa stessa la conseguenza di una rinuncia, avvenuta già prima del suo esplodere, a desiderare e costruire un futuro migliore, cioè di una assenza di speranza. O piuttosto, una ricerca di futuro c’era, ma solo del proprio individuale vantaggio, senza riuscire a guardare oltre di sé con uno sguardo largo e condiviso, che comprendesse tanti, il nostro popolo, il mondo intero. Numerosi sono stati i segnali di questa mentalità dei tanti “io individuali”, ciascuno alla ricerca della propria affermazione. Pensiamo, solo un anno fa, alla resistenza profonda a festeggiare i 150 anni di storia italiana, cioè della storia comune di un popolo. Si è cercato in tanti modi di rinnegare questa storia che ci ha uniti, preferendo esaltare il particolarismo delle comunità locali, in contrapposizione le une alle altre. Oppure pensiamo alla classe politica così miseramente fallita, tanto da non essere in grado oggi nemmeno di esprimere un governo, poiché è divenuta incapace di cercare il bene comune, interessata solo al tornaconto individuale e della propria formazione, perdendo completamente d’occhio la responsabilità di amministrare e reggere il presente di tutti e di gettare le basi per il futuro delle generazioni a venire. In questo contesto la crisi economica è stata il frutto, maturato dopo anni di lenta crescita dell’albero di questo modo di vivere di società scariche di una visione larga per il futuro e delle energie ideali per realizzarla, cioè, in una parola, di speranza.

Potremmo dire: Ma noi che c’entriamo? Non siamo politici né economisti, che ci possiamo fare?

Ma la malattia della “mancanza di speranza” di cui parla Giobbe non attacca solo la società, ma anche le nostre vite personali. È un’illusione puerile infatti credere che chiudendoci nel nostro piccolo mondo ne restiamo immuni, come difesi dalle mura delle nostre case. E tanti sono i mezzi con cui facciamo finta di essere al sicuro, distraendoci dal vuoto di speranza con mille piccoli espedienti. La crisi dei legami familiari, (cioè proprio quelli che nella mentalità comune dovrebbero essere i più solidi e quelli che ci mettono al riparo dagli imprevisti della vita), la ricerca di ampie parti della società di evasioni a buon mercato nelle nuove sostanze stupefacenti chimiche, la “virtualizzazione”, specie nei più giovani, delle relazioni umane che sono affidate sempre più ai social network piuttosto che all’incontro umano reale, ecc.. sono i tanti sintomi del fatto che  ognuno di noi è affetto dalla mancanza di una visione allargata, nella quale costruire il proprio futuro in un ambito in cui ci sia posto per altri che non siamo noi stessi, soli e disperati. Quale può essere la via d’uscita da questa situazione bloccata?

San Paolo scrivendo ai Corinzi esprime la sua convinzione che esiste un futuro che coinvolge tutti gli uomini, compreso se stesso, e il progetto per realizzarlo è il Vangelo. Sì, il Vangelo è la proposta che viene fatta anche a noi di un futuro nuovo da costruire assieme e per quale ciascuno è necessario, tanto che l’Apostolo afferma la necessità di conquistare tanti facendosi “tutto a tutti”. Il vangelo infatti è una prospettiva che libera l’uomo dal suo isolamento individualistico e gli restituisce la speranza che un futuro migliore è possibile e non riguarda solo me stesso. Per questo  Paolo esorta quelli che lui per primo ha conquistato, cioè i cristiani di Corinto, a farsi instancabili annunciatori di quel Vangelo a tutti. Infatti, dice l’Apostolo, solo assieme ci si salva dalla mancanza di speranza, solo conquistando giorno per giorno nuovo terreno al Vangelo anche noi entreremo in quella buona terra che esso è, liberata dalla mancanza di speranza che tutto fa ammalare e morire. E infatti la dimensione delle comunità fondate da Paolo hanno sempre una dimensione cittadina. Egli scrive a cristiani che hanno imparato a vivere con l’orizzonte di una comunità più larga della propria piccola cerchia o famiglia, l’orizzonte della città, che , per l’epoca, era forse il più largo che i mezzi limitati consentivano. È quello che anche noi oggi dovremmo fare: imparare a pensare al futuro comprendendo l’orizzonte nel quale siamo inseriti, fosse, almeno come minimo, quello cittadino. In questo orizzonte il Vangelo diventa la buona notizia: un futuro migliore si può desiderare e costruire per l’uomo, ed io ci sono dentro: “tutto io faccio per il Vangelo, per diventarne partecipe anch'io” dice Paolo. Sì, darsi da fare per realizzare nella vita il Vangelo e per farlo crescere dentro di sé e nei cuori di chi ci sta accanto fa crescere una nuova speranza per il futuro del mondo e ci permette di divenirne anche noi partecipi.

Vivere il Vangelo significa fare spazio dentro di sé alla vita di tanti altri, a partire proprio dai più deboli, con le loro difficoltà, le gioie, le qualità e i difetti. È quello che Gesù fece lui per primo fin da quei primi passi descritti da Marco nel Vangelo di oggi. Come lui, anche noi dobbiamo imparare a guardare al futuro con dentro le necessità di tanti. Questo vince l’isolamento e rende capaci di sperare, sostenuti dal desiderio di futuro degli altri.

Non è facile spiegare perché, ma è così: se lo proverai a vivere scoprirai che è così. Il Signore ci guarisce dalla malattia che è la mancanza di speranza, come fece con la suocera di Pietro: “Egli si avvicinò e la fece alzare prendendola per mano; la febbre la lasciò ed ella li serviva.” La febbre la lascia mentre inizia a servire gli altri. Una vita bloccata si libera mentre fa spazio dentro di sé agli altri a cui può essere utile. L’egoismo, l’indifferenza, si sciolgono man mano che si comincia a desiderare e costruire un futuro per “noi” e non solo per “me”. È questa la risposta alla mancanza di speranza che inquina le vite delle società e spegne i cuori delle persone. È una risposta che ciascuno può far sua, a partire dalla sua vita quotidiana e pian piano diffonderla attorno a sé. Siamo noi i primi ad averne bisogno, per non essere schiavi, come ci ricorda l’Apostolo: “è una necessità che mi si impone: guai a me se non annuncio il Vangelo!



Preghiere



O Signore ti preghiamo oggi per tutti noi, perché impariamo a vivere una speranza più larga di noi stessi e ci mettiamo al servizio del Vangelo per costruire un futuro per tutti,

Noi ti preghiamo



Perdona o Signore l’egoismo con cui spesso abbiamo vissuto, cercando solo il nostro personale vantaggio. Aiutaci a vivere con un orizzonte più largo, dove ci sia posto per il bisogno di tanti,

Noi ti preghiamo



Ti preghiamo o Signore per questa nostra città, perché conosca una nuova stagione libera dall’incertezza e dal vuoto di prospettive ed impari ad essere un luogo accogliente e solidale con tutti, a partire dai più deboli.

Noi ti preghiamo



Proteggi o Signore tutti quelli che non trovano un riparo nelle nostre città, affannate dalla ricerca del proprio benessere e basta. Apri i cuori perché si allarghino i luoghi dell’amicizia con i poveri, 

Noi ti preghiamo



Ti preghiamo o Signore per i Paesi in cui infuria la guerra. Dona pace e salvezza dove oggi regna la violenza.

Noi ti preghiamo



Proteggi o Dio misericordioso tutti quelli che sono esposti al freddo di questa stagione così rigida. Salva la vita di coloro che sono senza casa e fa’ che trovino riparo,

Noi ti preghiamo.



Guida e sostieni o Dio Padre onnipotente tutti coloro che annunciano il Vangelo e conquistano, giorno per giorno, spazio al tuo amore misericordioso. Fa’ che presto tutti gli uomini della terra ti conoscano e possano invocare il tuo nome,

Noi ti preghiamo



Fa’ o Signore che la tua Chiesa sia sempre più il luogo in cui la presenza del tuo amore diventa buona notizia per tanti. Indica a ciascuno di noi la via per restarti più vicini,

Noi ti preghiamo

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