lunedì 3 maggio 2010

Scuola del Vangelo 2008/09 - I

I incontro

Perché fermarsi sulla Scrittura?
(25 ottobre 2008)

La domanda con cui vogliamo partire con questi nostri incontri è allo stesso tempo semplice e fondamentale: Perché fermarsi sulla Scrittura?
Che bisogno c’è?
È possibile rispondere a questa domanda essenziale in molti modi diversi: “perché mi fa stare bene, mi aiuta a capire la vita, mi sostiene nelle difficoltà, mi incoraggia, ecc…”
Tutte cose vere e giuste, ma non basta una motivazione utilitaristica. E’ come dire che a una persona gli voglio bene perché mi fa comodo il suo aiuto quando ne ho bisogno.
Primo perché in qualche modo è irriguardoso (la Scrittura non ha importanza solo in quanto serve a qualcosa),e poi perché ci sono tante altre cose che possono soddisfare questo tipo di bisogni in modo magari anche più soddisfacente e “a buon mercato”, come ad esempio la psicologia, l’autostima, le spiritualità orientali, i gruppi di auto aiuto, il consumismo, ecc…
Esiste un motivo più profondo, che viene prima ?
Se guardiamo onestamente alla Scrittura sono più i motivi che troviamo per dire che non ha nulla a che vedere con noi piuttosto che il contrario:
viene da lontano nel tempo (alcuni brani hanno oltre 3000 anni e il Vangelo ne ha quasi 2000!);
ha origine in mondi geograficamente lontani dal nostro;
è specchio di una società che non esiste più (contadina e pastorale, arcaica e patriarcale, collettiva);
ha riferimenti culturali e religiosi che ci sono estranei.
Proviamo allora a cercare nella Scrittura i motivi che essa stessa ci offre.
Ecco, sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me. (Ap 3,20.)
Il motivo primo per cui ascoltiamo la Parola è perché bussa alla nostra vita. Cioè è qualcosa che si fa prepotentemente presente a noi, di sua iniziativa e “rumorosamente”. La prima cosa che chiede infatti non è obbedienza, ma di accorgersi di lei e di tenere conto della sua presenza.
Ci può sembrare poco, un obiettivo minimale, ma invece no: il Signore, la sua Parola chiede innanzitutto di accorgerci di lei, perché sa che normalmente questo non avviene. Poche righe prima infatti aveva detto:
All'angelo della Chiesa di Laodicèa scrivi: Così parla l'Amen, il Testimone fedele e verace, il Principio della creazione di Dio: Conosco le tue opere: tu non sei né freddo né caldo. Magari tu fossi freddo o caldo! Ma poiché sei tiepido, non sei cioè né freddo né caldo, sto per vomitarti dalla mia bocca. Tu dici: "Sono ricco, mi sono arricchito; non ho bisogno di nulla", ma non sai di essere un infelice, un miserabile, un povero, cieco e nudo. (Ap 3,14-17)
Cioè il nostro modo di essere ordinario è quello di gente sazia e soddisfatta, che non avverte il bisogno di niente e di nessuno al di fuori di sé. Per questo la Parola bussa alla nostra porta e cerca di farsi sentire, per liberarci da una chiusura in noi stessi che è come una prigione.
Cosa vuol dire vivere una vita sazia e soddisfatta?
A ben vedere la nostra vita procede generalmente su dei binari ben determinati: le abitudini, le cose capite sulla base delle esperienze vissute, le paure, il carattere che ciascuno ha, le reazioni psicologiche, la cultura assorbita dall’ambiente, le tradizioni familiari e le convenzioni sociali, ecc… Sono tutti elementi determinanti e involontari, perché non scelti, ma per lo più subiti e acriticamente accettati, pur essendo cose che caratterizzano fortemente una parte significativa di noi: i rapporti, le scelte, i comportamenti.
Sono binari che ci fanno procedere paralleli agli altri, evitando gli scambi (sempre per usare una metafora ferroviaria) o gli incroci con altri binari, tanto che il bastare a se stessi e il non avere bisogno degli altri è considerato nella nostra cultura un valore: si va dallo psicologo per autorealizzarsi, cioè per scoprire in se stessi le risorse, tutto quello che ci serve per essere felici, per imparare a non aver bisogno di niente e di nessuno, per trovare i motivi dell’autostima (di nuovo qualcosa che parte da sé, ha per oggetto sé e ha come fine se stessi).
Nel Vangelo questo modo di vivere è considerato un demone: il demone della vita autoreferenziale e solitaria e del rifiuto di avere un legame, qualcosa in comune con gli altri:
Intanto giunsero all’altra riva del mare, nella regione dei Gerasèni. Come scese dalla barca, gli venne incontro dai sepolcri un uomo posseduto da uno spirito immondo. Egli aveva la sua dimora nei sepolcri e nessuno più riusciva a tenerlo legato neanche con catene, … Visto Gesù da lontano, accorse, gli si gettò ai piedi, e urlando a gran voce disse: “Che hai tu in comune con me, Gesù, Figlio del Dio altissimo? Ti scongiuro, in nome di Dio, non tormentarmi!” (Mc 5,1-4,6-7)
Avere qualcosa in comune è definito dal demone un “tormento”, un po’ quello che affermava J-P. Sartre: “l’inferno sono gli altri”. Talvolta questa vita posseduta dal demone si manifesta nell’esplosione dell’aggressività e del rifiuto violento (come in Mc 5), ma più spesso assume i toni bassi dell’indifferenza mascherata di gentile correttezza.
La parola di Dio ha il potere di vincere questo demone e di rompere l’ isolamento che allontana l’uno dall’altro.
Intanto Gesù, ancora profondamente commosso, si recò al sepolcro; era una grotta e contro vi era posta una pietra. 39 Disse Gesù: "Togliete la pietra!". Gli rispose Marta, la sorella del morto: "Signore, già manda cattivo odore, poiché è di quattro giorni". 40 Le disse Gesù: "Non ti ho detto che, se credi, vedrai la gloria di Dio?". 41 Tolsero dunque la pietra. … 43 E gridò a gran voce: "Lazzaro, vieni fuori!". 44 Il morto uscì, con i piedi e le mani avvolti in bende, e il volto coperto da un sudario. Gesù disse loro: "Scioglietelo e lasciatelo andare". (Gv 11,38-44)
Lazzaro è morto, cioè fra lui e gli altri (le sorelle che lo amano tanto, i discepoli e Gesù stesso, i tanti amici e parenti che lo piangono) si è frapposta la distanza più grande possibile, quella della morte. Una pietra pesante chiude la sua tomba nel quale è isolato dal resto del mondo; le fasce gli legano le mani e gli chiudono gli occhi. Nonostante la situazione sembri disperata, non c’è più niente da fare, la distanza ormai è troppa fra lui e gli altri, l’isolamento è totale, Gesù insiste per ridurre questa distanza. Per questo motivo i presenti lo prendono per matto e Gesù deve superare le resistenze di quelli che pur amando Lazzaro preferiscono accettare che quella situazione sia definitiva.
Voler ridurre la distanza fra gli uomini sembra una follia, perché essa è la normalità, anzi è giusta e guai a chi la vuole ridurre.
Entrato in contatto con il defunto, (la tomba è stata aperta e il Signore lo vede, gli sta di fronte) Gesù grida una parola, il nome di Lazzaro e l’ordine di uscire. La parola di Dio è un grido rivolto anche a noi, è il grido del nostro nome che ci raggiunge nella tomba della nostra vita isolata, cioè è voce di uno che ci conosce e ci chiama per nome con e con la forza di un grido.
Il grido di Gesù è un ordine: uscire dall’isolamento di una vita autosufficiente e autonoma, sciogliere le bende, scrollare la pietra, tornare a vedere il volto dei fratelli e delle sorelle e far incrociare i binari della propria vita con i loro.
Il vero primo motivo per ascoltare la Scrittura è allora: Perché mi interpella e il suo richiamo mi fa vivere. Tutto il resto viene dopo, ne è come una conseguenza
Per questo abbiamo bisogno di ascoltare la parola di Dio, cioè il grido di un amico che ci chiama per nome e ci fa uscire dall’isolamento per scoprire che c’è un altro, lui, i fratelli e le sorelle.
Proviamo a chiederci dunque quale è il nostro isolamento, quali sono le bende che ci tengono mani e piedi legati, come si manifesta il demone che ci fa restare nel chiuso di una vita angusta e prigioniera, quali sono i ragionamenti che ci fanno sembrare più sensato considerare tutto ciò come normale e accettabile.

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