lunedì 3 maggio 2010

Scuola del Vangelo 2008/09 - XVI

XVI incontro

Commento della Prima lettera
dell’Apostolo Giovanni.
Innalzamento dell’uomo o abbassamento di Dio?
(6 maggio 2009)
1Gv 2, 20-29
Ora voi avete l`unzione ricevuta dal Santo e tutti avete la scienza. Non vi ho scritto perché non conoscete la verità, ma perché la conoscete e perché nessuna menzogna viene dalla verità. Chi è il menzognero se non colui che nega che Gesù è il Cristo? L`anticristo è colui che nega il Padre e il Figlio. Chiunque nega il Figlio, non possiede nemmeno il Padre; chi professa la sua fede nel Figlio possiede anche il Padre. Quanto a voi, tutto ciò che avete udito da principio rimanga in voi. Se rimane in voi quel che avete udito da principio, anche voi rimarrete nel Figlio e nel Padre. E questa è la promessa che egli ci ha fatto: la vita eterna. Questo vi ho scritto riguardo a coloro che cercano di traviarvi. E quanto a voi, l`unzione che avete ricevuto da lui rimane in voi e non avete bisogno che alcuno vi ammaestri; ma come la sua unzione vi insegna ogni cosa, è veritiera e non mentisce, così state saldi in lui, come essa vi insegna. E ora, figlioli, rimanete in lui, perché possiamo aver fiducia quando apparirà e non veniamo svergognati da lui alla sua venuta. Se sapete che egli è giusto, sappiate anche che chiunque opera la giustizia, è nato da lui.

Questo brano della lettera di Giovanni ci propongono come una inversione di prospettiva del rapporto dell’uomo con Dio.
Lo schema classico infatti ci presenta l’uomo che cerca Dio e in un faticoso cammino ascetico, se è in grado di raggiungere un elevato grado di perfezone riesce a diventare più vicino a Dio.
Questo classico schema viene capovolto da Giovanni che con una serie di affermazioni ci mostra come la realtà sia esattamente contrario, proponendo uno schema che potremmo definire della “condiscendenza divina”.
E’ infatti Dio che si abbassa verso l’uomo, il quale, viene come ricercato da Dio che si mette alla sua ricerca, come abbiamo già visto tempo fa commentando l’affermazione di Cristo in Apocalisse 3,20:
“Ecco, io sto alla porta e busso: se qualcuno ascolta la mia voce e apre la porta, io entrerò da lui e cenerò con lui ed egli con me.”
Giovanni esprime questo modo di essere di Dio attraverso alcune immagini e affermazioni che lo abbozzano.
L’Anticristo
Nella scrittura questa parola è usata solo da Giovanni nelle sue lettere, per ben 4 volte:
1Gv 2,18:
“Figlioli, questa è l'ultima ora. Come avete udito che deve venire l'anticristo, di fatto ora molti anticristi sono apparsi. Da questo conosciamo che è l'ultima ora.”
1Gv 2,22:
“Chi è il menzognero se non colui che nega che Gesù è il Cristo? L'anticristo è colui che nega il Padre e il Figlio.”


1Gv 4,3:
“ogni spirito che non riconosce Gesù, non è da Dio. Questo è lo spirito dell'anticristo che, come avete udito, viene, anzi è già nel mondo.”
2Gv 7:
“Poiché molti sono i seduttori che sono apparsi nel mondo, i quali non riconoscono Gesù venuto nella carne. Ecco il seduttore e l'anticristo!”
E’ un’immagine che nasce nella prima comunità (Gesù non ne parla e nemmeno nei Vangeli se ne fa menzione) e che esprime una preoccupazione di Giovanni che vuole mettere in guardia i suoi discepoli perché gli sembra che rappresenti una minaccia grave.
Innanzitutto non è una sola realtà, ma sono molti: “gli anticristi”.
Non è una realtà che viene da fuori del mondo, ma è interna ad esso, anche alla stessa comunità cristiana:
“Questo è lo spirito dell'anticristo che, come avete udito, viene, anzi è già nel mondo.”
“…ora molti anticristi sono apparsi. …Sono usciti di mezzo a noi, ma non erano dei nostri”
Essi sono un segno dell’ ”ultima ora” cioè sono una contraddizione che caratterizza una fase avanzata dell’affermazione della Signoria di Dio.
Giovanni non lascia nel vago la definizione di chi sono gli anticristi, ma anzi è molto esplicito:
“i seduttori che sono apparsi nel mondo, i quali non riconoscono Gesù venuto nella carne”
“ogni spirito che non riconosce Gesù, non è da Dio. Questo è lo spirito dell'anticristo”
“Chi è il menzognero se non colui che nega che Gesù è il Cristo? L'anticristo è colui che nega il Padre e il Figlio.”
L’anticristo è: chiunque neghi l’incarnazione di Dio, la figliolanza divina del Cristo e il suo essere messia, cioè salvatore degli uomini.
Ovvero Giovanni mette in guardia i suoi discepoli da coloro che vogliono privare Gesù della sua potenza salvifica, magari per farne un profeta o un capo politico, o qualcosa di altro dal Figlio di Dio fattosi uomo per la nostra salvezza. E’ evidente il pericolo di tale tentativo di “depotenziare” Gesù.
Giovanni non afferma che costoro sono pericolosi per la loro condotta malvagia o la loro moralità deplorevole, ma perché, magari anche parlando bene di Gesù e non denigrandolo, semplicemente ne mettono in discussione la vera identità salvifica e il suo rapporto col Padre .
Chi sono gli anticristi oggi
Riportando il richiamo di Giovani al nostro tempo, egli mi sembra che ci metta in guardia da un tipo di religione abbastanza diffusa e che chiamerei la “religione della morale e dei valori”. Essa è un modo di dirsi cristiani che si fonda sull’osservanza di un codice morale e lo sforzo di vivere e perseguire alcuni valori. E’ evidente che tale sforzo può benissimo prescindere dal rapporto personale con Gesù, anche se magari prevede una partecipazione ad azioni di devozione o riti, giungendo a rendere tali anche la messa o altre forme di preghiera. La Parola di Dio, o meglio ancora il codice di valori morali che si pretende di ricavarne viene considerato la pietra di paragone con cui ciascun individuo può e deve giudicare il proprio grado di avanzamento in un cammino ascetico di miglioramento.
In questo modo Gesù assume il ruolo di una grande guida morale, o un sapiente, o un propugnatore di un modello di società (in tutti i suoi gradi, dalla famiglia allo Stato) o, per usare una parola che va molto di moda oggi, di “valori”.
E’ evidente come in un tale modello di cristianesimo l’intervento di Dio si limita al fatto di dettare queste norme, quadro di riferimento valoriale, modelli ideale, a cui poi lo sforzo dell’uomo deve cerare di tendere il più possibile, elevandosi verso di essi come la forma suprema di perfezione individuale e sociale.
Dio resta al vertice di questo schema, al di sopra dell’umiltà umana, così segnata dal peccato, e al massimo interviene per mezzo della Chiesa con varie forme di “incoraggiamento”, come ad esempio i sacramenti o l’azione istituzionale dei suoi addetti.
E’ chiaro da quanto detto come in questo modo di concepire il cristianesimo la vera molla che mette in moto il meccanismo e che permette il suo funzionamento è la volontà dell’uomo che lo sostiene nel suo sforzo di elevazione morale.
Tale schema rende inutile l’incarnazione, quel Dio umiliatosi fino a farsi uomo. Per questo possiamo paragonare chi vive una tale religiosità un “anticristo”, perché afferma come superflua l’incarnazione di Gesù nella sua missione salvatrice di Messia. Basta il decalogo trasmesso dal cielo direttamente da Dio a Mosé, tenendo ben netta la separazione e la distanza.
Discepoli: non esecutori di una legge ma amici intimi di Gesù
Giovanni dice ai suoi discepoli che essi “conoscono la verità”:
“Non vi ho scritto perché non conoscete la verità, ma perché la conoscete e perché nessuna menzogna viene dalla verità.”
La verità non è un codice di comportamento, un paradigma valoriale, un modello sociale, ma è la persona di Gesù stesso: “Io sono la via, la verità e la vita; nessuno viene al Padre se non per mezzo di me. Se mi aveste conosciuto avreste conosciuto anche mio Padre; e fin da ora lo conoscete, e l'avete visto” (Gv 14 6-7)
Giovanni insiste con i suoi di restare saldi in questa conoscenza di Dio frutto del dono dello Spirito santo (unzione), che cioè li coinvolge in un rapporto di amicizia calda e profonda, un’esperienza pneumatica che cioè fa parte dell’interiorità intima del discepolo e pertanto ne modifica l’agire.
A conferma di ciò Giovanni afferma che questo rapporto intimo con Dio, segnato dall’amore accolto con le Spirito e ricambiato dall’uomo, è quanto basta conoscere, e chi lo vive non ha bisogno di apprendere dottrine o norme per la propria salvezza. L’unica cosa richiesta è restare saldi in questo rapporto personale di amicizia con Dio:
“E quanto a voi, l`unzione che avete ricevuto da lui rimane in voi e non avete bisogno che alcuno vi ammaestri; ma come la sua unzione vi insegna ogni cosa, è veritiera e non mentisce, così state saldi in lui, come essa vi insegna.”
Il brano si conclude con l’affermazione:
“Se sapete che egli è giusto, sappiate anche che chiunque opera la giustizia, è nato da lui.”
Cioè il nostro essere giusti nasce dal fatto di essere legati a lui da amicizia profonda (situazione espressa da Giovanni con “essere nati da lui”), e non il contrario, come prospetta lo schema “ascetico”, e cioè che se io mi comporto bene, allora posso dire di essere amico di Dio.
Infatti l’iniziativa è sempre di Dio, che compie il primo passo vero di noi, donando il suo Spirito e offrendoci la sua amicizia. Se noi accogliamo questa offerta e ci lasciamo coinvolgere da questo rapporto personale, allora avremo la possibilità di assomigliargli e vivere la giustizia, e tutto il resto che ci rende simili a lui.
E’ questa la logica invertita di Giovanni: non un cammino dell’uomo verso l’altro (Dio), ma l’abbassamento di Dio (kenosi) fino all’uomo.
Come si fa ad essere amici di Dio?
Ciò comporta l’esigenza di accorgerci dell’amore di Dio per noi, delle tante occasioni che ci offre per rendercene conto e per ricambiarlo:
Principalmente mi sembra che si possono individuare queste occasioni in tre principali ambiti:
La Parola di Dio
L’incontro con i poveri
I fratelli e le sorelle.
Rifiutare questi “luoghi” di amicizia con Dio, attraverso i quali egli compie il primo passo verso di noi non ci consente di essere salvati da lui, perché ne rifiutiamo la vicinanza.
1° ambito: La Parola di Dio
È forse il modo più diretto ed esplicito attraverso il quale Dio si fa presente alla nostra vita e ci manifesta il suo amore per noi: è lui a fare il primo passo, a parlarci, ma allo stesso tempo ci dimostra il suo interesse, perché si aspetta di avere una risposta, la Parola è sempre una domanda che interpella e chiede una risposta della vita. Abbiamo già parlato a lungo all’inizio di questi nostri incontri di cosa vuol dire avere un rapporto personale con il Signore attraverso la sua Parola.
2° ambito: l’incontro con i poveri
Anche di questo ne abbiamo parlato spesso: vedi Mt 25. Gesù si identifica con i poveri e il rapporto con loro diventa metro di giudizio del nostro rifiuto o accoglienza del Signore stesso. Ancora una volta notiamo nel brano l’assenza di categorie morali: accogliere i poveri non è subordinato alla loro moralità o giustizia, perché c’è una identificazione col Signore che va al di là del contingente, ma è in radice. L’amore richiesto da noi per loro è il contraccambio di un amore del Signore che non dipende dalle nostre qualità morali, ma previene e contraddice ogni logica di merito o diritto.
Quanto appena detto fa capire l’affermazione di Gesù:
“Perché i poveri li avete sempre con voi, ma me non mi avete sempre.” (Mt 26,11; Gv 12,8)
Presa in senso letterale questa affermazione sembra una giustificazione dell’ingiustizia sociale: sembra la negazione di Gesù della possibilità di giungere un giorno alla sconfitta definitiva della povertà, che cioè ci saranno sempre i poveri, perché sono una realtà naturale e, per questo, in fondo anche giusta. Partendo invece dall’identificazione di Gesù con i poveri questa appare invece come la promessa del Signore a essere sempre presente nella nostra vita e pertanto una prova del suo amore che non ci abbandona mai.
3° ambito: i fratelli e le sorelle
Questo è il terzo modo con cui Gesù ci invita a riconoscere il suo amore.
Nel vangelo di Giovanni subito dopo la frazione del pane e la distribuzione del vino Gesù istituisce un nuovo comandamento:
“Io vi do un nuovo comandamento: che vi amiate gli uni gli altri. Come io vi ho amati, anche voi amatevi gli uni gli altri. Da questo conosceranno tutti che siete miei discepoli, se avete amore gli uni per gli altri.” (Gv 13, 34-35)
L’amore fraterno come sacramento del legame col Signore stesso. Amare il fratello è frutto dell’accoglienza dell’amore del Signore (Come io vi ho amati, così anche voi …) ma rende quello stesso amore visibile (Da questo conosceranno …), cioè l’amore del Signore è la natura del nostro rapporto coi fratelli e le sorelle, è quello stesso amore che noi possiamo vivere con loro.

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