lunedì 3 maggio 2010

Scuola del Vangelo 2008/09 - XIII

XIII incontro

Commento della Prima lettera
dell’Apostolo Giovanni
Sulla soglia della Settimana Santa
ci facciamo attrarre verso Dio
(31 marzo 2009)

1Gv 12, 31-36
Ora è il giudizio di questo mondo; ora il principe di questo mondo sarà gettato fuori. Io, quando sarò elevato da terra, attirerò tutti a me". Questo diceva per indicare di qual morte doveva morire. Allora la folla gli rispose: "Noi abbiamo appreso dalla Legge che il Cristo rimane in eterno; come dunque tu dici che il Figlio dell`uomo deve essere elevato? Chi è questo Figlio dell`uomo?". Gesù allora disse loro: "Ancora per poco tempo la luce è con voi. Camminate mentre avete la luce, perché non vi sorprendano le tenebre; chi cammina nelle tenebre non sa dove va. Mentre avete la luce credete nella luce, per diventare figli della luce". Gesù disse queste cose, poi se ne andò e si nascose da loro.

Siamo nel mezzo della settimana che precede la Grande e Santa Settimana di Passione.
Giungiamo da un tempo di cammino impegnativo, la Quaresima, che ci ha accompagnato con la lettura della prima lettera di Giovanni. Nelle sue parole abbiamo colto, come dicevamo l’ultima volta, un invito a saper vedere nella nostra vita i segni sella sua presenza e della forza che ci da, mentre noi siamo portati a evidenziare la nostra lontananza da Dio. Non perché questa non sia vero, ma perché questa insistenza mette quasi in ombra la forza di Gesù che super ogni barriera.
Anche domenica scorsa, ascoltando il brano del Vangelo di Giovanni che precede quello che oggi abbiamo letto, sottolineavamo come Gesù rifiuta una certa idea che lo vede circoscritto e come prigioniero di certi momenti o certi luoghi in cui “andare a cercarlo” proprio perché invece lui è sempre vivo e con noi, solo che noi non lo conosciamo. Infatti la sua risposta ai greci che dicono di volere “vedere Gesù” non da una indicazione sul luogo e l’ora in cui si rende presente, ma invece verte tutta sulla conversione che deve vivere colui che desidera incontrarlo per diventare capace di riconoscerlo sempre accanto a sé.
Gesù ci conferma questa sua presenza, anche se tanti, presi dalla vita del mondo, non se ne accorgono:
lo Spirito della verità, che il mondo non può ricevere perché non lo vede e non lo conosce. Voi lo conoscete, perché dimora con voi, e sarà in voi. (Gv 14,17)
Oggi continuiamo la lettura dei versetti successivi a quelli del brano di domenica.
Gesù parla della forza attrattiva del suo innalzamento sulla croce. Non è un paradosso inaccettabile? La gente risponde un po’ scettica e incredula a queste affermazioni di Gesù. Anche noi ci affacciamo alla soglia della Settimana Santa con un atteggiamento un po’ titubante.
Sentiamo come il timore a lasciarci andare: è una storia con troppo dolore, assomiglia troppo alle storie più brutte di questi giorni, segnate da violenza, tradimento, arroganza e falsità, abuso di potere, in cui chi non si fa strada con forza viene immancabilmente schiacciato.
Anche a noi viene da distogliere lo sguardo, da pensare ad altro: già c’è tanto dolore nel mondo, che bisogno c’è di rievocare con insistenza quella brutta storia antica?
I giudei dicevano la stessa cosa: “Noi abbiamo appreso dalla Legge che il Cristo rimane in eterno; come dunque tu dici che il Figlio dell`uomo deve essere elevato?”
Noi aspiriamo a un futuro migliore, che significa soffermarci sul dolore di un crocifisso?
E’ una domanda lecita e non dobbiamo aver timore di porcela. Ce la poniamo quotidianamente davanti ai crocefissi della terra, quando voltiamo il volto in cerca di un po’ di distrazione e sollievo, come dice il profeta Isaia:
Disprezzato e reietto dagli uomini, uomo dei dolori che ben conosce il patire, come uno davanti al quale ci si copre la faccia, era disprezzato e non ne avevamo alcuna stima. (Is 53, 11)
Coprirsi la faccia indica i tanti modi con cui noi evitiamo di vedere:
la distrazione, essere presi dai fatti propri
un senso indaffarato che non ha mai tempo,
un senso scontato, abitudinario di vedere,
credere di conoscere e sapere già; ecc…
Il Vangelo ci dice però che se non ci copriamo la faccia e guardiamo verso il Gesù della passione e della croce saremmo attratti da lui, e non respinti, come ci viene istintivamente di pensare. Ecco allora il primo messaggio: per vivere la Settimana Santa con Gesù e non sfuggirlo dobbiamo provare ad alzare lo sguardo da noi stessi e a fissarlo su di lui.
La settimana santa ci da molte occasioni per farlo, accompagnandoci passo passo come in un viaggio assieme a Gesù, fino alla sua tomba.
Il primo impegno di questi giorni deve essere allora quello di alzare lo sguardo da noi, i nostri impegni, le occupazioni, per guardare avanti a noi cosa succede. La Scrittura infatti ci rende contemporanei delle vicende di Gesù: dal suo ingresso a Gerusalemme, alla cena coi suoi, la lavanda dei piedi, il tradimento e l’arresto, il processo, la via della croce, la morte in croce, fino alla sepoltura nella tomba.
Ma questo non ci viene spontaneo. Come vincere allora questo istinto così umano?
Gesù nella sua risposta all’atteggiamento scettico dei giudei fa emergere due dimensioni: il contrasto fra luce e buio e il giudizio.
Gesù nel brano parla di una dimensione di lotta e contrapposizione: fra bene e male (Ora è il giudizio di questo mondo; ora il principe di questo mondo sarà gettato fuori), fra luce e buio (Ancora per poco tempo la luce è con voi. Camminate mentre avete la luce, perché non vi sorprendano le tenebre; chi cammina nelle tenebre non sa dove va),
Sì, la presenza di Gesù fa emergere una dimensione di lotta che noi siamo generalmente portati a non considerare.
L’uomo moderno è l’uomo del compromesso, l’uomo dei mezzi toni. E’ di moda il “polically correct” che significa spesso smussare i toni perché niente assuma un taglio troppo deciso.
Siamo uomini e donne che fuggono un impegno definitivo, la decisività, la scelta forte.
Meglio tenere i piedi in più staffe, non precludersi la possibilità di tornare indietro.
E’ importante non eccedere, non compromettersi, non essere troppo diversi da tutti.
Siamo spaventati da ciò che sembra eccessivo.
La psicologia è come una grande nebbia che tutto avvolge e spiega: c’è una spiegazione per ogni cosa, i comportamenti umani e sociali diventano accettabili, anche quando mostruosi, perché ci si focalizza sulle cause, come a sminuire le responsabilità. La psicologia offre un alibi a buon mercato che porta a dire che in fondo nessuno è veramente colpevole, perché tutto si spiega e giustifica con un meccanismo spiegabile e che ci coinvolte tutti. E’ difficile prendere le distanze, prendere posizione quando si comincia a spiegare. E’ la grande nebbia che smussa i toni della vita: ha ucciso perché ha sofferto da piccolo, e chi di noi non ha avuto i suoi traumi da piccolo, ecc…
Tutto questo, che è un portato storico del nostro mondo e della cultura che anche noi respiriamo, fa sì che l’uomo moderno fugga la dimensione della lotta.
Questo è il secondo invito del tempo della Settimana santa: vivere una dimensione di lotta contro una innata complicità col male che cerca di mettere in secondo piano il male, di camuffarlo o di voltarsi dall’altra parte. Se proviamo a farci porre la domanda del vangelo troviamo la nostra collocazione: io da che parte sto? Cerco la luce o preferisco il buio? C’è un giudizio perché c’è una lotta fra luce e buio e ciascuno è chiamato inequivocabilmente a prendere posizione: dove sto io?
Noi abbiamo idea di giudizio che trovare di chi è la colpa. Idea scolastica dello “sbaglio” da non far vedere al professore. In realtà questo atteggiamento un po’ infantile di sfuggire l’essere colti in castagna, di camuffare lo sbaglio è il modo con cui noi ci impediamo di essere migliori.
Infatti se non si riconosce onestamente il proprio limite e mancanza, non c’è rimedio e siamo condannati a ripeterci sempre uguali a noi stessi. Chi si rende conto di quello che non va in se stesso è spinto a non ripeterlo e può cambiare.
Il giudizio di cui parla Gesù allora non è la brutta figura o la diminuzione, ma il segno della misericordia di Gesù, il giudizio è per la salvezza e non la condanna:
Se qualcuno ascolta le mie parole e non le osserva, io non lo condanno; perché non sono venuto per condannare il mondo, ma per salvare il mondo. (Gv 12,47)
Ecco allora il terzo invito della Settimana Santa: non sfuggire il giudizio del Vangelo che nasce dalla nostra collocazione nella lotta fra la luce e il buio, fra il bene e il male, per poter pentirci e convertirci. Come Pietro che dopo aver tradito Gesù, non se ne scappò via, ma guardò Gesù e incontrando il suo sguardo scoppiò in lacrime. Nella Settimana Santa della Passione di Gesù si rivolge a noi questo sguardo che ci giudica, ci fa scoppiare in lacrime e così ci salva.
Se ci sforziamo di vivere così questo tempo che si apre domenica prossima con l’ingresso di Gesù a Gerusalemme scopriremo la forza di attrazione del Signore che è la sua misericordia. La Passione e morte di Gesù ci aprono la visione della sua misericordia, cioè di un amore nonostante tutto: il tradimento, l’indifferenza, la paura, la fuga, la freddezza, ecc… La Passione ci mostra tutta la forza della misericordia di Dio. Siamo pronti a guardare a lui per coglierne i tratti? Ci vuole attenzione e una certa finezza per capire la misericordia di Gesù per ogni uomo.
Noi spesso ci tagliamo fuori non per cattiveria, ma perché siamo grezzi e faciloni e non facciamo lo sforzo di cercare con attenzione le sfumature delle parole, i gesti. Lo sguardo di Gesù.
Se seguiremo i tre consigli – inviti che la Parola di Dio questa sera ci rivolge impareremo a cogliere i tratti del volto misericordioso di Gesù, a “vederlo” accanto a noi, più di quanto crediamo e ci meritiamo a restarne così attratti e affascinati da non poter più fare a meno di lui.

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