lunedì 3 maggio 2010

Scuola del Vangelo 2008/09 - XVIII

XVIII incontro

Commento della Prima lettera
dell’Apostolo Giovanni.
Amare è il cuore del Vangelo
(13 giugno 2009)
1Gv 3, 3-24
Chiunque ha questa speranza in lui, purifica se stesso, come egli è puro. Chiunque commette il peccato, commette anche violazione della legge, perché il peccato è violazione della legge. Voi sapete che egli è apparso per togliere i peccati e che in lui non v`è peccato. Chiunque rimane in lui non pecca; chiunque pecca non lo ha visto né l`ha conosciuto. Figlioli, nessuno v`inganni. Chi pratica la giustizia è giusto com`egli è giusto. Chi commette il peccato viene dal diavolo, perché il diavolo è peccatore fin dal principio. Ora il Figlio di Dio è apparso per distruggere le opere del diavolo. Chiunque è nato da Dio non commette peccato, perché un germe divino dimora in lui, e non può peccare perché è nato da Dio.
Da questo si distinguono i figli di Dio dai figli del diavolo: chi non pratica la giustizia non è da Dio, né lo è chi non ama il suo fratello. Poiché questo è il messaggio che avete udito fin da principio: che ci amiamo gli uni gli altri. Non come Caino, che era dal maligno e uccise il suo fratello. E per qual motivo l`uccise? Perché le opere sue erano malvagie, mentre quelle di suo fratello erano giuste. Non vi meravigliate, fratelli, se il mondo vi odia. Noi sappiamo che siamo passati dalla morte alla vita, perché amiamo i fratelli. Chi non ama rimane nella morte. Chiunque odia il proprio fratello è omicida, e voi sapete che nessun omicida possiede in se stesso la vita eterna. Da questo abbiamo conosciuto l`amore: Egli ha dato la sua vita per noi; quindi anche noi dobbiamo dare la vita per i fratelli. Ma se uno ha ricchezze di questo mondo e vedendo il suo fratello in necessità gli chiude il proprio cuore, come dimora in lui l`amore di Dio? Figlioli, non amiamo a parole né con la lingua, ma coi fatti e nella verità. Da questo conosceremo che siamo nati dalla verità e davanti a lui rassicureremo il nostro cuore qualunque cosa esso ci rimproveri. Dio è più grande del nostro cuore e conosce ogni cosa. Carissimi, se il nostro cuore non ci rimprovera nulla, abbiamo fiducia in Dio; e qualunque cosa chiediamo la riceviamo da lui perché osserviamo i suoi comandamenti e facciamo quel che è gradito a lui. Questo è il suo comandamento: che crediamo nel nome del Figlio suo Gesù Cristo e ci amiamo gli uni gli altri, secondo il precetto che ci ha dato. Chi osserva i suoi comandamenti dimora in Dio ed egli in lui. E da questo conosciamo che dimora in noi: dallo Spirito che ci ha dato.

Concludiamo questi nostri incontri con queste ultime parole del capitolo III della lettera di Giovanni che possiamo definire una lezione sull’amore.
Dopo una lunga preparazione Giovanni affronta il tema che gli sta più a cuore. Infatti nella letteratura antica il centro di un testo era la parte che conteneva il cuore del discorso. Questo capito III sui cinque di cui è composta la lettera ne è quindi alche la parte più importante.
Nella sua prima parte, abbiamo già visto la scorsa volta, Giovanni ci dice che siamo veramente figli di Dio. E’ un fatto già reale ed è operante, se noi lo riconosciamo, non solo un’aspirazione futura, con questo senso del “già presente” così tipico di Giovanni. Egli sottolinea con questo atteggiamento la novità sconvolgente della venuta di Cristo che giustifica il fatto che niente è più come prima e la realtà degli uomini è già nuova di per sé, vivificata, rivoluzionata dall’evento salvifico di Gesù. Per questo supera ogni idea di traguardo futuro da conseguire e mette sotto gli occhi dei suoi discepoli una realtà già operante, di cui invita i discepoli a rendersi conto, quasi che questo e null’altro sia necessario: accogliere la novità della vita di Cristo e conformarsi ad essa.
Questo atteggiamento però non significa deresponsabilizzare il discepolo dalla necessità di fare alcunché. Anzi, la vita nuova va accolta, ma non costruita, la salvezza va accettata, ma non fatta con le nostre mani, ecc…
In questo contesto si colloca l’attenzione di Giovanni al peccato dei primi passi del capitolo. Il peccato per Giovanni non è tanto contravvenzione a una legge, fare qualcosa che è vietato, ma non fare invece quello che è il nostro bene che è innanzitutto “conoscere” il Signore, accogliere la sua parola, diventarne seguaci e discepoli.
“Chiunque rimane in lui non pecca; chiunque pecca non lo ha visto né l`ha conosciuto. … Ora il Figlio di Dio è apparso per distruggere le opere del diavolo. Chiunque è nato da Dio non commette peccato, perché un germe divino dimora in lui, e non può peccare perché è nato da Dio.”
Conoscere Dio, nascere da Dio, cioè con una parola, lasciarsi coinvolgere dal vivere con lui è vincere il peccato. Restare invece isolati, separati da lui, lontani, indifferenti, estranei al Signore è vivere nel peccato.
Di nuovo lo sforzo richiesto al cristiano è lasciarsi prendere, farsi trascinare da un amore che viene da Dio e parte da lui per sua iniziativa.
Una volta messo in chiaro questo entra nella descrizione di cos’è questo amore.
Non è scontato, perché amore e amare è una parola stiracchiata da tutte le parti, che tanti usano ma ognuno gli da il contenuto che vuole.
Partendo dalle parole di Giovanni possiamo dire alcune cose:
Amare è legato sempre all’altro: o il fratello o Dio. Non si parla di amore se non nel rapporto con qualcuno, non può essere slegato o assoluto. La nostra cultura è stata molto influenzata dalla filosofia platonica. Per il filosofo greco tutto ciò che esiste sulla terra è in qualche modo la “copia”, la realizzazione contingente, di un concetto eterno e spirituale. La verità e la perfezione è questa idea, le realizzazioni concrete sono solo delle imitazioni imperfette e di poco valore.
Il cristianesimo ha assunto questo concetto per spiegare che Dio racchiude la perfezione di tutte le cose, mentre gli uomini e la realtà terrena sono solo le realizzazioni imperfette di esso.
Da questo schema deriva anche la nostra idea di amore cristiano: Dio è l’unico possessore dell’essenza, della perfezione dell’amore, quello che noi possiamo vivere è la pallida imitazione imperfetta di minor valore.
La mentalità semitica di cui Giovanni è portavoce non disgiunge mai l’idea dalla realizzazione concreta. Per Giovanni anche in Dio non esiste l’amore in sé e per sé ma l’amore per il creato, l’amore speciale per l’uomo, e poi l’amore del Padre per il Figlio, e del Figlio per lo Spirito, che spiega perché Dio non è unico e perfetto in sé, ma ha bisogno di essere trinità per esistere.
Non amare il fratello è ucciderlo (come Caino). Tanto concreto è l’amore che la mancanza di amore viene assimilata all’uccisione del fratello: se non lo amo per me è morto, nemmeno esiste. Non basta che il sentimento sia nel cuore, deve esprimersi, il sentimento non vissuto ha il colore della morte. Giovanni parlando dell’amore e della sua mancanza insiste sul tema vita-morte: odiare è uccidere, così come amare è dare la vita. E l’esempio più grande e vero è Gesù: il suo amore da la vita (nel duplice significato di offrire la propria vita e fornire vita ad altri).
Il peccato non è fare ciò che è vietato (la legge) ma è non amare. Diremmo che per Giovanni i peccati più gravi, quelli che danno la morte, sono il non-amare.
Esempio concreto di amore: l’elemosina.
Fede e amore hanno una matrice e una radice comune, possiamo dire che stanno in piedi insieme o cadono insieme.
L’amore è legato alla realtà dello Spirito. Di nuovo l’apostolo ci aiuta ad avere dello Spirito santo una idea meno astratta e inconsistente, ma gli da tutta la concretezza dell’amore vissuto.
Accogliamo queste parole “centrali” di Giovanni come un invito per il tempo che viene. Spesso l’estate è il tempo da dedicare a se stessi, tempo in cui l’altro non conta. Per il cristiano il tempo vissuto così è tempo inutile e bestemmia del dono della vita che riceviamo. Chiediamoci allora cosa vuol dire per ciascuno vivere anche un tempo in cui per ragioni oggettive le attività cambiano non come occasione per vivere il tempo del non-amore, cioè del peccato.

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