V incontro
Siamo invitati al banchetto del Regno di Dio
(6 dicembre 2008)
Siamo invitati al banchetto del Regno di Dio
(6 dicembre 2008)
Gesù parla spesso di un banchetto: è il suo modo di rappresentare la vita. Non è una scelta casuale, si ripete più volte nell’arco dell’esperienza terrena di Gesù:
il banchetto delle nozze di Cana segna l’inizio della sua vita pubblica, è il suo primo miracolo (Gv 2, 1-ss.);
sempre a tavola possiamo dire che si conclude la vicenda terrena di Gesù: Emmaus (Lc 24,13-ss.)
l’ultima cena è il momento in cui lascia in eredità ai discepoli la sua presenza reale e concreta nell’Eucaristia (Lc 22)
Diverse volte il Vangelo ci parla di una tavola imbandita, a cui Gesù partecipa come convitato, oppure è l’immagine usata dal Signore in parabole che parlano del Regno di Dio o in situazioni analoghe:
Lc 5, 9-ss.; Mt 8,11; Mt 9,10; Mt 22, 1-ss; Lc 7, 36-ss.; Lc 11, 37-ss.; Lc 14,12-ss.; Lc 17, 8; Lc 22, 8; Gv 12, 2; Gv 13,2; Gv 21,20;
tanto che Gesù viene definito “un mangione e un beone” (Mt 11,19 –Lc 7,34).
Ci chiediamo oggi: che cosa significa questa immagine che Gesù sceglie? Ce lo chiediamo non a caso, ma in continuazione con la riflessione passata e in vista del pranzo di Natale che fra poche settimane ci vedrà impegnati ad accogliere i poveri per festeggiare proprio a tavola la nascita del Signore.
Innanzitutto credo che il primo motivo che possiamo immaginare per il quale Gesù insiste su questa immagine è perché la tavola è una festa, riunisce gli uomini e le donne assieme, è luogo pacifico, di dialogo, di gioia conviviale, ecc… E’, in questo senso, un’immagine accattivante:
“Gesù disse ad un uomo che lo aveva invitato a pranzo: "Quando offri un pranzo o una cena, non invitare i tuoi amici, né i tuoi fratelli, né i tuoi parenti, né i ricchi vicini, perché anch’essi non ti invitino a loro volta e tu abbia il contraccambio. Al contrario, quando dai un banchetto, invita poveri, storpi, zoppi, ciechi; e sarai beato perché non hanno da ricambiarti. Riceverai infatti la tua ricompensa alla risurrezione dei giusti". Uno dei commensali, avendo udito ciò, gli disse: "Beato chi mangerà il pane nel regno di Dio!". Gesù rispose: "Un uomo diede una grande cena e fece molti inviti. All’ora della cena, mandò il suo servo a dire agli invitati: Venite, è pronto. Ma tutti, all’unanimità, cominciarono a scusarsi. Il primo disse: Ho comprato un campo e devo andare a vederlo; ti prego, considerami giustificato. Un altro disse: Ho comprato cinque paia di buoi e vado a provarli; ti prego, considerami giustificato. Un altro disse: Ho preso moglie e perciò non posso venire. Al suo ritorno il servo riferì tutto questo al padrone. Allora il padrone di casa, irritato, disse al servo: Esci subito per le piazze e per le vie della città e conduci qui poveri, storpi, ciechi e zoppi. Il servo disse: Signore, è stato fatto come hai ordinato, ma c’è ancora posto. Il padrone allora disse al servo: Esci per le strade e lungo le siepi, spingili a entrare, perché la mia casa si riempia. Perché vi dico: Nessuno di quegli uomini che erano stati invitati assaggerà la mia cena".
Siccome molta gente andava con lui, egli si voltò e disse: "Se uno viene a me e non odia suo padre, sua madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo. Chi non porta la propria croce e non viene dietro di me, non può essere mio discepolo. Chi di voi, volendo costruire una torre, non si siede prima a calcolarne la spesa, se ha i mezzi per portarla a compimento? Per evitare che, se getta le fondamenta e non può finire il lavoro, tutti coloro che vedono comincino a deriderlo, dicendo: Costui ha iniziato a costruire, ma non è stato capace di finire il lavoro. Oppure quale re, partendo in guerra contro un altro re, non siede prima a esaminare se può affrontare con diecimila uomini chi gli viene incontro con ventimila? Se no, mentre l’altro è ancora lontano, gli manda un’ambasceria per la pace. Così chiunque di voi non rinunzia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo. Il sale è buono, ma se anche il sale perdesse il sapore, con che cosa lo si salerà? Non serve né per la terra né per il concime e così lo buttano via. Chi ha orecchi per intendere, intenda". (Lc 14)
In un passo analogo del vangelo sinottico di Matteo, al capitolo 22, Gesù parla di un banchetto che un re organizza per il matrimonio di suo figlio.
Possiamo leggere questa situazione come l’immagine che ci ritrae in questo tempo di avvento in cui il Signore vuole preparare un banchetto a festeggiare le nozze del suo Figlio con l’esistenza umana, il suo Natale sulla terra. Sono nozze che inaugurano un rapporto nuovo, intimo, il matrimonio fra Dio, il suo popolo e l’umanità intera, dopo tanti secoli di storia caratterizzata da una grande distanza. E’ una unione stretta, definitiva, le nozze dopo un lungo fidanzamento.
In questo Avvento viviamo il tempo in cui il Signore prepara il banchetto delle nozze e ci invita a parteciparvi.
Quali sono le caratteristiche di questo banchetto?
“Quando offri un pranzo o una cena, non invitare i tuoi amici, né i tuoi fratelli, né i tuoi parenti, né i ricchi vicini, perché anch’essi non ti invitino a loro volta e tu abbia il contraccambio. Al contrario, quando dai un banchetto, invita poveri, storpi, zoppi, ciechi; e sarai beato perché non hanno da ricambiarti. Riceverai infatti la tua ricompensa alla risurrezione dei giusti”
Riprendendo il filo del nostro discorso dell’altra volta, possiamo dire che l’invito del Signore raggiunge innanzitutto chi vive uno stato di bisogno e non lo nega, ma anzi desidera essere invitato. Lo dicevamo: tutti siamo deboli e fragili e viviamo il bisogno dell’altro, di Dio e dei fratelli, ma in molti lo mascheriamo e facciamo in modo di non crederci. Chi vive così riceve l’invito, ma lo rifiuta, perché si sente superiore, ha sempre qualcosa di più importante da fare, come dice la parabola:
“All’ora della cena, mandò il suo servo a dire agli invitati: Venite, è pronto. Ma tutti, all’unanimità, cominciarono a scusarsi. Il primo disse: Ho comprato un campo e devo andare a vederlo; ti prego, considerami giustificato. Un altro disse: Ho comprato cinque paia di buoi e vado a provarli; ti prego, considerami giustificato. Un altro disse: Ho preso moglie e perciò non posso venire.”
Il servo della parabola è l’angelo che annuncia a Natale la nascita di Gesù, il matrimonio di Dio con l’umanità, e invita tutti a condividere la gioia di questa grande festa, ma chi apre la porta di casa propria per farlo nascere?
Il Signore non si scoraggia per i rifiuti che riceve, ma insiste: lui, a differenza degli uomini, non maschera il suo bisogno degli altri. Noi potremmo istintivamente pensare che Dio avrebbe potuto benissimo fare a meno degli ospiti, che bisogno ne aveva? Ma come dicevamo, il bisogno dell’altro è nella sua natura, e questo lo spinge a mandare i suoi servi ad invitare tutti quelli che può, finché la sala non è piena:
“Allora il padrone di casa, irritato, disse al servo: Esci subito per le piazze e per le vie della città e conduci qui poveri, storpi, ciechi e zoppi. Il servo disse: Signore, è stato fatto come hai ordinato, ma c’è ancora posto. Il padrone allora disse al servo: Esci per le strade e lungo le siepi, spingili a entrare, perché la mia casa si riempia.”
E’ un Dio esagerato, non si dà pace finché non c’è proprio più posto, scandalo per il nostro realismo che fa sempre attenzione a non superare certi limiti: qualcuno sì, ma senza esagerazione, qualche volta va bene, ma non sempre, ecc…
Possiamo dire che la felicità di Dio è la casa piena. E’ un paradosso, perché la casa di Dio ha posto per tutti:
“Nella casa del Padre mio ci sono molte dimore; se no, vi avrei detto forse che io vado a prepararvi un luogo? Quando sarò andato e vi avrò preparato un luogo, tornerò e vi accoglierò presso di me, affinché dove sono io, siate anche voi.” (Gv 14, 2-ss.)
La felicità potremo allora dire che si misura non sulla dimensione della nostra casa, su quanta gente vi può entrare, ma su quella dei potenziali convitati, cioè di quanti accettano l’invito.
A volte noi abbiamo la sensazione che la casa della nostra vita è piena, perché è così piccola che la occupiamo già tutta noi da soli e i pochi a cui la lasciamo frequentare.
La casa di Dio è sufficiente per contenere tutti e Dio è felice solo quando è piena. E’ questa la misura della felicità sulla quale dobbiamo misurarci.
Questo Avvento dunque ci propone di provare a vivere concretamente questa immagine evangelica che si lega fortemente al Natale nell’occasione concreta del pranzo con i poveri.
Come è ormai tradizione nella nostra chiesa l’invito è rivolto a tutti: poveri e ricchi. Ma qui si inverte il rapporto normale: i ricchi sono i servitori dei poveri.
La dignità è la stessa per tutti: essere invitati dal Signore al banchetto della vita con lui, ma non basta accogliere l’invito, che già ci differenzia dai molti che lo rifiutano, ma bisogna anche avere l’abito adatto:
“Usciti nelle strade, quei servi raccolsero quanti ne trovarono, buoni e cattivi, e la sala si riempì di commensali. Il re entrò per vedere i commensali e, scorto un tale che non indossava l’abito nuziale, gli disse: Amico, come hai potuto entrare qui senz’abito nuziale? Ed egli ammutolì. Allora il re ordinò ai servi: Legatelo mani e piedi e gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti. Perché molti sono chiamati, ma pochi eletti". (Mt 22,10-ss.)
L’abito nuziale che ci è chiesto di vestire è quello del servitore. Vuol dire tante cose: essere al servizio del desiderio di Dio che la casa sia piena, che sia gioiosa, che ci sia da mangiare per tutti, che non manchi nulla, che ciascuno si senta a casa sua, ecc…
Chi crede di poter stare al pranzo come gli pare o come si sente ammutolisce, non sa nemmeno dire cosa ci sta a fare. Egli di fatto si taglia fuori da se stesso, col suo atteggiamento disarmonico con lo spirito del padrone di casa. Il Signore vedendolo non può che mettere alla luce questa realtà di fatto e lo esclude dal banchetto della vita con lui.
C’è una vocazione ad essere parte di quel banchetto, ma poi c’è anche lo spazio della scelta (essere “eletti” significa etimologicamente proprio essere figli di una scelta) che è la risposta gioiosa di chi sa che quell’invito risponde al proprio bisogno di far parte della famiglia di Dio.
Vivere questo pranzo di Natale con i poveri è per noi occasione per abituarci a vestire l’abito nuziale. Abbiamo il tempo per preparacelo e indossarlo per godere pienamente del banchetto con il Signore.
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