lunedì 3 maggio 2010

Scuola del Vangelo 2008/09 - XV

XV incontro
Commento della Prima lettera
dell’Apostolo Giovanni.
Tempo di Pasqua, tempo di salvezza
(2 maggio 2009)

1Gv 2, 18-19
Figlioli, questa è l`ultima ora. Come avete udito che deve venire l`anticristo, di fatto ora molti anticristi sono apparsi. Da questo conosciamo che è l`ultima ora. Sono usciti di mezzo a noi, ma non erano dei nostri; se fossero stati dei nostri, sarebbero rimasti con noi; ma doveva rendersi manifesto che non tutti sono dei nostri.

Il brano si apre con una esclamazione: “questa è l`ultima ora” legata alla presenza dell’anticristo.
L’espressione ci rimanda ad un contesto apocalittico, ricorda le scene catastrofiche legate alla cosiddetta “fine del mondo”.
E’ importante capire bene cosa vuol dire Giovanni con questa espressione, per evitare di attribuirgli un messaggio che non è il suo. Per farlo partirei dal chiederci qual è il significato del tempo per noi cristiani, il valore della successione degli eventi che formano la storia e, in un certo mondo, appartengono a quella dimensione del “mondo” di cui parlavamo l’altra volta a partire dal brano subito precedente.
L’idea del trascorrere del tempo e della storia
Per gli antichi c’erano grosso modo tre idee principali circa il corso delle vicende umane che costituiscono la storia: una prevedeva un cammino in discesa da una epoca d’oro delle origini, fino a giungere con un processo di decadenza, fino alle deplorevoli condizioni attuali. E’ il concetto espresso ad esempio dallo storico greco del secolo VIII a.C. Esiodo.
Esiodo tra il VIII e il VII secolo a.C., descrivendo l'esistenza di una mitica età dell'oro, posta all'inizio dei tempi, nell'era di Cronos. Là gli uomini, commensali degli dèi, vivevano in pace, liberi da ogni fatica e al riparo da ogni pericolo, nutriti dalla generosa terra che procurava loro ciò di cui avevano bisogno. Il furto del fuoco ad opera di Prometeo segnò la caduta dell'uomo; alla aurea aetas seguì una lenta e progressiva corruzione della storia e - conseguentemente - della razza umana nelle quattro ere successive: dell'argento, del bronzo, degli eroi (nascita della mitologia) e del ferro.
La seconda era una idea ciclica che vedeva il riproporsi ripetuto di fasi di decadenza seguite dalla restaurazione dello stato primitivo in un ritmo circolare. Tale idea ad esempio è quella di Platone. (Il mito di Esiodo venne ripreso da Platone (427-347 a.C.) nella descrizione del regno di Cronos, i cui fondamenti erano la giustizia, la pace e l'assenza di proprietà. La forma ciclica del mito delle ere rafforza l'idea di una tendenza della storia al raggiungimento della perfezione originaria, accentuando il carattere paradigmatico e di modello che in tale contesto il mito assume.)
Infine esisteva una concezione della storia come una linea di eventi ininterrotta, che procedeva all’infinito in un susseguirsi degli accadimenti governati dalle leggi naturali meccaniche che si ripetevano all’infinito e necessariamente sempre allo stesso modo. E’ l’idea del materialismo di Democrito, dei cinici, degli epicurei, ecc… La storia pertanto non aveva nessuno scopo esterno a se stessa e l’uomo era in balia delle forze della natura su cui non poteva avere nessuna influenza.
L’ebraismo propone una nuova idea della storia. L’origine del popolo di Israele nasce da una promessa fatta da Dio, da un piano divino che si realizza nel futuro. La storia ha uno svolgimento tortuoso ma ha una direzione di marcia, punta verso una meta che è la realizzazione della promessa di Dio agli uomini. Ci sono tappe intermedie: la liberazione e l’esodo dall’Egitto; il possesso della terra promessa; ecc… e rimane costante nella storia di Israele l’attesa messianica della restaurazione di un regno di Dio in mezzo agli uomini, inteso in modi diversi: politico-militari o soprannaturali o spirituali, ecc...
Con l’ebraismo la storia assume quindi una grande importanza, non solo perché in essa e non fuori di essa Dio si manifesta all’uomo, ma perché è anche lo strumento attraverso il quale egli ci guida verso il futuro promesso: la storia d’Israele è fatta da Dio e e attraverso di essa egli si manifesta loro. Israele parla di sé attraverso la propria storia, la sua identità che li differenzia dagli altri popoli è anche la sua storia di salvezza, ecc… Gli ebrei parlano di Dio attraverso gli avvenimenti storici che lo hanno visto artefice della storia degli uomini: il Dio di Israele è colui che ci ha liberato, ci ha condotto nella Terra Promessa, ecc… E’ un Dio nella storia e della storia.
Il Cristianesimo riprende questa idea ebraica e identifica il traguardo della promessa divina nell’instaurazione del Regno definitivo di Dio con la seconda venuta nel mondo di Cristo, la “parusìa” annunciata da Cristo stesso.
Anche quella cristiana pertanto è un’idea positiva della storia, “impastata” della volontà divina di salvezza dell’uomo che da lei non è separabile: Dio è presente in essa, se ne vedono i segni, e al suo interno egli agisce, non solo a livello spirituale o sovraterrestre. L’incarnazione ne è l’esempio più alto e definitivo: Dio diventa un uomo storico, con le caratteristiche, la religione, la lingua, il corpo del suo tempo. Non è una figura al di là del tempo e della storia, la salva dal di dentro, trascinandosela dietro e non indicandole dall’alto dei cieli la strada da fare, come tante eresie hanno provato ad affermare rifiutando la storicità divina di Cristo.
Contrapposta a questa concezione nel II sec. a.C. nasce e si sviluppa un’altra idea della storia. Prima in ambiente giudaico passando anche al cristianesimo, fino al III sec. d.C. Questa idea si esprime attraverso alcune opere di argomento apocalittico. L’apocalittica è un genere letterario di opere che descrivono in modo catastrofico gli eventi che accompagnano la fine del mondo e la restaurazione della perfezione ad opera di Dio alla fine della realtà presente. Il tempo intermedio fra l’inizio e la fine apocalittica, cioè il tempo della storia, perché prima e dopo non c’è storia né tempo, è indicato come il regno del male, giudicato in modo negativo, caratterizzato dalla pesantezza e durezza della condizione dell’uomo, dall’ingiustizia, dalla sofferenza e dalla malattia. Dio in qualche modo è attivo prima della storia, con la creazione, e poi alla fine, con la restaurazione del suo Regno, ma nel frattempo resta sullo sfondo, come estraniato dalla storia. La salvezza dell’uomo infatti a questo punto dipende dalla capacità dell’individuo di estraniarsi dal mondo, di differenziarsi dalla storia per mantenersi puro e poi, alla fine dei tempi, ricevere il premio meritato. Nel tempo della storia non c’è salvezza, ma solo si mettono da parte i capitali da spendere poi nel momento della fine della storia.
La salvezza dell’uomo si colloca quindi fuori dalla storia, fuori dal tempo, in una dimensione ultramondana. E’ una idea pessimistica della storia, della cultura, della civiltà umana, della società, di tutto ciò che è storico e legato alla vita dell’uomo in questo mondo.
La Scrittura
In realtà il vangelo ci parla del Regno di Dio come qualcosa di diverso. “Regno” non significa un luogo, uno spazio in cui si esercita una signoria di un re, come nella nostra idea politica di Regno o di Stato, ma indica la potenza di influenzare la storia, di governare la vita, di avere autorità sugli uomini, di determinarne le vicende. In questa idea di Regno di Dio non c’è la separazione che noi pensiamo fra il presente storico, caratterizzato dall’assenza del Regno, e il futuro della salvezza, legato alla realizzazione del Regno. Il potere di Dio ha un valore dinamico, è in movimento, e non statico: è già qui e ora. Il Regno di Dio è la potenza di Dio che ha agito, agisce e continuerà ad agire nella storia, dalla creazione in poi.
Il suo avvento non è allontanato alla fine dei tempi, in un lontano futuro, ma è inaugurato da Cristo ed è già operante nel presente. La predicazione di Gesù lo indica come qualcosa di presente, percepibile e concreto fin da ora. E’ quello che rileviamo nel brano subito precedente della lettera in Giovanni, quando l’apostolo parla della vittoria sul male e della comunione con Dio come realtà già presenti e reali fin da ora e non solo come un prospettiva a cui tendere.
Il Padre Nostro dice “venga il tuo regno” ma usa il verbo greco aoristo che indica una azione che si realizza in un certo momento, e non un progresso lungo il tempo.
Il regno è paragonato da Gesù al lievito: agisce dentro la pasta, è già presente anche quando la pasta non è ancora lievitata del tutto, ma vi agisce già.
Il regno è il già, anche se non è ancora pienamente realizzato.
Alcune conseguenze molto importanti di questo ragionamento:
1. Per questo il tempo della realizzazione del regno non è un futuro ipotetico, ma ora, il presente. Questo significa l’espressione “Questa è l’ultima ora”, ovvero il tempo decisivo, il tempo della scelta definitiva. Infatti vi si collega un’altra idea, quella della presenza dell’Anticristo.
2. Una salvezza fuori dalla storia è una salvezza necessariamente individuale, una salvezza dentro la storia coinvolge di tutta la realtà: “La creazione infatti è stata sottoposta alla caducità - non per sua volontà, ma per volontà di colui che l'ha sottoposta - nella speranza che anche la stessa creazione sarà liberata dalla schiavitù della corruzione per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio. Sappiamo infatti che tutta insieme la creazione geme e soffre le doglie del parto fino ad oggi. Rm 8, 20-22.
Disse loro un'altra parabola: "Il regno dei cieli è simile al lievito, che una donna prese e mescolò in tre misure di farina, finché non fu tutta lievitata". Mt 13, 33.
Il lievito non fa crescere solo un chicco di grano, ma tutta la pasta o, se la pasta è cattiva, niente. La salvezza di Cristo coinvolge il creato, gli uomini, i rapporti, la natura, le persone accanto, la globalità del mondo, come vedevamo l’altra volta.
Potremo dire che per il vangelo non ci si salva se si è soli, ma ci si salva se operiamo per la salvezza della realtà dentro e attorno a noi. Non si può passare dalla grande visione larga della liberazione del popolo dalla schiavitù, all’idea della mia individuale salvezza.
3. La salvezza non passa attraverso l’impegno del cristiano nel privato del suo animo, nell’intimità nascosta, e nell’obbedienza a certe norme morali e valori, sforzo che poi viene ripagato con il premio finale, ritardato dopo la vita, fuori dalla storia.
Il premio invece è già dentro la storia, e non sta nella realizzazione di un progetto sociale o politico, ma nell’esplicitazione della potenza-regno che è la vita del risorto. La pasqua infatti è la concentrazione massima di quella forza che cambia la storia, un punto di svolta che segna la realizzazione piena del regno in Cristo, nella storia e non fuori dalla storia, e la possibilità che si realizzi pienamente anche nella storia degli uomini sempre.

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