lunedì 3 maggio 2010

Scuola del Vangelo 2008/09 - XVII

XVII incontro

Commento della Prima lettera
dell’Apostolo Giovanni.
Siamo figli di Dio, fratelli dell’umanità,
operatori della salvezza del mondo.
(23 maggio 2009)
1Gv 3, 1-2
Quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente! La ragione per cui il mondo non ci conosce è perché non ha conosciuto lui. Carissimi, noi fin d`ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato. Sappiamo però che quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è.

Giovanni rivela ai suoi discepoli che siamo realmente figli di Dio. Sottolinea “realmente” perché questa cosa che forse a noi suona un po’ scontata, in realtà è una grande novità rispetto alla sensibilità israelita, ma direi, più in generale, al modo di pensare normale, anche il nostro.
L’Antico Testamento
Nell’Antico testamento esiste la definizione degli uomini come “figli di Dio” ed ha soprattutto il significato di appartenenti ad un gruppo, cioè al popolo eletto da Dio. E’ noto infatti come per gli ebrei, in generale, l’appartenenza alla schiera dei prescelti da Dio, oggetto della sua alleanza e della promessa di salvezza era garantita dai vincoli di sangue che legava ogni israelita attraverso la sua famiglia ad una delle dodici tribù e quindi al popolo eletto.
Essere figlio di Dio significava pertanto per un ebreo innanzitutto essere figlio di sangue di una famiglia israelita e restare fedele alle sue tradizioni. In questo modo gli era garantito di rientrare in quell’alleanza nella quale veniva quindi immesso in virtù della sua appartenenza etnica.
Come dicevo, altro elemento necessario era la fedeltà alla legge che in qualche modo confermava l’appartenenza al popolo. I profeti infatti rimproverano l’infedeltà degli ebrei che, rinnegando l’obbedienza a Dio e alle sue leggi, praticamente rifiutano di esserne figli:
Ad esempio Dio esprime il desiderio che gli israeliti riconoscano questa figliolanza da cui discende la realizzazione della promessa:
“Io pensavo: Come vorrei considerarti tra i miei figli e darti una terra invidiabile, un'eredità che sia l'ornamento più prezioso dei popoli! Io pensavo: Voi mi direte: Padre mio, e non tralascerete di seguirmi.” (Ger 3,19)
E’ quello che afferma Davide a nome del popolo (1Cr 29,10)
“Davide benedisse il Signore davanti a tutta l'assemblea. Davide disse: “Sii benedetto, Signore Dio di Israele, nostro padre, ora e sempre.”
Questa concezione emerge anche nel Vangelo quando Gesù, mentre battezzava sul Giordano, apostrofa farisei e sadducei per il fatto che credevano di non aver bisogno di convertirsi, certi che per la loro salvezza fosse sufficiente l’essere figli di Abramo e pertanto “etnicamente” garantiti dal patto di alleanza di Dio:
“Vedendo però molti farisei e sadducei venire al suo battesimo, disse loro: «Razza di vipere! Chi vi ha suggerito di sottrarvi all'ira imminente? Fate dunque frutti degni di conversione, e non crediate di poter dire fra voi: Abbiamo Abramo per padre. Vi dico che Dio può far sorgere figli di Abramo da queste pietre.” (Mt 3,7-9)
Gesù ironicamente afferma che l’appartenenza etnica o figliolanza familiare di Abramo ha un valore pari a quella di un sasso, cioè nulla, se non è accompagnata dalla conversione interiore.
La novità del Vangelo di Gesù
In un altro luogo Gesù, sempre parlando con i farisei, affronta lo stesso tema e afferma di nuovo che essere “figli del Padre” non dipenda dall’avere come capostipite familiare Abramo e quindi essere eredi in lui della promessa fattagli da Dio, ma la figliolanza di Dio è basata sull’accoglienza del suo amore che esige una risposta di amore, che si realizza attraverso il cambiamento della vita, cioè la conversione:
“So che siete discendenza di Abramo. Ma intanto cercate di uccidermi perché la mia parola non trova posto in voi. Io dico quello che ho visto presso il Padre; anche voi dunque fate quello che avete ascoltato dal padre vostro!». Gli risposero: «Il nostro padre è Abramo». Rispose Gesù: «Se siete figli di Abramo, fate le opere di Abramo! Ora invece cercate di uccidere me, che vi ho detto la verità udita da Dio; questo, Abramo non l'ha fatto. …». Gli risposero: «Noi non siamo nati da prostituzione, noi abbiamo un solo Padre, Dio!». Disse loro Gesù: «Se Dio fosse vostro Padre, certo mi amereste, perché da Dio sono uscito e vengo; non sono venuto da me stesso, ma lui mi ha mandato. Perché non comprendete il mio linguaggio? Perché non potete dare ascolto alle mie parole, … Chi è da Dio ascolta le parole di Dio: per questo voi non le ascoltate, perché non siete da Dio”. (Gv 8,37-43, 47)
Con queste ed altre parole Gesù afferma delle importanti novità rispetto alle convinzioni degli ebrei:
1. per Gesù si è figli di Dio se si accoglie e si ricambia il suo amore e si entra in rapporto con lui
2. se si è figli di Dio, in questo rapporto di amore, si diviene simili a Gesù, come insegnano le beatitudini:
“Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio.” (Mt 5,9)
3. si è figli di Dio se si crede nella resurrezione, cioè nella prova suprema dell’amore di Dio:
“e nemmeno possono più morire, perché sono uguali agli angeli e, essendo figli della risurrezione, sono figli di Dio.” (Lc 20,36)
4. Si è figli di Dio se si accoglie Gesù, cioè lo si ama
“Venne fra la sua gente, ma i suoi non l'hanno accolto. A quanti però l'hanno accolto, ha dato potere di diventare figli di Dio: a quelli che credono nel suo nome.” (Gv 1,11-12)
Siamo realmente figli di Dio
A questo nuovo significato si riferisce Giovanni quando sottolinea con forza “Quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente!” proprio per affermare che siamo suoi figli non per appartenenza etnica ma per un amore che lui ci ha donato e che chiede di essere ricambiato.
Essere figli di Dio allora è un dono, è l’iniziativa di un Padre che adotta un figlio non suo.
San Paolo nella lettera ai Romani riprende questo tema dell’adozione a figli operata da Gesù attraverso il dono dello Spirito santo, che è amore, nel battesimo:
“Voi però non siete sotto il dominio della carne, ma dello Spirito, dal momento che lo Spirito di Dio abita in voi. Se qualcuno non ha lo Spirito di Cristo, non gli appartiene. … Tutti quelli infatti che sono guidati dallo Spirito di Dio, costoro sono figli di Dio. E voi non avete ricevuto uno spirito da schiavi per ricadere nella paura, ma avete ricevuto uno spirito da figli adottivi per mezzo del quale gridiamo: «Abbà, Padre!». Lo Spirito stesso attesta al nostro spirito che siamo figli di Dio. E se siamo figli, siamo anche eredi: eredi di Dio, coeredi di Cristo, … La creazione stessa attende con impazienza la rivelazione dei figli di Dio; essa infatti è stata sottomessa alla caducità - non per suo volere, ma per volere di colui che l'ha sottomessa - e nutre la speranza di essere lei pure liberata dalla schiavitù della corruzione, per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio … Del resto, noi sappiamo che tutto concorre al bene di coloro che amano Dio, che sono stati chiamati secondo il suo disegno. Poiché quelli che egli da sempre ha conosciuto li ha anche predestinati ad essere conformi all'immagine del Figlio suo, perché egli sia il primogenito tra molti fratelli;” (Rm 8)
Questo discorso sull’essere figli di Dio ha una grande importanza nella vita dei cristiani.
Viene costituito un nuovo modo di essere famiglia che non si fonda più sul vincolo di sangue ma sull’amore per Gesù che ci fa “appartenere” a lui.
Infatti se siamo figli di Dio:
1. siamo fratelli degli altri uomini
2. siamo eredi dei beni di Dio
3. la nostra adozione cambia anche il nostro rapporto con tutto il mondo: non siamo più quelli di prima
Questo nuovo modo di essere famiglia si esprime ad esempio nel noto passo:
“Qualcuno gli disse: «Ecco di fuori tua madre e i tuoi fratelli che vogliono parlarti». Ed egli, rispondendo a chi lo informava, disse: «Chi è mia madre e chi sono i miei fratelli?». Poi stendendo la mano verso i suoi discepoli disse: «Ecco mia madre ed ecco i miei fratelli; perché chiunque fa la volontà del Padre mio che è nei cieli, questi è per me fratello, sorella e madre».” (Mt 12,47-50)
Evidentemente Gesù non vuole dire che la famiglia di sangue vada abolita, ma che viene allargata e resa vera dalla scelta di amare Dio, di compierne la sua volontà.
Come essere figlio di Dio e fratello degli uomini?
Innumerevoli sono le implicazioni di questa nuova realtà che siamo invitati a vivere.
Ci chiediamo innanzitutto: Noi accettiamo, praticamente e non solo teoricamente, di essere figli di Dio, o preferiamo le nostre figliolanze “naturali” che ci limitano in una famiglia, in una cultura, in un mondo, in un popolo, ecc…?
Cioè qual è l’orizzonte entro il quale ci pensiamo, immaginiamo la nostra vita e i nostri interessi. Potremmo dire sinteticamente: i fatti di chi crediamo che ci riguardino? Qual è il confine che pongo a quello che mi tocca e mi riguarda?
Allargare l’orizzonte dei nostri interessi ci fa paura, ma così facendo a quante cose rinunciamo!
Ogni uomo e ogni donna sono come un “mondo” e noi davanti a ciascuno possiamo scegliere di affacciarci ad esso, di interessarci, di lasciarci coinvolgere o invece di volgerci altrove e ignorarlo. A quali e quante ricchezze di umanità, conoscenze ed esperienze rinunciamo?
“Un uomo aveva due figli. Il più giovane disse al padre: Padre, dammi la parte del patrimonio che mi spetta. … il figlio più giovane, raccolte le sue cose, partì per un paese lontano …(il figlio rifiuta il rapporto col padre).
Quando ebbe speso tutto, in quel paese venne una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. Allora andò e si mise a servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei campi a pascolare i porci. (la distanza dal padre immiserisce la nostra vita)
Avrebbe voluto saziarsi con le carrube che mangiavano i porci; ma nessuno gliene dava. … Mi leverò e andrò da mio padre e gli dirò: Padre, … non sono più degno di esser chiamato tuo figlio. (si desidera vita misera da schiavo)
Quando era ancora lontano il padre lo vide e commosso gli corse incontro, … disse ai servi: Presto, portate qui il vestito più bello e rivestitelo, mettetegli l'anello al dito e i calzari ai piedi. Portate il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa.” (Lc 15,11-24) (essere figli di Dio è come un banchetto ricco, rispetto al cibo misero del servo)
Noi rifiutando la figliolanza divina arriviamo a mendicare una carruba per i porci mentre il Padre ci prepara un pranzo abbondante a base di carni arrostite.
Noi partiamo da una prospettiva in cui ci spaventa l’idea di doverci occupare di troppe persone, che ci tolgono la serenità, la pace e la vita: pensiamo ad esempio alla paura dei poveri. Ci difendiamo da essi perché abbiamo paura di legarci a loro come a parenti: dove andremmo a finire? Eppure nel dolore i poveri tante volte hanno affinato umanità belle e ricche, e anche quando invece risultano contorte e problematiche quanto è bello lasciarsene coinvolgere con stupore e rispetto. Guardare con amore di fratello alla vita di qualcun altro abbatte ogni separazione e siamo messi in comunicazione diretta con realtà così diverse dalla nostra. E’ come vivere tante volte e fare nostri i dolori, le gioie, le speranze, le delusioni, i sogni di tanti che hanno vissuto così diversamente da me.
Come si può temere di restare impoveriti da ciò?
Noi invece per paura a forza di rifiutare di avere a che fare con altri e di allontanare “vite” da noi restiamo con una carruba striminzita da rosicchiare, invece di gustare il lauto pranzo dell’umanità larga e piena.
Cosa vuol dire che ogni uomo è mio fratello nell’amore di Gesù?
Spesso si pensa questo come un carico di responsabilità insopportabile: “Devo forse pensare io a tutti?” Ma potremmo capovolgere l’affermazione e dire: “Per fortuna che non sono solo al mondo e posso contare su tanti fratelli!”
Idea moderna che per non far mancare nulla al proprio figlio bisogna averne uno solo. In realtà gli si nega la cosa più bella: avere fratelli e sorelle. Per questo in genere i nostri bambini sono pieni di cose, ma soli. Non c’è infatti solo da considerare me stesso come fratello di tutti, ma anche gli altri come fratelli miei.

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