lunedì 3 maggio 2010

Scuola del Vangelo 2008/09 - XII

XII incontro

Commento della Prima lettera
dell’Apostolo Giovanni
Quaresima tempo per scoprirci
figli del Vangelo e padri di molti
(11 marzo 2009)

1Gv 2,12-17
Evitare lo spirito del mondo
Scrivo a voi, figlioli, perché vi sono stati rimessi i peccati in virtù del suo nome.
Scrivo a voi, padri, perché avete conosciuto colui che è fin dal principio.
Scrivo a voi, giovani, perché avete vinto il maligno.
Ho scritto a voi, figlioli, perché avete conosciuto il Padre.
Ho scritto a voi, padri, perché avete conosciuto colui che è fin dal principio.
Ho scritto a voi, giovani, perché siete forti, e la parola di Dio dimora in voi e avete vinto il maligno.
Non amate né il mondo, né le cose del mondo! Se uno ama il mondo, l`amore del Padre non è in lui; perché tutto quello che è nel mondo, la concupiscenza della carne, la concupiscenza degli occhi e la superbia della vita, non viene dal Padre, ma dal mondo. E il mondo passa con la sua concupiscenza; ma chi fa la volontà di Dio rimane in eterno!

Continuiamo la lettura della prima lettera di Giovanni, in tempo di Quaresima, affidandoci alle sue parole come a una guida sicura per giungere fino al traguardo dell’essere testimoni della Resurrezione del Signore a Pasqua.
Leggiamo il secondo paragrafo del capitolo II della lettera che è come un secondo passo, dopo il precedente in cui l’Apostolo ci ha esortato a conoscere Dio, cioè a divenire più simili a lui attraverso la prassi fedele del suo insegnamento, giuntoci attraverso le sue parole e le sue opere.
Non a caso infatti il Vangelo non ci tramanda solo i detti di Gesù e nemmeno è una sua biografia ma è piuttosto la sapiente trasmissione delle parole e dei gesti di Gesù, perché gli uni si illuminino attraverso gli altri. Parola e azione di Gesù sono inseparabili e assieme ci mostrano quella unità di cui parlavamo definendola come l’interiorità che una volta acquistata ci ridà la pace.
Questo secondo passo si apre con delle constatazioni. Non sono tanto un augurio o una esortazione, ma la constatazione dell’efficacia che la Parola di Dio ricevuta dai discepoli di Giovanni ha già operato nella loro vita.
Essi non sono gente speciale, possiamo identificarci in loro, gente comune, ma unita dal desiderio di diventare sempre più fedelmente discepoli del Signore, un po’ come noi questa sera.
Eppure, se facciamo attenzione, parlando di loro Giovanni dice cose strabilianti:
“...vi sono stati rimessi i peccati in virtù del suo nome.
...avete conosciuto colui che è fin dal principio.
...avete vinto il maligno.
...avete conosciuto il Padre.
...avete conosciuto colui che è fin dal principio.
...siete forti, e la parola di Dio dimora in voi e avete vinto il maligno.”
O ci troviamo davanti a gente straordinaria, o Giovanni esagera o si illude. Potremmo avere l’impressione che Giovanni o sia un superficiale e crede di parlare a dei santi o che si illuda, non riconoscendo i difetti che sicuramente, come ciascuno di noi, quelle persone avranno avuto. Altrimenti Giovanni ci sembra faccia loro dei complimenti spropositati, per motivi sconosciuti.
Io credo piuttosto che Giovanni non sia né un superficiale né un adulatore, ma che piuttosto guardi a chi gli sta di fronte a partire da una prospettiva diversa, quella del Vangelo, che gli permette di vedere in quegli uomini lo straordinario che già sono portati dalla Parola a vivere.
“Come la pioggia e la neve scendono dal cielo e non vi ritornano senza aver annaffiato la terra, senza averla fecondata e fatta germogliare, affinché dia seme al seminatore e pane da mangiare, così è della mia parola, uscita dalla mia bocca: essa non torna a me a vuoto, senza aver compiuto ciò che io voglio e condotto a buon fine ciò per cui l'ho mandata.” (Is 50,10-11)
Abbiamo parlato all’inizio di questi incontri dell’efficacia straordinaria della Parola di Dio, che non torna senza aver compiuto quello per cui è mandata, e abbiamo detto del diverso concetto di perfezione che non coincide con una idea di assenza di errore e difetto, ma con il vivere il desiderio di conoscere Dio.
“Gesù gli disse: «Se vuoi essere perfetto, va’, vendi ciò che hai e dallo ai poveri, e avrai un tesoro nei cieli; poi, vieni e seguimi»”. (Mt 19,21)
Per il Signore essere perfetto vuol dire amare, per questo Giovanni riesce a leggere nelle vite di quelli a cui si rivolge la forza straordinaria del Vangelo che cambia:
vince il peccato non perché impedisce il peccato, a cui restiamo sempre sottoposti, ma esso non è più l’ultima parola, quella definitiva e irrevocabile;
il male è sconfitto, non perché non si fa più sentire, ma perché davanti a lui non siamo più senza risorse e schiacciati;
siamo forti, non perché abbiamo vinto ogni debolezza, anzi, perché ci siamo scoperti bisognosi del Vangelo e abbiamo accettato di dipendere dal Signore;
abbiamo conosciuto Dio, non perché siamo già come lui, ma perché abbiamo cominciato a volergli bene.
E’ una visione ottimista della vita umana, che non vuol dire che vede solo il lato buono e si nasconde quello negativo, ma che guarda la vita come è veramente, cioè scorgendo il germe di vita nuova che il Vangelo vi ha seminato dentro.
Apparentemente ci sembra più realista chi vede solo la massa inerte, per Giovanni è più rilevante il germoglio che nasce e che si avvia a restituire vita al chicco morto.
Qual è il nostro modo di vedere quando guardiamo al mondo, agli altri e a noi stessi ?
Ci sembra normale constatare quanto è ancora forte il male, quando ancora siamo incatenati al suo dominio, quanto sembrano illusorie le nostre speranze di salvezza. Ma la cosa veramente straordinaria, ciò che è veramente rilevante, è che il Signore ci ha dato la forza di vincere il male: poi tanto resta da fare e ancora siamo troppo indietro, ma il potere è a nostra disposizione.
Sarebbe come se noi fossimo condannati a morte rinchiusi in carcere in attesa dell’esecuzione e ad un tratto, inaspettatamente, udissimo un grido che annuncia la grazia per tutti i condannati, e noi, invece di sentire tutta la gioia di una salvezza insperata ci cominciassimo a preoccupare di tutti i rischi a cui potremo andare incontro una volta usciti dal carcere. Stavamo per soccombere e invece la vita ci è restituita tutta intera. Certo dovremo vedere cosa farne, come spenderla, come non perderla di nuovo, ma il miracolo c’è ed è grandissimo.
Giovanni, testimone di questo avvenimento prorompe in un grido di vittoria: la morte imminente è scampata, vi è restituita la forza, il male è vinto, ogni colpa cancellata, è possibile conoscere Dio, ecc...
Certo, a noi resta sempre la possibilità di rifiutare di uscire dal carcere e di preferire restarvi chiusi ad attendere una esecuzione che prima o dopo verrà: a noi la scelta di accogliere la grazia salvifica portata dal Signore della vita, poiché nessuno potrà mai obbligarci ad accoglierla, nemmeno Dio stesso.
Una seconda osservazione su queste dichiarazioni di Giovanni: egli si rivolge una volta a figli, poi a padri e infine a giovani. Dal contesto e della lettera e dal senso delle frasi si capisce che Giovanni non intende riferirsi a diversi gruppi di persone, ma chiama ora così ora nell’altro modo le stesse persone.
Secondo me significa che tutti siamo figli di Giovanni perché egli esercita la paternità del Vangelo di cui è testimone, in quanto ha visto e conosciuto Gesù. Ma allo stesso tempo ricevendo quella testimonianza ciascuno è chiamato a divenire padre di altri a cui trasmetterla.
Non si è padri senza essere figli, cioè non saremo mai in grado di esercitare una paternità su qualcuno se non in quanto restiamo figli non di noi stessi, ma di una Parola che ci è annunciata e testimoniata; ma allo stesso tempo non possiamo essere veri figli della Parola ricevuta senza sentire l’esigenza di generare a nostra volta figli di quella stessa, attraverso la nostra testimonianza verace di un messaggio non nostro.
Per questo chi si avvia alla conoscenza di Dio è figlio dell’apostolo testimone, ma diventa anche padre di molti da condurre alla stessa conoscenza.
Questo ci permette allo stesso tempo di essere giovani che non vuol dire fingere di essere sempre un po’ ragazzini, come certe persone che si imbellettano sopra le rughe, ma la vera giovinezza vuol dire essere capace di essere figlio e padre o madre, senza isterilirsi nell’incapacità di generare nuova vita negli altri, né di credere di essere adulti abbastanza da non avere più bisogno di sentirci figli.
La seconda parte del paragrafo ci parla del mondo e della necessità di non amarlo:
“Non amate né il mondo, né le cose del mondo! Se uno ama il mondo, l`amore del Padre non è in lui”
Cosa significa? Spesso nel modo di sentire comune si è interpretato questo e simili affermazioni della scrittura come una specie di esortazione al distacco e disprezzo della vita terrena, come se l’attaccamento alle realtà mondane fosse in alternativa all’amore per la dimensione spirituale alla quale appartiene la fede, l’anima, ecc...
Gv 8,23 : Egli diceva loro: «Voi siete di quaggiù; io sono di lassù; voi siete di questo mondo; io non sono di questo mondo.
Nella scrittura non esiste solo questo disprezzo per il mondo inteso come la vita terrena. Il mondo è presentato dal Vangelo anche come una realtà positiva:
Mt 5,14 : Voi siete la luce del mondo. (il mondo non è solo tenebre)
Mt 13,38 : il campo è il mondo; il buon seme sono i figli del regno; le zizzanie sono i figli del maligno; (il mondo è capace di accogliere il seme buono del Vangelo)
Mt 24,14 : E questo vangelo del regno sarà predicato in tutto il mondo, affinché ne sia resa testimonianza a tutte le genti; (il mondo può accogliere il vangelo del regno)
Ci aiutano a capire meglio il valore del mondo per il Vangelo i brani seguenti in cui viene specificato il rapporto di Gesù con esso.
Gv 3,16 : Dio ha tanto amato il mondo, che ha dato il suo unigenito Figlio, affinché chiunque crede in lui non perisca, ma abbia vita eterna.
Gv 3,17 : Infatti Dio non ha mandato suo Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui.
Gv 1,10 : Egli era nel mondo, e il mondo fu fatto per mezzo di lui, ma il mondo non l'ha conosciuto.
Cioè Giovanni dice che il mondo è una realtà di per sé neutrale, ma può accogliere o rifiutare il suo Salvatore.
Gv 6,33 : il pane di Dio è quello che scende dal cielo, e dà vita al mondo.
Gv 6,51 : Io sono il pane vivente, che è disceso dal cielo; se uno mangia di questo pane vivrà in eterno; e il pane che io darò è la mia carne, [che darò] per la vita del mondo.
Gesù infatti è venuto a dare la vita al mondo (cioè a renderlo da realtà di morte in realtà viva) e per la vita del mondo.
Il mondo come realtà da rifiutare è pertanto quella realtà che non è vivificata dalla presenza salvifica del Signore, impermeabile al suo Vangelo, inospitale per il seme della vita eterna, incapace di accogliere e riconoscere in Gesù il salvatore. E’ il mondo nella sua materialità che rifiuta di riconoscere la possibilità di un oltre rappresentato dall’amore che può vincere la morte; il mondo nel suo essere ottusamente legato solo a ciò che si vede e si tocca, che non avverte la vita che palpita dentro le realtà; è il mondo che in ultima analisi da il valore alle realtà in base a quanto costano:
la vita del povero vale poco perché è senza prezzo ed è diminuita dalla miseria o dalla malattia;
la vita del ricco vale molto perché ha forza e può guadagnare, possiede molti beni;
chi non ha da dare in cambio nulla non è ritenuto degno di attenzione;
chi può dare molto è corteggiato e ricercato; ecc...
Gv 14,17 : lo Spirito della verità, che il mondo non può ricevere perché non lo vede e non lo conosce. Voi lo conoscete, perché dimora con voi, e sarà in voi.
E’ questo il mondo a cui Giovanni ci esorta a non legare la nostra vita: “concupiscenza” è infatti il desiderio di possedere: il ricco è abituato a guardare le cose pensando che se le vuole se le compra, gli oggetti materiali, ma anche la gente, i sentimenti, ecc…
E’ questa illusione di onnipotenza di possesso che Giovanni condanna, perché illusoria e malvagia, mentre propone di fare la volontà di Dio, cioè di attaccare la propria vita al mondo a cui il Signore ha restituito vita e salvezza, ha redento.
Ad esempio i beni sono ricchezza dannosa se vi siamo attaccati come a ciò che ci salva, ma sono strumento di bene se vivificati dalla generosità di un uso per chi ne ha bisogno.

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