lunedì 3 maggio 2010

Scuola del Vangelo 2008/09 - VIII

VIII incontro

Commento della Prima lettera
dell’Apostolo Giovanni
Conoscere Dio
(Sabato 24 gennaio 2009)

1Gv 1,1-4
Ciò che era fin da principio, ciò che noi abbiamo udito, ciò che noi abbiamo veduto con i nostri occhi, ciò che noi abbiamo contemplato e ciò che le nostre mani hanno toccato, ossia il Verbo della vita (poiché la vita si è fatta visibile, noi l`abbiamo veduta e di ciò rendiamo testimonianza e vi annunziamo la vita eterna, che era presso il Padre e si è resa visibile a noi), quello che abbiamo veduto e udito, noi lo annunziamo anche a voi, perché anche voi siate in comunione con noi. La nostra comunione è col Padre e col Figlio suo Gesù Cristo. Queste cose vi scriviamo, perché la nostra gioia sia perfetta.

Le lettere dell’apostolo Giovanni fanno parte del corpus di opere a lui attribuite dalla tradizione che comprendono anche il Vangelo e l’Apocalisse. Sono opere caratterizzate da uno sforzo di penetrazione della vita di Gesù che va oltre la cronaca dei fatti e cerca di evidenziarne l’essenziale per la vita dell’uomo, di fornircene un’interpretazione dal forte spessore esistenziale.
Il Vangelo e le lettere vogliono cioè trasmettere una conoscenza di Gesù che possa veramente trasformare la vita. Per Giovanni questo è un elemento caratterizzante della vita di Gesù che ha vissuto per comunicare e farsi conoscere, ma può divenire anche una forza che trasforma la nostra esistenza.
Questo modello di uomo trova il proprio senso nell’altro, nella comunicazione ed estroversione, nel rapporto col Padre e con gli uomini.
Dicevamo già all’inizio dei nostri incontri che la fede cristiana è caratterizzata da un incontro personale con il Signore. Parte dall’accorgersi della sua esistenza e piano piano cresce quando noi cominciamo a entrare in dialogo con lui e a sentire la sua presenza accanto a noi come qualcosa di reale e di buono per la nostra vita.
Giovanni parte dalla sua esperienza vissuta: in 1,1 insiste su questo carattere di esperienza personale, fisica, umana, completa. Questa sua insistenza quasi ripetitiva non ha solo lo scopo di affermare la verità di ciò che dice, ma soprattutto per comunicare che è qualcosa di coinvolgente tutti gli aspetti dell’esistenza umana: non è solo uno sforzo intellettuale, o l’osservanza di una regola (i valori o i principi a cui uniformarsi), ma è l’esperienza di un rapporto totalizzante.
Questo rapporto è “con il Verbo della vita” cioè con un Dio che non è estraneo al nostro vivere. Giovanni vuole contrastare una idea di fede e religione che non coinvolge la vita. Anzi, dice, la vita vera la capiamo solo a partire dalla vita che è in Dio. E’ quella la vita vera, la vita che non finisce, quella che resta per sempre.
Facciamo un esempio: l’amore vero è quello di Dio, non finisce, nemmeno la morte lo limita, la resurrezione è proprio questa esplosione di amore che supera ogni barriera; poi non delude, perché è fedele nella storia, non parte da una idea di contraccambio, ma invece è gratuito; poi è un amore che si trasmette, non è chiuso in se stesso, anzi più si diffonde e più è autentico e forte; ecc.. Ma questo stesso amore, questa stessa vita, è anche l’amore che Dio ci propone di vivere, e lo capiamo in un rapporto personale stretto con Dio: stando con lui impariamo ad assomigliargli, a prenderne i tratti. Vivere con Dio ci comunica la sua vita, ed è una vita che non finisce.
L’estroversione dell’uomo: il mio senso lo trovo nell’altro, nella comunicazione.
Giovanni rivela lo scopo del proprio sforzo di comunicazione della buona notizia dell’incontro con la vita vera, cioè il Verbo fatto carne come noi: per essere in comunione tra di noi. Questo, vuol dire Giovanni, è lo scopo, il buono della vita umana: non essere da soli ma assieme agli altri, e assieme in un modo non formale o casuale, ma profondo come la comunione.
Ma poi aggiunge che la comunione, cioè il nostro rapporto con gli uomini che da senso alla vita, nasce sul rapporto con il Padre e il Figlio. E’ questo il nostro modello di rapporto con gli uomini: come il Padre e il Figlio si amano e come amano noi, così anche noi possiamo amare loro e gli altri.
Giovanni conclude il primo capitolo con l’affermazione 1,4. Lo sforzo di comunicare queste realtà ad altri è la “nostra” gioia. Cioè non solo rende felice me, non solo fa felici voi, ma ci rende felici se lo viviamo assieme. Idea cristiana della felicità che non può fare a meno e prescindere dalla felicità altrui. Questo vuol dire che io non posso essere felice da solo, ma anche che non posso essere triste da solo per quello che capita a me. La gioia cristiana è una gioia collettiva.
Queste idee di Giovanni contrastano con molte idee comuni:
Idea individualistica della vita: non ho bisogno degli altri, essi sono un peso, non sono indispensabili, non farsi influenzare, autonomia e indipendenza, salute fisica e giovinezza come esaltazione di ciò,
Idea materialistica della vita, monetizzazione di ciò che conta, utilitarismo nei rapporti, nelle scelte, nel valutare ciò che conta.
Idea di fede come esecuzione di regole e applicazione di valori.

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