martedì 27 aprile 2010

Commemorazione dei defunti - 2 novembre 2004

2 novembre 2004 – Commemorazione dei defunti

Gb 19,1.23-27
Rispondendo Giobbe disse: «Oh, se le mie parole si scrivessero, se si fissassero in un libro, fossero impresse con stilo di ferro sul piombo, per sempre s'incidessero sulla roccia! Io lo so che il mio Redentore è vivo e che, ultimo, si ergerà sulla polvere! Dopo che questa mia pelle sarà distrutta, senza la mia carne, vedrò Dio. Io lo vedrò, io stesso, e i miei occhi lo contempleranno non da straniero».

Rm 5,5-11
Fratelli, la speranza non delude, perché l'amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato. Infatti, mentre noi eravamo ancora peccatori, Cristo morì per gli empi nel tempo stabilito. Ora, a stento si trova chi sia disposto a morire per un giusto; forse ci può essere chi ha il coraggio di morire per una persona dabbene. Ma Dio dimostra il suo amore verso di noi perché, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi. A maggior ragione ora, giustificati per il suo sangue, saremo salvati dall'ira per mezzo di lui. Se infatti, quand'eravamo nemici, siamo stati riconciliati con Dio per mezzo della morte del Figlio suo, molto più ora che siamo riconciliati, saremo salvati mediante la sua vita. Non solo, ma ci gloriamo pure in Dio, per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo, dal quale ora abbiamo ottenuto la riconciliazione.

Gv 6,37-40
In quel tempo, Gesù disse alla folla: «Tutto ciò che il Padre mi dà, verrà a me; colui che viene a me, non lo respingerò, perché sono disceso dal cielo non per fare la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato. E questa è la volontà di colui che mi ha mandato, che io non perda nulla di quanto egli mi ha dato, ma lo risusciti nell'ultimo giorno. Questa infatti è la volontà del Padre mio, che chiunque vede il Figlio e crede in lui abbia la vita eterna; io lo risusciterò nell'ultimo giorno».
Commento
Care sorelle e cari fratelli, siamo raccolti oggi per fare la memoria dei nostri cari defunti. Abbiamo in mente e nel cuore i volti, le storie di tanti a cui siamo stati vicini. Ebbene, la vita di tutti questi nostri fratelli e sorelle non è passata invano. Da loro abbiamo ricevuto un’eredità grande e preziosa, fatta di amicizia, di lavoro per gli altri, di sogni di un mondo migliore, di compassione per chi sta male, di speranza. Oggi questo nostro raccoglierci qui ha il senso di volere come raccogliere questa grande eredità, non farne disperdere neanche un frammento, perché è il tesoro dell’amore del Signore che si fa vicino agli uomini che lo cercano. Per questo non vogliamo dimenticare, come tante volte nel mondo la gente fa, perché è una memoria che ci sostiene, ci conforta e incoraggia ad aumentare questo tesoro di Vangelo che abbiamo ricevuto perché potessimo trasmetterlo a tanti. Infatti il Vangelo non ce lo annunciamo da noi stessi, lo riceviamo in dono attraverso la vita, le parole, l’affetto, la fatica di quelli che lo hanno ricevuto prima di noi. Questo ci permette di riconoscere il volto umano del Signore, perché il Vangelo non è un discorso astratto, ma si è fatto carne e ossa , parole e azioni perché anche noi divenissimo simili a lui. Ecco che allora come Giobbe possiamo dire anche noi : “Io vedrò Dio, io stesso, e i miei occhi lo contempleranno non da straniero”. Sì, perché solo chi si è fatto familiare del Signore, lo ha ascoltato e lo ha incontrato presente in mezzo a noi, amorevolmente vicino alla vita dei fratelli e delle sorelle che ci hanno preceduto, lo riconoscerà come un volto amico, non estraneo. Avrà il volto dei poveri che abbiamo accompagnato, dei condannati a morte per i quali abbiamo pregato, dei fratelli e delle sorelle con i quali abbiamo gioito per i doni ricevuti, degli amici e dei parenti con i quali abbiamo condiviso, nel nome di Gesù, preoccupazioni, felicità e fatiche.

Per questo la memoria dei nostri cari defunti se da un lato ci vela del dispiacere di non averli più accanto, dall’altro ci riempie di speranza. Sì, la speranza quella vera, che non è un vago senso di ottimismo, come tanti nel mondo vorremmo farci credere, col quale gli uomini si illudono per sentirsi meglio, ma è la roccia solida e profonda sulla quale costruiamo, senza incertezza, quella casa del Vangelo. Ci dice infatti San Paolo nella lettera ai Romani che abbiamo ascoltato: “la speranza non delude, perché l'amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato” ed il primo ad avere una speranza incrollabile è stato proprio il Signore che, ci dice sempre Paolo, “mentre noi eravamo ancora peccatori, … morì per gli empi nel tempo stabilito.”
Per noi, ancora così increduli, sfiduciati, dubbiosi, il Signore è morto e in noi ha riposto la sua fiducia non perché noi la meritassimo, ma perché ha voluto compiere non la sua volontà, ci dice il Vangelo di Giovanni, ma quella del Padre. Quante volte invece noi crediamo che per essere felici dobbiamo essere così come siamo fatti, agire spontaneamente, “realizzare noi stessi”, come si usa dire. Gesù per primo ci fa vedere che la sua felicità, lo scopo di tutta la sua vita non è stato obbedire a se stesso ma compiere la volontà di Dio. E questa volontà è buona perché è misericordiosa, sa guardare, a differenza di noi, oltre il peccato di oggi, la durezza del cuore, la confusione

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