martedì 27 aprile 2010

Meditazioni Quaresima 2010 - VI




V tappa: essere figli della gelosia di Dio e non dell’orgoglio di sé

Il Signore si mostra geloso per la sua terra
e si muove a compassione del suo popolo.

Le parole del profeta che abbiamo commentato in questi nostri incontri sono la risposta di Dio alla richiesta di perdono del popolo che aveva tradito l’amicizia col suo Signore e per questo aveva ricevuto la minaccia di distruzione. Resosi conto della prospettiva tragica verso la quale andava incontro, se avesse perseverato nella durezza di cuore, Israele aveva invocato il suo Dio, il quale, pentito, revoca la condanna e promette un futuro pieno di benedizioni, se il popolo vorrà “tornare a lui con tutto il cuore”.
Le parole che commentiamo oggi, nella loro brevità, riassumono un po’ tutto questo “scambio di affetto” fra Dio e il suo popolo che si è realizzato fino a dare luogo alla salvezza (redenzione) del popolo. Sono quindi parole che ci aiutano a entrare con più chiarezza nello spirito che anima anche le vicende della Settimana Santa.
Gioele afferma che il Signore è geloso perché ha compassione del suo popolo che chiede perdono, dopo essersi reso conto di essersi perso dietro strade che non portavano a niente di buono.
E’ una realtà che possiamo prendere come valida anche per noi oggi. La quaresima, abbiamo detto, è tempo di pentimento e conversione, cioè adatto a rendersi conto che la strada che abbiamo seguito finora non porta a nulla. Parlavamo di una via caratterizzata dall’isolamento dell’individuo, priva di pietà e che svuota il cuore dai suoi tratti umani. Abbiamo parlato della necessità di riacquistare questi ultimi facendo nostra la tenerezza di Dio e imparando a vedere in chi ci sta accanto qualcosa di prezioso e che ci manca, di cui abbiamo bisogno, un “tesoro” da conquistare. E’ quel tratto di gelosia di cui parla Gioele.
Il Signore è geloso, perché si rende conto che quelli che il male cerca di strappargli sono i suoi figli, quelli per i quali ha fatto tanto perché non si perdessero. Li ha cresciuti come bambini, come dicono i profeti Osea e Geremia:

Quando Israele era fanciullo, io l'ho amato
e dall'Egitto ho chiamato mio figlio.
Ma più li chiamavo, più si allontanavano da me;
immolavano vittime ai Baal, agli idoli bruciavano incensi.
A Èfraim io insegnavo a camminare tenendolo per mano,
ma essi non compresero che avevo cura di loro.
Io li traevo con legami di bontà,
con vincoli d'amore, ero per loro
come chi solleva un bimbo alla sua guancia,
mi chinavo su di lui per dargli da mangiare.
Non ritornerà al paese d'Egitto, ma Assur sarà il suo re,
perché non hanno voluto convertirsi.

Il mio popolo è duro a convertirsi:
chiamato a guardare in alto,
nessuno sa sollevare lo sguardo.
Come potrei abbandonarti, Èfraim,
come consegnarti ad altri, Israele?
Come potrei trattarti al pari di Adma,
ridurti allo stato di Seboìm?
Il mio cuore si commuove dentro di me,
il mio intimo freme di compassione.
Non darò sfogo all'ardore della mia ira,
non tornerò a distruggere Èfraim,
perché sono Dio e non uomo;
sono il Santo in mezzo a te
e non verrò da te nella mia ira
. (Os 11,1-9)


Ho udito Èfraim che si lamentava:
"Mi hai castigato e io ho subito il castigo
come un torello non domato.
Fammi ritornare e io ritornerò,
perché tu sei il Signore, mio Dio.
Dopo il mio smarrimento, mi sono pentito;
quando me lo hai fatto capire,
mi sono battuto il petto,
mi sono vergognato e ne provo confusione,
perché porto l'infamia della mia giovinezza".
Non è un figlio carissimo per me Èfraim,
il mio bambino prediletto?
Ogni volta che lo minaccio,
me ne ricordo sempre con affetto.
Per questo il mio cuore si commuove per lui
e sento per lui profonda tenerezza".
(Ger 31,18-20)

Il rapporto di Dio con il suo popolo è movimentato e combattuto: Dio li ama e li alleva come un figlio piccolo, perché non manchi loro nulla. Ma il popolo tradisce, vuole fare di testa propria e se ne va per la sua strada. Il Signore minaccia ed esprime il suo amore geloso che nasce dal dolore di essere lasciato, e sostituito da altri dei che li illudono con una felicità più “facile”.
La gelosia è collegata ad un senso di possesso: si è gelosi perché qualcosa mette in discussione il possesso di un rapporto, la sua esclusività. In questo senso spesso viene visto come un sentimento negativo. Di sicuro però la gelosia rivela un amore appassionato: non si è gelosi di una persona alla quale non teniamo molto. In Dio poi la gelosia è legata alla compassione per un popolo che vede cercare la propria felicità in ciò che è inganno e non da’ la gioia vera. Pretende un rapporto esclusivo e non tollera di essere messo sullo stesso piano degli altri dei perché sa con quanta facilità l’uomo va alla ricerca delle altre forme di false soddisfazione che essi danno.
La gelosia di Dio nasce dalla compassione per un popolo schiavo del proprio orgoglio e vittima di se stesso.
Questa realtà è quella che si compie nella Settimana Grande e Santa di passione, morte e resurrezione del Signore Gesù, a cui le parole di Gioele oggi ci introducono.
Dicevamo domenica scorsa che questa settimana non è un tempo banale, ordinario, ma è santo, cioè tempo diverso da tutto l’altro tempo della nostra vita. Il tempo, come la terra, è resa santo dalla presenza del Signore “che fa nuove tutte le cose” (Ap 5,21). La Settimana Santa è il tempo in cui la presenza del Signore si fa più intensa e appassionata e fa nuovo l’uomo che la vive nella compagni con lui. Non possiamo viverla con banalità.
Ma quali sono i segni di questa presenza più intensa del Signore ?
La Passione di Gesù paradossalmente ci fa mettere a fuoco con evidenza ancora maggiore il mistero dell’incarnazione: Gesù è Dio vero e uomo vero. Infatti la sua sofferenza fa emergere in tutta la sua fisicità una umanità che subisce il dolore fino alla morte. Mai come nella passione Gesù nei Vangeli emerge con forza la sua fisicità, fino a divenire quasi esclusivamente un corpo, malmenato e torturato fino alla morte. Le sue parole sono ridotte al minimo, i suoi gesti impediti. Non ci sono miracoli né manifestazioni del soprannaturale. Allo stesso tempo la sua passione ci fa percepire l’immensità di un amore così grande che ha veramente qualcosa di divino, che non si spiega con la semplice natura umana. Nella passione queste due dimensioni non si possono separare perché l’una illumina e fa comprendere l’altra.
Gesù è geloso dei suoi, non li lascia, non li tradisce, non rende loro quello che meritano. Li aveva avvertiti, glielo aveva spiegato in ogni modo, ma i discepoli, inebriati dal successo goduto e infragiliti dall’orgoglio, non capiscono e soccombono alla paura. Gesù invece di spazientirsi e perdere fiducia in loro, ne ha compassione e vive l’amore geloso del padre per i suoi figli.

“Simone, Simone, ecco: Satana vi ha cercati per vagliarvi come il grano; ma io ho pregato per te, perché la tua fede non venga meno. E tu, una volta convertito, conferma i tuoi fratelli". E Pietro gli disse: "Signore, con te sono pronto ad andare anche in prigione e alla morte". Gli rispose: "Pietro, io ti dico: oggi il gallo non canterà prima che tu, per tre volte, abbia negato di conoscermi". (Lc 22,31-34)

Queste parole a Pietro rivelano il cuore di Gesù: ne ha pietà, ma esprime anche la gelosia nei loro confronti, come abbiamo visto fare Dio con Israele:

Gesù allora, sapendo tutto quello che doveva accadergli, si fece innanzi e disse loro: "Chi cercate?". Gli risposero: "Gesù, il Nazareno". Disse loro Gesù: "Sono io!". Vi era con loro anche Giuda, il traditore. Appena disse loro "Sono io", indietreggiarono e caddero a terra. Domandò loro di nuovo: "Chi cercate?". Risposero: "Gesù, il Nazareno". Gesù replicò: "Vi ho detto: sono io. Se dunque cercate me, lasciate che questi se ne vadano", perché si compisse la parola che egli aveva detto: "Non ho perduto nessuno di quelli che mi hai dato". (Gv 18,4-10)

Credo che la Settimana Santa ci chiami a sentire come Gesù viva questo atteggiamento anche verso di noi. Anche noi siamo stati accuditi, cresciuti, nutriti, guidati, fin da piccoli. Anche noi abbiamo preferito andarcene per la nostra strada, dare retta ai maestri di questo mondo, alla cultura dell’individualismo che uccide la pietà, ma Gesù non ci abbandona sdegnato al nostro destino, perché è geloso di noi ed ha compassione
Ma allo stesso tempo siamo chiamati a sentire in profondità la meraviglia per un amore così intenso e vero e il dolore per la forza del male nel mondo e nella nostra vita. In queste settimana della quaresima ci siamo come esercitati a ricostruirci un’interiorità più profonda e sensibile agli altri e non solo a noi stessi. La Settimana santa è il tempo per spendere queste risorse umane.
Siamo chiamati a viverla con la stessa intensità delle dimensioni fisica e spirituale con la quale Gesù l’ha vissuta: con la fisicità della presenza, della fatica, della stanchezza nel seguire il Signore Gesù nel cammino di passione. Le celebrazioni della passione ci chiedono anche di forzare il nostro corpo e le sue esigenza fisiche naturali: fame, stanchezza, sonno, pigrizia, ecc.. Anche gli apostoli furono messi alla prova innanzitutto nella loro fisicità, nell’orto degli ulivi, (il sonno) e solo dopo nelle loro doti morali, (la loro forza d’animo e il loro affetto per il Signore).
Ancora una volta i poveri ci sono maestri perché richiamano questa verità della dimensione umana: la fisicità di un bisogno materiale, ma anche la necessità di trovare un padre e una madre che si prenda cura delle loro umanità ferite, difficili, umiliate. Una cosa non è più importante dell’altra, ma entrambe sono realtà che si compenetrano e si illuminano a vicenda.
Il Signore ha vissuto un amore geloso e compassionevole, ma non solo spirituale, anche profondamente carnale per poterci offrire la salvezza. E’ il messaggio della Settimana Santa che ci apprestiamo a ricevere seguendolo nella sua via dolorosa.


Preghiera di Quaresima

Matteo 26,30-46
Dopo aver cantato l'inno, uscirono verso il monte degli Ulivi. Allora Gesù disse loro: "Questa notte per tutti voi sarò motivo di scandalo. Sta scritto infatti:
Percuoterò il pastore
e saranno disperse le pecore del gregge.
Ma, dopo che sarò risorto, vi precederò in Galilea". Pietro gli disse: "Se tutti si scandalizzeranno di te, io non mi scandalizzerò mai". Gli disse Gesù: "In verità io ti dico: questa notte, prima che il gallo canti, tu mi rinnegherai tre volte". Pietro gli rispose: "Anche se dovessi morire con te, io non ti rinnegherò". Lo stesso dissero tutti i discepoli.
Allora Gesù andò con loro in un podere, chiamato Getsèmani, e disse ai discepoli: "Sedetevi qui, mentre io vado là a pregare".
E, presi con sé Pietro e i due figli di Zebedeo, cominciò a provare tristezza e angoscia. E disse loro: "La mia anima è triste fino alla morte; restate qui e vegliate con me". Andò un poco più avanti, cadde faccia a terra e pregava, dicendo: "Padre mio, se è possibile, passi via da me questo calice! Però non come voglio io, ma come vuoi tu!". Poi venne dai discepoli e li trovò addormentati. E disse a Pietro: "Così, non siete stati capaci di vegliare con me una sola ora? Vegliate e pregate, per non entrare in tentazione. Lo spirito è pronto, ma la carne è debole". Si allontanò una seconda volta e pregò dicendo: "Padre mio, se questo calice non può passare via senza che io lo beva, si compia la tua volontà". Poi venne e li trovò di nuovo addormentati, perché i loro occhi si erano fatti pesanti. Li lasciò, si allontanò di nuovo e pregò per la terza volta, ripetendo le stesse parole. Poi si avvicinò ai discepoli e disse loro: "Dormite pure e riposatevi! Ecco, l'ora è vicina e il Figlio dell'uomo viene consegnato in mano ai peccatori. Alzatevi, andiamo! Ecco, colui che mi tradisce è vicino".

Commento
Cari fratelli e care sorelle, alle porte della passione Gesù cena con i suoi. Nel Vangelo di Giovanni dice “ho desiderato ardentemente di cenare con voi”, esprimendo tutta la sua passione per quei dodici, anche per Giuda che lo tradirà, anche per Pietro Giacomo e Giovanni che si addormenteranno nell’orto degli ulivi, anche per Pietro che lo tradirà tre volte.
Sono i tre stessi apostoli che avevano visto Gesù trasfigurato parlare con Elia proprio di queste ore che stavano realizzandosi. Ma allora non avevano capito, ubriachi di contentezza volevano fare tre tende, ma ora dormono.
L’amore appassionato di Gesù è geloso di quei dodici e non ci rinuncia nemmeno sapendo cosa accadrà di lì a poco.
Sembra la storia di un fallimento: gli eventi precipitano, le cose vanno sempre peggio e Gesù alla fine viene tradito e abbandonato. Solo e umiliato, la sua umanità è cancellata da un dolore così grande. I potenti lo temono, la folla lo osteggia, tutti congiurano per toglierlo di mezzo.
Gesù in mezzo a loro resta fermo: per amore non fugge, per amore non salva sé stesso, come lo invitano a fare, ma vuole salvare quel pugno di discepoli impauriti, quella folla inferocita, quelle masse indifferenti e ostili.
E’ il paradosso della Settimana Santa. E’ il mistero di un amore geloso e pieno di pietà per chi lo sta uccidendo: “Padre perdona loro perché non sanno quello che fanno”.
Come non restare colpiti? Come non provare tenerezza e dolore per questo uomo innocente, anzi buono, che va a morire? Eppure anche a noi viene sonno, gli occhi si chiudono, la paura ci porta a percorrere le vie di sempre.
Forziamo il nostro corpo, pieghiamo il cuore a restare accanto a Gesù. La compagnia di un cuore sensibile, il calore di un amico che resta e non lascia solo è quanto di più prezioso ci sia nel dolore.
Siamo noi quell’amico che resta accanto al povero più povero, Gesù, perché il suo amore geloso e compassionevole non si perda nella voragine del non senso, ma sia seme gettato e germogliato che porterà frutti di salvezza, di pace e di consolazione per il mondo intero.

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