martedì 27 aprile 2010

Il pranzo di Natale 2009


Incontro dopo la cena di Natale

del 5 gennaio 2010

(Racconto comune di quello che abbiamo vissuto)
Un po' di dati:


Quest’anno si sono sedute a tavola circa 160 persone


hanno aiutato nella preparazione e nel servizio 35 persone


hanno dato il loro contributo: i Ristoranti Anfiteatro (Vilma), Pomodorino, F.lli La Cozza, Placebo, Cicalino, Alimentari Cassetta, Pasticceria Pazzaglia, Panificio Dolce Forno, InterPan Novelli, Comunità di S. Egidio, Mons. Paglia, circa 10 “cuochi” di lasagne, Parrocchia S. Francesco (tavoli), Curia (sedie).

Sono stati raccolti circa 1400 Euro di offerte

Uno degli aspetti belli di questa festa è anche questo grande giro di gente coinvolta, complessivamente oltre 60 persone direttamente e altrettante indirettamente. E’ un piccolo popolo che si è affollato attorno alla culla di Betlemme.
Per noi questa immagine non può essere come una foto che col tempo ingiallisce e si sgualcisce, finché non ce ne dimentichiamo del tutto in un cassetto. Piuttosto è come un’icona cioè, come ci insegna la tradizione spirituale orientale, una “finestra sull’invisibile”, una immagine fisica ma spirituale allo stesso tempo che ci apre una visione che va oltre la materialità concreta per comunicarci qualcosa che è eterno e immutabile, anche se spirituale e immateriale.
La prima domenica di Quaresima è dedicata al ricordo del “Trionfo dell’Ortodossia”, cioè la vittoria di coloro che difesero la possibilità di raffigurare le persone divine e i santi nelle icone da coloro che volevano vietarlo.
La grande rivolta dell’eresia iconoclasta, che dissolveva il principio fondamentale del cristianesimo (la realtà dell’Incarnazione e della duplice consustanzialità di Gesù, al Padre e all’uomo) è vinta dopo lotte durate circa un secolo; l’ortodossia è ristabilita l’11 marzo 843, da qui la scelta pressoché immediata di collegare alla prima domenica di Quaresima il ricordo annuale di questo importante momento della storia della Chiesa.
La prima domenica di Quaresima nella Liturgia bizantina si canta il Lucernario dei Vesperi che sottolinea i benefici che dall’icona derivano, non in quanto oggetto in sé, ma come presenza reale del rappresentato: “Tu che per la tua divina natura non puoi essere circoscritto, essendoti incarnato in questi ultimi tempi, o Sovrano, ti sei degnato di venire circoscritto: assumendo infatti la carne, ne hai accettato tutte le proprietà. Noi dunque dipingendo la figura che intende rappresentarti, rendiamo omaggio a tali immagini in vista di colui a cui rimandano, innalzandoci all’amore per te, e ne attingiamo la grazia delle guarigioni seguendo le divine tradizioni degli apostoli”. “La grazia della verità nuovamente risplende. Ciò che un tempo era prefigurato nell’ombra, ora si è apertamente compiuto: poiché, ecco, la Chiesa si riveste dell’icona corporea del Cristo come di abbigliamento ultramondano, delineando la figura della tenda della testimonianza, e tiene salda la fede ortodossa, affinché possedendo anche l’icona di colui a cui rendiamo culto, non ci accada di sviarci”.
Il kontakion, che ritorna al fondamento teologico delle icone, sempre fermamente unito all’economia della nostra salvezza: “Il Verbo incircoscrivibile del Padre, incarnandosi da te, Madre di Dio, è stato circoscritto e, riportata all’antica forma l’immagine deturpata, l’ha fusa con la divina bellezza. Confessando la salvezza con parole e opere, raffiguriamola”.
Cioè l’icona ci mette in comunicazione con la realtà divina trasfigurando la realtà materiale e riportando questa alla sua originale bellezza e bontà.
L’icona non ha lo scopo di sottolineare la distanza fra noi e la realtà raffigurata (come avviene spesso per l’arte occidentale, che ci mostra le realtà divine tutte lontane, sopra le nuvole, dove noi non possiamo arrivare, ma al massimo intravederle da lontano) ma anzi di accorciarla inserendoci dentro una dimensione che ci supera, ma allo stesso tempo ci attira a sé e ci coinvolge.
Come accennavo, negli anni 700 circa si svolse in Oriente una vera e propria guerra alle icone: si condannava l’idea che si potessero rappresentare le realtà divine, come è ancora oggi vero per l’ebraismo e l’islam. Si voleva cioè scavare di nuovo quel fossato incolmabile che l’incarnazione di Gesù ha voluto riempire. Le realtà divine dovevano cioè mantenere quel carattere di inarrivabilità e invisibilità che le rendesse lontane, totalmente estranee alla vita concreta di ogni giorno.
Ancor oggi c’è nella mentalità comune una lotta all’icona, cioè all’idea che la realtà materiale e concreta, quella di tutti i giorni, si possa trasfigurare rispecchiandosi in una immagine diversa dal presunto realismo della banalità concreta.
E’ il materialismo che fa dire che non si può sognare, che la verità è quello che si vede e si tocca, che le utopie stanno per aria e non entrano a far parte della vita concreta. Che fra come la realtà è e come dovrebbe essere c’è un vuoto incolmabile e noi dobbiamo accettare che sia così come la vediamo perché non si può fare niente di diverso.
Oppure è la tentazione del realismo scettico: ma che significa una festa una volta, poi tanto tutto torna come prima, il bisogno è più grande, non si può cambiare tutto e quindi il poco che si fa è inutile, meglio non illudersi.
C’è poi lo spavento, il rifiuto di un cambio di prospettiva radicale, così rivoluzionario: una piccola opera di bene è tollerabile, ma andiamoci calmi con dire che può esserci una trasfigurazione della vita che potrebbe anche coinvolgere me. Questo atteggiamento ci fa restare un po’ ai margini, per paura di confondersi troppo con quel popolo festante: io sono qui per fare qualcosa, questo è il senso del mio esserci, se non c’è niente da fare la mia presenza è inutile, ecc… E’ un modo per dire: se qualcosa può cambiare è negli altri, non in me.
Anche noi allora dobbiamo fare come una nostra piccola lotta all’iconoclastia, dicendo che invece no, la realtà così come la conosciamo con tutte le sue brutture e ingiustizie può trasfigurarsi, essere come assorbita in una dimensione superiore spirituale e bella. È possibile che chi da tutti è giudicato brutto appaia ai nostri occhi bello, chi è condannato alla marginalità sia messo al centro, chi ci provoca inquietudine e paura sia accostato con amicizia, chi sembra irrimediabilmente perduto sia recuperato all’affetto premuroso dei fratelli. Se vinciamo questa lotta noi entriamo nell’icona e la trasfigurazione ci coinvolge pienamente.
La stessa cosa è della nostra festa: la sua bellezza spirituale è frutto non dell’abilità organizzativa o delle doti di qualcuno, ma di un amore che ha messo insieme tanti, ma trascende l’individualità di ciascuno. Nessuno può sentirsi padrone di questa immagine come in una sinfonia il risultato finale supera il suono del singolo strumento, per quanto possa essere importante.
Con questo spirito allora oggi vorremmo metterci davanti all’icona di questa festa che abbiamo vissuto.
Innanzitutto l’icona non è un’opera d’arte, nel senso che supera l’individualità dell’artista, la sua mano è guidata da Dio e il risultato è frutto più della preghiera e del digiuno che dell’abilità tecnica del pittore. Tanto che si usa il termine “scrivere una icona”, come fosse un poema o una lettera d’amore.
Cosa rappresenta questa icona? Un banchetto. E’ l’immagine che Gesù usa spesso nel Vangelo per descrivere il Regno di Dio, già ne parlavamo l’anno scorso. E’ una immagine di festa, di felicità, ma anche di pienezza. A tavola si è felici, il vino scalda, il cibo sazia e la conversazione amichevole fa passare il tempo lietamente: è la nostra esperienza comune.
Ma oggi vorrei soffermarmi su un altro aspetto di questa icona, e cioè sul fatto che questa festa si è svolta alla vigilia della festa dell’Epifania, davanti al presepe che era sotto l’altare.
Già dicevo il 6 gennaio che a Betlemme, davanti alla mangiatoia di Gesù il Vangelo ci presenta solo due gruppi di uomini: i pastori e i magi. Tutti gli altri sono estranei a questo evento.
Dei pastori possiamo dire che erano la fascia più umile della società, così come anche oggi. In un mondo, come quello ebraico, regolato in maniera ferrea dalle leggi dell’impurità, i pastori nel loro convivere con gli animali erano in uno stato quasi di perenne impurità, e anche per questo vivevano fuori città, all’aperto, ecc…
I pastori erano, insomma, gli ultimi.
I magi invece erano persone di alto rango, sapienti e ricchi (hanno con sé oro e spezie preziose), eppure lasciano comodità e agi per affrontare un lungo viaggio. Sono un po’ ingenui nel seguire il segno labile di una stella, e poi, davanti a un bambino, si prostrano, in presenza di gente umile, non tenendo conto della propria rispettabilità e onore.
I magi sono uomini umili.
Il profeta Sofonia nel cap. 3 del suo libro riferisce al popolo la condanna del Signore per il suo peccato e infedeltà:


Guai alla città ribelle e impura,
alla città che opprime!
Non ha ascoltato la voce,
non ha accettato la correzione.
Non ha confidato nel Signore,
non si è rivolta al suo Dio.
(3,1-2)

Allora Dio proclama che in risposta al male ricevuto da Israele convertirà tutti i popoli che verranno a lui acclamando felici e gli arroganti saranno allontanati da Israele:


Allora io darò ai popoli un labbro puro,
perché invochino tutti il nome del Signore
e lo servano tutti sotto lo stesso giogo.
Da oltre i fiumi di Etiopia
coloro che mi pregano,
tutti quelli che ho disperso, mi porteranno offerte.
In quel giorno non avrai vergogna
di tutti i misfatti commessi contro di me,
perché allora allontanerò da te
tutti i superbi gaudenti,
e tu cesserai di inorgoglirti
sopra il mio santo monte.
(3, 10-11)

E’ il quadro di una salvezza che raggiunge il mondo intero e di un popolo misto, fatto di genti diverse, ma unito dalla fedeltà a Dio. Sofonia definisce questo popolo:

Lascerò in mezzo a te
un popolo umile e povero".
Confiderà nel nome del Signore
il resto d'Israele.
non commetteranno più iniquità
e non proferiranno menzogna;
non si troverà più nella loro bocca
una lingua fraudolenta.
Potranno pascolare e riposare
senza che alcuno li molesti.
Rallégrati, figlia di Sion,
grida di gioia, Israele,
esulta e acclama con tutto il cuore,
figlia di Gerusalemme!
Il Signore ha revocato la tua condanna,
ha disperso il tuo nemico.
Re d'Israele è il Signore in mezzo a te,
tu non temerai più alcuna sventura.
In quel giorno si dirà a Gerusalemme:
"Non temere, Sion, non lasciarti cadere le braccia!
Il Signore, tuo Dio, in mezzo a te
è un salvatore potente.
Gioirà per te,
ti rinnoverà con il suo amore,
esulterà per te con grida di gioia".
"Io raccoglierò gli afflitti,
privati delle feste e lontani da te.
Sono la vergogna che grava su di te.
Ecco, in quel tempo io mi occuperò
di tutti i tuoi oppressori.
Soccorrerò gli zoppicanti, radunerò i dispersi,
li farò oggetto di lode e di fama
dovunque sulla terra sono stati oggetto di vergogna.
In quel tempo io vi guiderò,
in quel tempo vi radunerò
e vi darò fama e lode
fra tutti i popoli della terra,
quando, davanti ai vostri occhi,
ristabilirò le vostre sorti", dice il Signore.
(3,12-20)

E’ lo stesso popolo riunito davanti alla mangiatoia: un popolo misto, di gente povera e di umili, come erano i pastori e i magi, che si trovavano confusi fra loro alla presenza del Signore che stava con loro.
Non c’erano i farisei e gli scribi, che pure avevano interpretato bene la Scrittura, ma non erano partiti come i magi: “(Erode) riuniti tutti i capi dei sacerdoti e gli scribi del popolo, si informava da loro sul luogo in cui doveva nascere il Cristo. Gli risposero: "A Betlemme di Giudea, perché così è scritto per mezzo del profeta”. Mt 2,4-5.
Non c’era Erode che era spaventato assieme a tanti a Gerusalemme: “All'udire questo, il re Erode restò turbato e con lui tutta Gerusalemme.” Mt 2,3 e restò a casa tramando di eliminare il bambino.
Alla cena dell’Epifania abbiamo vissuto questa parola, siamo entrati a far parte dell’icona del Natale e possiamo dire che la nostra vita si è trasfigurata ed è stata annullata la distanza fra la nostra vita e la Parola: i poveri erano con noi, hanno risposto felici all’invito. Venivano da regioni lontane e vicine, erano felici della visione che vedevano. Ma anche noi, pur non essendo poveri, abbiamo seguito un po’ ingenuamente la stella di un invito strano, ci siamo fidati, ci siamo chinati nel servizio a chi è debole come un bambino appena nato, abbiamo scoperto dentro di noi doni preziosi da poter offrire, che magari nemmeno immaginavamo di avere. Anche noi siamo entrati a far parte di quel popolo di umili e poveri nel quale abita il Signore di cui profetizza Sofonia, come immagine della salvezza dell’umanità.
Contemplare una icona è una cosa un po’ da bambini: farsi colpire dalla luce dell’oro, lasciarsi trascinare lontano dall’immaginazione, provare sentimenti nuovi … Noi da buoni occidentali preferiamo darci le spiegazioni, analizzare, capire, ecc … Lasciamoci invece sopraffare dalla bellezza dell’icona, facciamoci abbracciare dalla dolcezza dell’espressione dei suoi volti, affacciamoci alla finestra sull’invisibile che essa ci apre.
Il Vangelo di Giovanni non ci racconta il Natale come gli altri Vangeli, ma inizia con il racconto della chiamata dei primi discepoli. Il Natale per Giovanni avviene nei cuori di quegli uomini che vedono nascersi qualcosa di nuovo dentro.
Il giorno dopo Gesù volle partire per la Galilea; trovò Filippo e gli disse: "Seguimi!". Filippo era di Betsàida, la città di Andrea e di Pietro. Filippo trovò Natanaele e gli disse: "Abbiamo trovato colui del quale hanno scritto Mosè, nella Legge, e i Profeti: Gesù, il figlio di Giuseppe, di Nàzaret". Natanaele gli disse: "Da Nàzaret può venire qualcosa di buono?". Filippo gli rispose: "Vieni e vedi". Gv 1,43-46.
San Giovanni Crisostomo dice al proposito: “Come Andrea, non sapendo rappresentare adeguatamente il tesoro che aveva trovato, né spiegarlo con le sue parole, condusse Pietro da colui che aveva trovato, così anche Filippo non dice per quale ragione egli sia il Cristo e in quale maniera i profeti lo preannunziarono, ma conduce Natanaèle da Gesù, ben sapendo che non se ne sarebbe più staccato, una volta provato il fascino della sua parola e della sua dottrina”.
Anche noi allora, come Andrea, Filippo e Natanaele, non sappiamo spiegarci tante cose, facciamo fatica a capire, ma non resistiamo alla forza attrattiva del vangelo di Natale così come lo abbiamo visto rappresentato nell’icona del 5 gennaio. Anche noi, provando il suo fascino e dolcezza, non potremo più staccarcene.

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