mercoledì 28 aprile 2010

Meditazioni tempo di Pasqua 2010 - II


La liturgia per vivere la Pasqua ogni settimana

Dicevamo la settimana scorsa che la liturgia della domenica è uno dei modi con cui possiamo concretamente rispondere alla domanda di Pasqua: “Che cosa vuoi che io faccia per te?” che il Signore ci pone in questo tempo di decisione.
La liturgia infatti ci strappa dalla ‘normalità’ della vita quotidiana e, per così dire, ci immerge nello spirito della resurrezione del Signore, che nella liturgia sperimentiamo concretamente. Facendo questo essa risponde al nostro bisogno di vivere la liberazione dal chiuso orizzonte di ciò che è abituale, per aprirci ad una nuova prospettiva che ci fa guardare al mondo e a noi stessi con occhi diversi. Alla liturgia potremmo dire acquisiamo “gli occhiali” che ci fanno mettere a fuoco il volto vero dei fratelli, e lo sguardo stesso di Gesù che sa leggere nei cuori e scorgere l’angolo buono che si cela in ogni uomo, una visione larga che abbraccia tanti, ecc…
Proviamo ad analizzare alcuni punti concreti a partire dai quali possiamo lavorare per farci permeare dalla novità della resurrezione.
Io oggi non vorrei tanto affrontare il tema del significato e dell’importanza della liturgia domenicale, cosa che ha egregiamente fatto il nostro Vescovo nella sua prima lettera pastorale che invito tutti a rileggere, ma evidenziare alcuni nostri atteggiamenti concreti, proprio per non evitare la dimensione pratica a cui accennavamo l’altra volta, sia perché poi attraverso questi noi possiamo imparare a vivere con più profondità e partecipazione la messa della domenica.
1. Innanzitutto la liturgia ci strappa dall’isolamento, perché ci raduna in tanti per compiere un’azione comune. Dicevamo in Quaresima della rarità dei momenti in cui gli uomini oggi condividono un’esperienza forte in comune. Le emozioni più forti sono vissute in solitudine. Al massimo si è in due o da soli, davanti alla TV o a internet. La presenza degli altri il più delle volte fa scattare meccanismi di competizione, di paura che sfocia in aggressività, più o meno celata, o in isolamento e indifferenza. Quando capita che ci si metta insieme è contro un nemico comune, reale o inventato.
Alla liturgia invece siamo convocati, nessuno è padrone o proprietario,
e siamo non “contro” qualcuno o qualcosa, ma “a favore”,
siamo tutti a livello paritario, nessuno è al di sopra di un altro, nemmeno il prete, ricchi e poveri, colti e ignoranti, connazionali e stranieri, ecc…
siamo “insieme”: le parole della Messa si rivolgono a Dio sempre con il “noi” e non con l’”io”. Di chi sta parlando?
Queste realtà però spesso non traspaiono dal nostro modo di vivere la liturgia. Spesso noi trasportiamo modelli di comportamento e idee mondane, stravolgendone lo spirito.
Chiediamoci: quanto sono importanti per me gli altri con cui celebro la messa?
E’ rilevante per me chi c’è e chi non c’è, o lo è solo chi mi è familiare o già amico? Ad esempio se faccio una cena per il mio compleanno faccio caso a chi c’è e chi no, e se il mio migliore amico mi dà buca o viene un estraneo io mi comporto di conseguenza, non mi è indifferente. La Messa forse dovrebbe godere di una pari dignità del mio compleanno, se non superiore, tanto da farmi reagire di conseguenza. All’amico esprimerà il mio dispiacere per la sua assenza, nei modi più opportuni, con lo sconosciuto mi presenterò e farò due chiacchiere di conoscenza, ecc…
E’ una mia preoccupazione comunicare un senso unanime e comune, ad esempio nel modo di rispondere (non ognuno per conto suo) o di cantare, o di muoversi nella chiesa (ad esempio la fila per la comunione) ?
Ho mai fatto conoscenza con qualcuno in chiesa in occasione della messa domenicale?
In questo senso, ad esempio, la puntualità è già di per sé un segno di attenzione agli altri (per non disturbare), oltre che di rispetto per il Signore, e del desiderio di esserci: ad un appuntamento con il mio miglior amico o con la fidanzata non arrivo quando mi pare!
Mi sono mai posto il problema di cosa potrei fare in più per collaborare alla buona riuscita della messa?
Ho “un occhio” perché tutti siano messi a loro agio e favoriti a partecipare nel migliore dei modi? Ad esempio ho mai mostrato il canto sul libretto al vicino che non canta per invitarlo a farlo con me?
Non sto neanche a dirlo, ma ho ricordato di spegnere il cellulare ed ho a cuore che l’attenzione di tutti sia favorita?
Sono domande concrete che ci fanno rendere conto che niente è scontato e tanto va fatto, ma vorrei sottolineare una prospettiva, forse un po’ nuova, e cioè che ciascuno può fare molto di più non solo per vivere la messa con maggiore partecipazione e intensità (che già ci sembra un traguardo ambizioso se non irraggiungibile), ma per aiutare tutti gli altri a fare altrettanto. Forse è proprio questo quello che manca di più, e che ci aiuterebbe a ottenere anche il primo risultato. Sempre per fare un esempio un po’ banale ma efficace, se abbiamo a pranzo ospiti a cui teniamo particolarmente ci sforzeremo di cucinare cose buone e di rendere tutto più piacevole. In questo modo il pranzo sarà migliore e anche noi ne godremo. Se dobbiamo preparare un pasto solo per noi stessi è difficile che ci mettiamo le stesse attenzioni e cure, e il risultato sarà scadente. Ma allora perché non pensare alla messa come ad un pranzo importante (il più importante) per tanti ospiti illustri: i fratelli e il Signore stesso.
Se viviamo in questo modo ci educhiamo a tenere conto degli altri, a metterli al centro del nostro interesse e preoccupazione. La messa diventa pertanto una scuola di comunione e dire “Padre nostro” non sarà solo una formalità perché veramente considero il mio vicino un fratello o una sorella. Ci dimostra che si può essere vicini e in comunione profonda anche con chi non conoscevamo nemmeno e che con chi ho rapporto non è scontato: il Signore mi chiede di essere amico di chi mi siede vicino a messa, per imparare ad essere amico di tutti quelli che incontro. Come sto a messa deve diventare esemplare di come sto con tutti.
2. La messa non è uno spettacolo dal copione sempre uguale a cui assistere annoiati. Direi piuttosto che ogni messa è unica:
perché io vengo con una domanda diversa e la mia preghiera lo è altrettanto,
perché è diversa la gente che sta con me per celebrare,
perché il Signore mi parla in modo diverso,
perché nel mondo succedono cose diverse, belle e brutte, e ci sono sempre motivi nuovi per ringraziare e invocare l’aiuto di Dio,
perché, se sono attento, capisco sempre una cosa in più delle parole della messa o un nuovo significato più profondo, ecc…
Scopriamo mille motivi di novità se siamo disponibili ad incontrare veramente gli altri e il Signore, se facciamo entrare la nostra vita nella liturgia e le parole della liturgia nella nostra vita.
Ci chiediamo allora: è mai possibile uscire dalla messa con lo stesso umore o con gli stessi pensieri e preoccupazioni con cui siamo entrati?
Quanto siamo attenti a non distrarci o a non rendere tutto scontato o banale?
Quanto mi chiedo il significato o la storia di alcuni gesti della liturgia (ad esempio l’uso dell’incenso o la struttura della messa o la scelta delle preghiere, ecc…)?
Mi è mai venuto in mente qualcosa che si potrebbe fare di più o meglio per rendere migliore la celebrazione della messa e l’ho proposto?
3. La messa non inizia e non finisce in chiesa, ma fa parte della vita che c’è prima e influenza quella che segue. Nel senso che gli atteggiamenti che descrivevo caratterizzano la vita del cristiano ovunque, e la liturgia, come accennavo, è la scuola in cui impariamo come essere sempre e ovunque. La domenica acquistiamo un atteggiamento, uno sguardo, uno spirito “liturgico”, cioè di servizio, non protagonista, comunitario, ecc…
A Messa impariamo quale è il nostro posto: la liturgia è l’immagine più piena e vera della comunità cristiana. Tanti assieme, senza divisioni, all’ascolto della Parola di Dio, unanimi nel chiedere a lui, pronti a servirci l’un l’altro, felici perché in compagnia del Signore, senza essere arroganti o orgogliosi, ecc…
Come già ricordavamo altre volte, nella liturgia noi incontriamo e veneriamo con particolare attenzione Gesù nel suo corpo. Questo atteggiamento è lo stesso che dobbiamo avere con tutte le altre forme con cui il Signore ci si presenta concretamente:
il suo corpo che sono i poveri (Mt 25)
il suo corpo che è la sua chiesa
la sua voce che è la Scrittura.
Con la stessa attenzione e venerazione che dimostriamo a Messa dobbiamo trattare ogni espressione concreta della presenza del Signore accanto a noi. Questo ha molte implicazioni concrete nella vita quotidiana.

Questo primo passo ci aiuta allora a dare una prima risposta alla domanda di Pasqua di vivere quella familiarità straordinaria, non di sangue né di convenienza, che il Signore “fonda” ai piedi della croce.
Possono sembrare cose da poco ma è una eredità preziosa che può segnare una novità grande nella vita nostra e di chi ci sta accanto.

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