lunedì 26 aprile 2010

Scuola di preghiera 2005 III

I Salmi, libro di preghiera
Continuiamo il nostro cammino alla scuola di preghiera che è la Scrittura.

Abbiamo iniziato chiedendoci cosa è la preghiera e come si prega. E’ quello che chiesero i discepoli a Gesù (Lc 11), eppure la tradizione ebraica conosceva molte e belle preghiere e un culto molto sviluppato nelle sinagoghe e nel tempio Allo stesso modo anche i monaci nel deserto egiziano rivolsero la medesima domanda all’anziano Macario, nel IV secolo: “Come dobbiamo pregare?”[1] eppure avevano a disposizione la risposta di Gesù ai discepoli e la tradizione liturgica e monastica sulla preghiera. Sì, la preghiera è qualcosa che bisogna sempre imparare, di cui non ci si impossessa mai definitivamente, per quanto si sia avanzati nel cammino cristiano e si abbia a disposizione il patrimonio di esperienza e di sapienza delle generazioni che ci hanno preceduto. Forse il segreto per imparare a pregare è proprio questo: mantenere viva questa domanda profonda del cuore, che in sé è già preghiera, domanda a Dio. Ha scritto Giovanni Climaco, padre della Chiesa del VII secolo, monaco sul monte Sinai, “Non esiste un maestro di preghiera. La preghiera ha in se stessa la sua maestra. Dio dona la preghiera a chi gliela chiede.”[2] riprendendo quello che dice la traduzione greca dei LXX di 1Sam 2,9: “Dio dona la preghiera a chi gliela chiede”.

Pregare presuppone infatti innanzitutto il riconoscimento della propria incapacità e povertà. Serve cioè umiltà, come insegnava un anziano del deserto della Siria ai suoi discepoli nel IV secolo: “Altro è il modo di agire dei penitenti, altro quello degli umili. I penitenti sono dei mercenari; gli umili dei figli.”[3] Chi non scende in profondità nella propria povertà resta sempre sulla soglia della preghiera, senza entrarvi dentro, e la scuola di preghiera è innanzitutto una scuola di umiltà. Un altro padre della Chiesa, Isacco il Siro, vissuto in Mesopotamia nel VI secolo, esprime bene questo legame fra preghiera e riconoscimento della propria povertà. Scrive: “Beato l’uomo che conosce la sua infermità” perché Dio “non disprezza un cuore contrito e umiliato (sal 51). Appena un uomo si umilia, subito lo circonda e lo avvolge la misericordia di Dio … e comprende che la preghiera è il porto dell’aiuto, la fonte della salvezza, il tesoro della confidenza…”[4] E’ nella propria umiltà, nel farsi piccolo davanti a Dio, bisognoso di imparare a stare davanti a lui il segreto per apprendere a pregare.
Il tema del bisogno di chiedere aiuto al Signore per imparare a pregare è stato ripreso anche da Dietrich Bonhoeffer, teologo protestante tedesco della prima metà del novecento, morto in un campo di sterminio per la sua predicazione evangelica che contrastava l’ideologia nazista. Bonhoeffer scriveva: ”No, pregare non significa solo aprire il nostro cuore; significa piuttosto trovare la via che conduce a Dio per dialogare con lui, sia che abbiamo il cuore pieno oppure vuoto. … Nessuno è capace di fare questo con le sue forze … per fare questo è necessario Gesù”[5] cioè chiedere aiuto alla sua Parola. Per questo la volta scorsa ci siamo soffermati a osservare come pregava Gesù, in modo particolare quando ha voluto insegnare ai suoi discepoli il Padre Nostro, sintesi preziosa della preghiera cristiana. Uno studioso di spiritualità ha scritto: “Il Padre Nostro, nella sua struttura raccolta, contiene tutto ciò che può desiderare o sperare il cuore di un battezzato”[6].



I salmi preghiera cristiana

Anche i salmi sono un libro di preghiera esemplare. Questo non vuol dire che è una raccolta di preghiere per le varie occasioni. E’ un libro, lo vedremo bene in seguito, con una struttura unitaria ben chiara ed evidente, solo che, a differenza degli altri libri della Scrittura, che pure contengono preghiere e ispirano e suscitano la preghiera, il libro dei salmi è integralmente formato da preghiere composte dai loro autori come tali.

Il nome salmo (dal verbo greco psàllo che significa “cantare” con l’accompagnamento di strumenti) sta ad indicare che è un testo composto per il canto e in genere poetico. Si può dire che il Salterio è la sintesi poetica di tutta la rivelazione presente negli altri libri della Scrittura. In esso, più che in ogni altro libro sacro, si avverte che la Rivelazione, cioè il discorso di Dio agli uomini, non è fatto di verità man mano esposte ad esso, o di un complesso di dottrine e di concetti a cui si deve aderire, quanto piuttosto del dipanarsi lungo la storia di un disegno di Dio per l’uomo che rivela in uno stesso tempo la personalità divina di Dio e quella umana dell’uomo.[7] I salmi sono espressione della contemplazione di questo disegno, dello stupore nel coglierne tratti sempre nuovi, dell’ammirazione per l’autore, ecc… Il Salterio costituisce dunque la reazione a questa contemplazione, di cui il salmista di volta in volta si fa interprete, regalandoci le parole della sua fede mescolate a quelle di chi l’ha suscitata. Per questa sua natura il Salterio è un libro ricco e complesso, infatti si può dire che comprende tutti i temi della rivelazione, che poi vedremo più in dettaglio, ma anche i sentimenti, gli atteggiamenti, i dubbi, le angosce, le gioie, in una parola il vissuto dell’uomo nel suo rapporto con Dio, con gli altri uomini e con la storia.

Il libro dei salmi era per gli ebrei il libro della preghiera per antonomasia. L’invocazione personale del pio ebreo, come la liturgia sinagogale era, ed è tuttora, nutrita dei salmi. Ogni pio ebreo doveva conoscere a memoria il Salterio, e non solo perché a quel tempo era difficile che si possedesse un libro, ma anche perché fosse possibile ricordarne alcuni versetti nelle varie situazioni della vita e trarne ispirazione. Lo possiamo vedere dalla frequenza con cui gli apostoli citano i salmi nel loro parlare, che evidentemente conoscevano bene e sapevano altrettanto bene applicare anche alla realtà nuova che Gesù aveva inaugurato nella vita della loro giovane comunità. Se scorriamo ad esempio il libro degli Atti, Pietro cita due salmi nel discorso alla comunità, in occasione dell’elezione di Mattia (At 1,20), e nel discorso alla folla subito dopo la Pentecoste (2,25-28; 34-35); assieme a Giovanni sempre Pietro cita un salmo, parlando davanti al sinedrio (4,11). La comunità poi prega con il salmo 2 per ringraziare Dio della liberazione degli apostoli, usciti dal carcere miracolosamente, dopo esservi stati imprigionati dai sommi sacerdoti e dagli anziani (4,25-26). Paolo infine cita i salmi nella sua prima predicazione ad Antiochia (13,32-ss.).

Gli apostoli così facendo non solo seguono la tradizione antica della sapienza ebraica, ma soprattutto seguono l’esempio di Gesù stesso. Per restare nell’ambito dei Vangeli sinottici, Gesù usa volentieri i salmi nei suoi discorsi: nel brano delle beatitudini, all’interno del cosiddetto “discorso della montagna” (Mt 5,3-10 e paralleli); usa il salmo 8, nella traduzione dei LXX, durante la cacciata dei mercanti dal tempio, (Mt 21,16 e paralleli); il 118 nella spiegazione della parabola dei vignaioli omicidi (Mt 21,42 e paralleli). Interrogando alcuni farisei cita il salmo 110 (Mt 22.44; 23,39 e paralleli); durante il processo (Mt 26,64 e paralleli). Ma soprattutto, le ultime parole di Gesù prima di morire sono quelle del salmo: in Matteo il 22: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato” (Mt 27,46 e Mc 15,34), in Luca il 31 “nelle tue mani consegno il mio spirito” (23,46). Mi sembra particolarmente significativo che le ultime parole di Gesù sulla croce per i sinottici sono affidate ai salmi: in questo momento estremo anche Gesù ha usato le parole del Salterio per rivolgersi al Padre. Si evidenzia qui il paradosso rilevato da Bonhoeffer: “Se la Bibbia contiene un libro di preghiere (il Salterio), dobbiamo dedurre che la Parola di Dio non è soltanto quella che egli vuole rivolgere a noi, ma è anche quella che egli vuole sentirsi rivolgere da noi”[8] Dio stesso (Gesù) parla a Dio (il Padre) con le parole della Scrittura che ha ispirato. E’ evidente che anche a noi è chiesto di fare lo stesso.



La struttura del Salterio

La liturgia fa cantare ogni domenica qualche versetto dai salmi. Così spezzettati è difficile rendersi conto di cosa il libro dei salmi sia nella sua interezza. Vogliamo allora cominciare questo nostro discorso vedendo meglio come è composto il libro.

Coloro che hanno scritto il Salterio erano dei sapienti, lo si comprende anche dalla sua struttura. La sua composizione è stata frutto di un processo durato secoli, durante i quali i salmi sono stati cantati, prima di essere scritti. Essi hanno un carattere evidentemente sapienziale, infatti un terzo è costituito da meditazioni senza invocazione. Essi furono scelti fra un gran numero di composizioni: si calcola che nell’intera Bibbia esistano almeno un altro centinaio di composizioni simili, che non sono entrate a far parte del Salterio. Sia i rabbini che i Padri della Chiesa insistono sul fatto che il Salterio è un compendio di tutti i libri della Scrittura e al tempo stesso una sua interpretazione. Scriveva S. Atanasio, arcivescovo di Alessandria nel IV secolo: “Ogni libro delle Scritture ha il suo tema proprio. Ma il libro dei salmi contiene in sé, come un giardino, tutto ciò che si trova in tutti i libri della Scrittura e ha, inoltre, il suo tema proprio.”[9] S. Basilio, vissuto in quello stesso tempo in Cappadocia, l’attuale Turchia, scriveva: “Il Salterio è il compendio delle Scritture e al tempo stesso un loro commentario. L’interpretazione è data da Dio e la risposta è formulata dallo Spirito.”

Nei salmi sono presenti echi di tutta la storia della salvezza: la conquista della terra promessa (sal 29); l’epoca di Davide e Salomone (51 e 52); la distruzione del tempio e l’esilio (42-43, 74, 79, 137), ecc.. ma anche l’Esodo, gli anni nel deserto, la creazione, (78, 136, 8, 104). Pregare regolarmente col Salterio fa ripercorrere tutta la storia del popolo eletto e le meraviglie del Signore al suo interno.

Il Salterio è divisibile in 5 libri, numero ricco di significati simbolici. Ognuno si conclude con una esclamazione di lode: “Benedetto sia il Signore…”: sal 40,14 (Sia benedetto il Signore, Dio d’Israele, da sempre e per sempre. Amen, amen.); 71,18-19 (Benedetto il Signore, Dio di Israele,

egli solo compie prodigi. E benedetto il suo nome glorioso per sempre, della sua gloria sia piena tutta la terra. Amen, amen.); 88,53 (Benedetto il Signore in eterno. Amen, amen.); 105,48 (Benedetto il Signore, Dio d’Israele da sempre, per sempre. Tutto il popolo dica: Amen.); 150 tutto il salmo.

Il primo libro (sal 1-41) narra le vicende della lotta del malvagio contro il giusto e comprende gli appelli del giusto rivolti a Dio. Al suo centro il sal 22 riassume questo tema: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”

Il secondo libro (sal 42-72) ha toni più sereni. Si parla dell’esilio: “Come una cerva anela ai corsi d’acqua, così la mia anima brama te Elohim…” Il sal 68 riassume in poesia questo tema: esilio di Israele, intervento di Dio che lo sottrae alla servitù e lo conduce attraverso il deserto, assalto del nemico, guerra, sconfitta del nemico, entrata trionfale in Gerusalemme, regno di gloria. Conclude il libro la preghiera messianica per il re della pace (72) che metterà fine a tutti gli esili.

Il terzo libro (73-89) è il centro del Salterio. E’ come una base solida su cui poggia tutto l’edificio. E’ una meditazione sul passato nell’attesa dei fini ultimi. Al centro c’è il salmo 77 (centro anche del Salterio) in cui si ricorda l’uscita dall’Egitto fino all’elezione della tribù di Giuda e il re Davide: “Aveva fatto prodigi davanti ai loro padri, nel paese d’Egitto, nei campi di Tanis. Divise il mare e li fece passare e fermò le acque come un argine. Li guidò con una nube di giorno e tutta la notte con un bagliore di fuoco. Spaccò le rocce nel deserto e diede loro da bere come dal grande abisso. Fece sgorgare ruscelli dalla rupe e scorrere l’acqua a torrenti.”

Il quarto libro (90-106) ci fa entrare nella vittoria del regno di Dio. La fase critica sembra superata e si entra nella gioia dell’affermarsi della potenza del Signore. E’ annunciato in tutti i toni il regno del Signore, anche se talvolta (sal 101) riemerge il lamento dell’ingiustizia e la conclusione: “Preghiera di un afflitto che è stanco e sfoga dinanzi a Dio la sua angoscia. Signore, ascolta la mia preghiera, a te giunga il mio grido. Non nascondermi il tuo volto; nel giorno della mia angoscia piega verso di me l’orecchio.” (106,47) contiene ancora l’invocazione dell’intervento del Signore.

Il quinto libro (107-150) ha l’aspetto di una ascesa verso la gloria: dai salmi intonati con l’Alleluja (113-118, 136, 146-150) alle litanie della Torah (119) e alle lodi dei quindici cantici delle salite (120-134) .

Si può così riassumere la struttura: il primo libro è quello della notte, al secondo si vede spuntare l’aurora mentre il terzo ci pone in pieno giorno. Il quarto fa entrare il regno di Dio e il quinto costituisce l’apoteosi, con gli Alleluia e l’esultanza conclusiva.

Tre fasi complessivamente caratterizzano il contenuto dei salmi: prima la notte in cui il giusto affronta fino al martirio l’iniquità del male assoluto. Poi il giudizio di Dio segna la fine della notte e ristabilisce la possibilità di un ordine del mondo. Infine la via della luce trionfa nella gloria del regno messianico.

Questa struttura non è casuale, ma frutto di un laborioso lavoro di riordino. I critici moderni hanno evidenziato infatti che la maggior parte dei salmi individuali di supplica e lamento si trovano nella prima metà del Salterio; i salmi di lode si trovano solo nella seconda metà. Si evidenzia quindi un passaggio dalla supplica alla lode, indicando un itinerario di fede: la supplica è possibile solo perché si può lodare e in un certo senso la precede. Si supplica perché si è in un rapporto di alleanza che è a sua volta il contenuto e il motivo della lode. Ad esempio il salmo 22 comincia con il lamento (Dio mio, invoco di giorno e non rispondi, grido di notte e non trovo riposo), poi passa alla lode (Sei tu la mia lode nella grande assemblea, scioglierò i miei voti davanti ai suoi fedeli.) e infine sfocia nel ringraziamento (E io vivrò per lui, lo servirà la mia discendenza). Cioè supplico perché ho potuto lodare e affinché potrò lodare di nuovo per la salvezza ricevuta.[10]



Pregare con i salmi per aprirsi dall’io al noi

I salmi, come dicevo, raccolgono la sintesi della storia della salvezza, ma non si fermano alle vicende dell’Antico Testamento, ma introduco e prefigurano il Nuovo. Soprattutto ciò avviene attraverso il messianismo dei cosiddetti “salmi regali”, cioè quelli in cui si prega per il re in carica, ma con il senso di invocazione per il compimento delle promesse messianiche (ad es. sal 72, che inizia così: “Dio, da’ al re il tuo giudizio, regga con giustizia il tuo popolo e i tuoi poveri con rettitudine”).

Vediamo ora un esempio di come la preghiera con i salmi possa aprire un grande tesoro di ricchezze spirituali. Prendiamo il salmo 1: è un poema sapienziale che descrive come alla vita dell’uomo si aprono due vie, fra le quali egli deve scegliere. Il salmo inizia così: “Beato l’uomo che non segue il consiglio degli empi, non indugia nella via dei peccatori e non siede in compagnia degli stolti; ma si compiace della legge del Signore, la sua legge medita giorno e notte.” O la via della vita e della felicità o quella della morte e infelicità. La prima via è quella che nasce dalla meditazione della Parola di Dio “giorno e notte”, cioè sempre. La meditazione delle 150 preghiere del Salterio è proposta come via della felicità che il salmo 1 apre perché accompagni la vita del fedele.

Il salmo 2 da a questa pratica di fede una dimensione messianica, cioè di realizzazione della promessa di un regno futuro. La preghiera, dice il salmo in sintesi, consiste nell’unire il proprio desiderio alla volontà e alla legge del Signore “finché egli venga” nella pienezza del suo regno. La felicità da scegliere non è più individuale, ma diventa collettiva: riguarda il re e tutto il popolo, Israele e le nazioni, abbracciando il mondo intero: “E ora, sovrani, siate saggi, istruitevi, giudici della terra; servite Dio con timore e con tremore esultate; che non si sdegni e voi perdiate la via. Improvvisa divampa la sua ira. Beato chi in lui si rifugia.”

La recita, o meglio il canto, del salmo all’interno della Liturgia della Parola serve allora come aiuto per entrare in uno spirito di lode comunitaria. Spesso il salmo viene recitato con trascuratezza, come fosse un piccolo intermezzo per poterci distrarre fra una lettura e l’altra: un po’ di riposo mentale per concentrarci su quello che vale di più. In realtà il fatto di cantare il salmo tutti insieme almeno una volta la settimana ha il valore di educarci a pregare con un cuore più largo, collettivo, di comunità. E’ vero, ognuno ha i propri motivi personali per invocare o lodare Dio, ma la dimensione collettiva è essenziale per essere una Chiesa, cioè, in italiano, un’“assemblea”. Non esiste assemblea se si è da soli, si è individuo e non chiesa. La dimensione collettiva è fondamentale quindi per il cristiano. Il salmo cantato a Messa ci insegna ad accordare il nostro cuore su una melodia comune. Se anche solo uno strumento va per conto suo e non è concorde, la melodia viene stonata. Unire il cuore di ciascuno alle parole del salmo serve allora ad imparare ad essere parte della Chiesa, assemblea e comunità. Un monaco latino vissuto a lungo in Egitto alla scuola dei monaci del deserto, Cassiano, scrive nel V secolo: “Tutti presi dagli stessi sentimenti nei quali il salmo è stato cantato o composto, noi ne diventiamo in qualche modo gli autori: ne preveniamo il pensiero più che seguirlo.”

Pregare con i salmi inoltre ci insegna a scoprire e gustare la preghiera come dialogo con Dio e non monologo delle nostre richieste o lamentele. C’è infatti un protagonismo, lo dicevamo già nel primo incontro, che ci porta a far scomparire il nostro interlocutore, cioè Dio, per lasciare tutto lo spazio solo al nostro sfogo. Infatti se ci soffermiamo sul carattere ispirato delle parole dei salmi vediamo che Dio in persona viene a prendere la parola persino all’interno della nostra preghiera. Lo si capisce anche dalle espressioni stesse contenute nei salmi. Spesso infatti sono intessuti di oracoli o espressioni del tipo “dice il Signore” (es. sal 11,6: “Per l’oppressione dei miseri e il gemito dei poveri, io sorgerò - dice il Signore - metterò in salvo chi è disprezzato"; 46,11: “Fermatevi e sappiate che io sono Dio, eccelso tra le genti, eccelso sulla terra.”; 87,4.6; 85,9: “Ascolterò che cosa dice Dio, il Signore: egli annunzia la pace per il suo popolo, per i suoi fedeli, per chi ritorna a lui con tutto il cuore.”; ecc…) in cui Dio parla in un discorso diretto in prima persona: “Io sorgerò…” oppure “Ascolta popolo …” Come disse Origene, padre della Chiesa egiziano del III secolo, nella salmodia è Cristo stesso che prega il Cristo, come avvenne nel momento della sua morte. Noi preghiamo ma anche lui prega Dio in noi. In questo modo il nostro piccolo “io” è trascinato lontano e fuori di sé, dei limiti angusti e chiusi dell’individualità per divenire parte di un popolo, la Chiesa. Impariamo a imprecare assieme agli empi: “Dio non esiste!”, a gemere con gli oppressi, a temere con i moribondi, siamo re e sacerdoti, profeti e peccatori, sapienti e folli. Con i salmi siamo chiamati ad identificarci con colui che parla, per assumercene la preghiera, come in un coro polifonico di lode e supplica. Ad esempio il salmo 4 con i suoi otto versetti cambia continuamente prospettiva. Alla fine non resta che farci conquistare e uscire da noi stessi, come il salmo chiede.

“Quando ti invoco, rispondimi, Dio mia giustizia, dalle angosce mi hai liberato; pietà di me, ascolta la mia preghiera”, è la mia supplica rivolta a Dio basata su una esperienza in cui egli mi ha liberato, “fino a quando, o uomini, sarete duri di cuore? Perché amate cose vane e cercate la menzogna? Sappiate che il Signore fa prodigi per il suo fedele: il Signore mi ascolta quando lo invoco” cambia soggetto all’improvviso e ci interpella come figli di uomini, non ci sono più solo io, “Tremate e non peccate, sul vostro giaciglio riflettete e placatevi, offrite sacrifici di giustizia e confidate nel Signore” la voce continua a interpellarci. “Molti dicono: chi ci farà vedere il bene?” Interviene un’altra voce, e si interroga a nome di un noi collettivo in cui anche io sono coinvolto. La domanda dei molti è anche la mia “risplenda su di noi, Signore, la luce del tuo volto.” Di nuovo mi rivolgo personalmente a Dio, come all’inizio. “Ti benedica il Signore e ti protegga! Il Signore faccia brillare il suo volto su di te e ti sia propizio! Il Signore rivolga su di te il suo volto e ti conceda pace.” Di nuovo si invoca Dio per un altro tu “Hai messo più gioia nel mio cuore di quando abbondano vino e frumento. In pace mi corico e subito mi addormento: perché tu solo Signore mi fai dimorare nella fiducia.” In fine sono io che parlo personalmente con Dio. Il movimento è circolare e quello che è chiesto all’inizio è ottenuto alla fine e da origine alla lode.

Usare parole non nostre per pregare all’inizio può sembrare strano: non sono le mie, come possono esprimere il mio vissuto! Eppure fare proprie le parole del salmista vuol dire ampliare lo spazio interiore per ospitare molta più vita: non più solo la mia, ma quella di tanti, di tutto il mondo. Si ritrova il proprio posto a partire dagli altri e insieme agli altri si riceve la risposta di Dio assieme alla nostra invocazione.



I salmi, preghiera per trovare la pace del cuore

Settantatre dei 150 salmi sono attribuiti dalla tradizione al re Davide.

Questo personaggio è quindi centrale per capire la preghiera dei salmi. La vicenda di Davide ci è narrata nei libri di 1 e 2 Samuele. E’ una storia particolarmente complessa e travagliata. Il suo era un mondo difficile, attraversato da continue lotte del popolo di Israele con i popoli vicini, specialmente i Filistei, a cui apparteneva il gigante Golia, ma anche all’interno dello stesso popolo d’Israele. Proprio per questo è significativo come tutta l’intricata vicenda di Davide sia racchiusa, nel racconto dei due libri di Samuele, da due passi, gli unici dei due libri in cui si fa cenno all’attività poetica di Davide. Sono i due passi:

1Sam 16, 21-23: “Davide giunse da Saul e cominciò a stare alla sua presenza. Saul gli si affezionò molto e Davide divenne suo scudiero. E Saul mandò a dire a Iesse: "Rimanga Davide con me, perchè ha trovato grazia ai miei occhi". Quando dunque lo spirito sovrumano investiva Saul, Davide prendeva in mano la cetra e suonava: Saul si calmava e si sentiva meglio e lo spirito cattivo si ritirava da lui”

2Sam 23, 1-7: “Queste sono le ultime parole di Davide:"…

Lo spirito del Signore parla in me,

la sua parola è sulla mia lingua; il Dio di Giacobbe ha parlato,

la rupe d’Israele mi ha detto:

Chi governa gli uomini ed è giusto,

chi governa con timore di Dio, è come la luce del mattino

al sorgere del sole,

in un mattino senza nubi,

che fa scintillare dopo la pioggia

i germogli della terra. Così è stabile la mia casa davanti a Dio,

perché ha stabilito con me un’alleanza eterna,

in tutto regolata e garantita.

Non farà dunque germogliare

quanto mi salva

e quanto mi diletta? Ma gli scellerati sono come spine,

che si buttano via a fasci

e non si prendono con la mano; chi le tocca usa un ferro o un’asta di lancia

e si bruciano al completo col fuoco".

All’inizio e al termine della vita di David sta il suo canto, espressione dello Spirito di Dio (…Lo spirito del Signore parla in me,la sua parola è sulla mia lingua…) e proprio per questo ha il potere di placare ogni spirito malvagio e riportare la calma nei cuori (Davide prendeva in mano la cetra e suonava: Saul si calmava e si sentiva meglio e lo spirito cattivo si ritirava da lui). E’ quello che avviene anche a noi, se facciamo nostre le parole dei salmi di Davide: lo Spirito di Dio che risuona in essi, Parola di Dio, entra nelle nostre labbra e nel cuore, pacificandolo dal di dentro.

L’esempio di Saul ci spinge a prendere in mano il libro dei salmi con uno spirito diverso. Il Salterio ci apre un mondo sconosciuto che va amato ed esplorato con pazienza. La preghiera infatti, dicevamo già, è anche fatica. Come procedere? Un suggerimento pratico potrebbe essere questo: i salmi sono 150 e le settimane in un anno circa 50. Un salmo a settimana potrebbe essere la lettura e la meditazione che ci accompagna nell’arco di tre anni alla scoperta dei tesori racchiusi nel Salterio. Ci accosteremo alla Scrittura e alla preghiera allo stesso tempo. Leggere un salmo, ricordarlo durante i sette giorni, cercare di viverlo quotidianamente e farne parola per la nostra preghiera può essere un modo concreto per far entrare nella nostra vita un po’ più dei sentimenti e delle parole di Dio e scegliere decisamente, come dice il salmo 1, la via santa della gioia evangelica.





[1] S. Chialà, L. Cremaschi (a cura di), Detti editi e inediti, Magnano 2002, p. 160.

[2] Giovanni Climaco, Scala Paradisi, Torino 1941, vol. II, p. 290.

[3] S. Chialà, L. Cremaschi, op. cit., p. 161.

[4] Isacco di Ninive, Discorsi ascetici, Roma 1984, p. 144.

[5] D. Bonhoeffer, Pregare i salmi con Cristo, Brescia 1078, pp. 33-34.

[6] B. Stendaert, Come si fa a pregare? Alla scuola dei salmi con parole e oltre ogni parola, Milano 2002, p. 11

[7] Cfr. S. Bovo, “La preghiera del popolo di Dio nell’Antico Testamento”, in C. Vagaggini (a cura di), La preghiera nella Bibbia e nella tradizione patristica e monastica, Milano 1988, pp. 90-ss.

[8] D. Bonhoeffer, cit. p. 66.

[9] Atanasio, Epistula ad Marcellinum.

[10] Cfr. P. Beauchamp, salmi giorno e notte, Assisi 1983.

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