lunedì 26 aprile 2010

La carità vissuta a Santa Croce

L’esercizio della carità nella vita
della parrocchia di Santa Croce


Introduzione

La Parrocchia di Santa Croce è andata negli ultimi anni sempre più caratterizzandosi come luogo di accoglienza e amicizia con i poveri che in modi diversi vengono a contatto con i suoi fedeli.

La sua collocazione al centro ha favorito il fatto che molte persone con difficoltà si rivolgessero ad essa, ma, col tempo, una nuova sensibilità e un più spiccato amore per i poveri maturato da molti parrocchiani ha fatto sì che altrettante fossero le persone aiutate che non sono residenti in parrocchia né gravitanti nel centro storico di Terni dove si trova Santa Croce. Attraverso questo esercizio della carità “allargato” a tutta la città abbiamo cercato di rifuggire la tentazione del ripiegamento su di sé in una dimensione localista e chiusa. La parrocchia infatti crediamo sia chiamata per vocazione all’apertura ad una dimensione cittadina, come anche la CEI nella sua nota pastorale dedicata al tema sottolineava: “la parrocchia infatti non è mai una realtà a sé, ed è impossibile pensarla se non nella comunione della Chiesa particolare.” (Conferenza Episcopale Italiana, Il volto missionario delle Parrocchie in un mondo che cambia. Nota Pastorale, 30 maggio 2004, n. 3.) Proprio lo sbilanciamento verso i più deboli ci ha aiutato a evitare di “fare della parrocchia una comunità “autoreferenziale”, in cui ci si accontenta di trovarsi bene insieme, coltivando rapporti ravvicinati e rassicuranti.” (Ivi, n.4)

L’accoglienza ai poveri a Santa Croce non è considerato un impegno di alcuni o il compito di un’organizzazione specializzata (la Caritas, la S. Vincenzo, o altro), ma uno spirito con cui vivere la fede. In questo senso ogni campo di impegno parrocchiale (liturgico, formativo, di annuncio del Vangelo, amministrativo) è permeato da una attenzione speciale ai poveri che sono col tempo divenuti non più degli “estranei” o gli “assistiti” ma parte integrante della comunità parrocchiale. In essi riconosciamo le membra più fragili di quel corpo che S. Paolo ci insegna a scorgere nella famiglia dei credenti di cui Cristo è il capo (cfr. 1Cor 12). Nostra ambizione è giungere a vivere nell’amicizia con i poveri quello che afferma l’Apostolo: “Quelle membra del corpo che sembrano più deboli sono più necessarie” (1Cor 12,22). A queste membra deboli della nostra comunità ci onoriamo di essere strettamente legati come ad un unico organismo vivente e sono cuore e centro delle preoccupazioni di tutti noi.

Quando pensiamo alla nostra comunità parrocchiale non possiamo non includervi i tanti che vengono il mercoledì a ricevere aiuto, o gli ospiti della casa di accoglienza, o i tanti che sono passati per S. Croce ed ora sono tornati nei loro paesi in tutto il mondo, o i poveri lontani che abbiamo aiutato attraverso raccolte speciali ecc… Molti di loro non sono cristiani, ma sentiamo ugualmente tutti legati a noi dal vincolo evangelico che Gesù attestò dicendo: “Perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro” (Mt 18,20). Nel nome di Cristo li abbiamo incontrati e nel suo nome continuiamo a sentirli parte della nostra famiglia. Non ci verrebbe mai in mente di circoscrivere la nostra comunità solo a quelli che vengono a messa, o a quelli che frequentano gli incontri o il catechismo. I vincoli di amore che ci legano a tanti poveri vicini e lontani ci aiutano a sperimentare concretamente quell’universalità cattolica che la Chiesa fin nel suo nome ha voluto sottolineare.

Questo ha significato una radicale revisione dell’azione pastorale nelle sue varie espressioni che ha prodotto frutti inaspettati di conversione dei cuori e di impegno nella vita comunitaria. Infatti mettere al centro della vita cristiana l’amore per i poveri ha permesso di avvicinare tanti ad un Vangelo vissuto, dal sapore non scontato o intellettualistico, di purificare la religiosità da tante forme esteriori di devozionismo, di rendere la Parola di Dio più immediatamente comprensibile e concretamente vivibile per giovani e adulti prima lontani dalla Chiesa.

Nel nostro sforzo di trovare nell’amore per i poveri le radici più pure ed evangeliche della nostra fede abbiamo sentito innanzitutto l’esigenza di rafforzare il legame con la Parola di Dio, che è stata nostra maestra nel cercare di realizzare quello che dice Giacomo: “Religione pura e senza macchia davanti a Dio nostro Padre è questa: soccorrere gli orfani e le vedove nelle loro afflizioni e conservarsi puri da questo mondo” (Gc 1,27). Altrettanto indispensabile è stato radicarci sempre più in una profonda vita liturgica, come invita a fare l’Esortazione Apostolica Sacramentum Caritatis, che al n. 90 afferma l’inscindibile connessione fra vita eucaristica ed amore per i poveri. (Benedetto XVI, Esortazione Apostolica Postsinodale Sacramentum Caritatis, n. 90: “Il cibo della verità e l'indigenza dell'uomo: … Il cibo della verità ci spinge a denunciare le situazioni indegne dell'uomo, in cui si muore per mancanza di cibo a causa dell'ingiustizia e dello sfruttamento, e ci dona nuova forza e coraggio per lavorare senza sosta all'edificazione della civiltà dell'amore. Dall'inizio i cristiani si sono preoccupati di condividere i loro beni (cfr At 4,32) e di aiutare i poveri (cfr Rm 15,26). L'elemosina che si raccoglie nelle assemblee liturgiche ne è un vivo ricordo, ma è anche una necessità assai attuale. Le istituzioni ecclesiali di beneficenza, in particolare la Caritas a vari livelli, svolgono il prezioso servizio di aiutare le persone in necessità, soprattutto i più poveri. Traendo ispirazione dall'Eucaristia, che è il sacramento della carità, esse ne divengono l'espressione concreta; meritano perciò ogni plauso ed incoraggiamento per il loro impegno solidale nel mondo)

Certamente il cammino da compiere è ancora molto lungo, ma già possiamo gustare i primi frutti dei nostri sforzi che ci incoraggiano a continuare l’itinerario intrapreso. Ci conforta l’antica tradizione della Chiesa che fin dai tempi apostolici ha legato l’annuncio del Vangelo con l’esercizio umile e costante della diaconia (cfr. At 6,1-6), e la riflessione dei Padri che hanno autorevolmente raccomandato la centralità dell’amore per i poveri nella vita di fede, come, fra i tanti, esorta a fare il Nazianzeno : “Credi che l’amore del prossimo non sia per te obbligatorio, ma libero? Che non sia una legge, ma un consiglio? Anch’io ne ero convinto: ma mi atterrisce la mano sinistra (del Giudice divino), i capretti, i rimproveri di lui assiso in trono (cfr. Mt 25). E quelli che vengono giudicati sono posti alla sinistra, non perché abbiano rapinato, commesso furti sacrileghi o adultèri, o abbiano perpetrato qualche altra azione malvagia, ma perché non hanno avuto cura di Cristo nei bisognosi. Perciò, se mi volete ascoltare, o fratelli, fino a quando abbiamo tempo, visitiamo Cristo, curiamo Cristo, nutriamo Cristo, vestiamo Cristo, ospitiamo Cristo, onoriamo Cristo: … Ma poiché il Signore di tutti vuole misericordia e non sacrificio … mostriamola a lui nei bisognosi che oggi giacciono a terra prostrati affinché, quando ce ne andremo di qui, Egli ci accolga nelle dimore eterne.” (Gregorio di Nazianzo, L’amore per i poveri, XXXVI, 39-40.)


Carità e Liturgia Eucaristica

Il legame stretto fra amore per i poveri e azione liturgica ci è stato ben messo in evidenza dalla prima Lettera Pastorale del nostro Vescovo sulla Messa domenicale, che ci richiamava le parole di Giovanni Crisostomo a commento del Vangelo di Matteo: “Vuoi onorare il corpo di Cristo? Ebbene, non tollerare che egli sia nudo; dopo averlo ornato qui in chiesa con stoffe di seta non permettere che fuori egli muoia di freddo per la nudità.” (Giovanni Crisostomo, Commento a Matteo, L, 2-ss. : “Vuoi onorare il corpo di Cristo? Ebbene, non tollerare che egli sia ignudo; dopo averlo ornato qui in chiesa con stoffe di seta non permettere che fuori egli muoia di freddo per la nudità. Colui che ha detto «questo è il mio corpo» (Mt 26,26), confermando con la sua parola l’atto che faceva, ha detto anche: «Mi avete visto soffrire la fame e non mi avete dato da mangiare» e quanto non avete fatto a uno dei più piccoli tra questi, neppure a me l’avete fatto (Mt 25,42-45). Il corpo di Cristo che sta sull’altare non ha bisogno di mantelli, ma di anime pure; mentre quello che sta fuori ha bisogno di molta cura. Impariamo quindi a pensare e a comportarci degnamente verso così grandi misteri e a onorare Cristo come egli vuol essere onorato. Il culto piú gradito che possiamo rendere a colui che vogliamo venerare è quello che egli stesso vuole, non quello che pensiamo noi. Anche Pietro credeva di onorare Gesù, impedendogli che gli lavasse i piedi (cf. Gv 13,8), ma ciò non era onore, bensì il contrario. Così anche voi onoratelo nella maniera che egli stesso ha comandato, impiegando cioè le vostre ricchezze a favore dei poveri. Dio non ha bisogno di vasi d’oro, ma di anime d’oro”.)
Nel tentativo di vivere concretamente questa indicazione ci siamo sforzati non solo di rendere la nostra celebrazione domenicale accogliente per chi è povero, aiutando ad esempio gli anziani o i disabili a parteciparvi con un loro ruolo attivo, ma a farne luogo eloquente per tutti dell’amore privilegiato del Signore per i più poveri che, nel sacrificio della croce rinnovato sull’altare, ne ha assunto i tratti stessi. La partecipazione di diversi poveri alla nostra messa domenicale ci ha fatto sperimentare la forza trasfiguratrice della liturgia che rende reale in mezzo a noi la presenza di “colui che ha fatto dei due un popolo solo, abbattendo il muro di separazione che era frammezzo, cioè l’inimicizia” (Ef 2,14). A Messa infatti il popolo dei poveri e quello dei ricchi, che nella vita ordinaria della città è diviso da barriere di diffidenza e muri di estraneità, è trasfigurato nell’unica famiglia dei mendicanti dell’amore di Cristo, come amava dire don Luigi Giussani. (Cfr. a questo proposito l’intervento di Mons. Giussani alla veglia di Pentecoste con i Movimenti e le Comunità indetto da Giovanni Paolo II nel 1998, riassunte nella frase: “il vero protagonista della storia è il mendicante, Cristo mendicante del cuore dell’uomo e il cuore dell’uomo mendicante di Cristo.”)

La liturgia della Parola e quella Eucaristica ci chiedono di vivere le due realtà che esse significano (la presenza reale di Cristo nella sua Parola e quella nel suo Corpo) coniugandole con il “sacramento del povero”, di cui il nostro Vescovo e Jean Vanier spesso hanno parlato (Cfr. http://www.gmg2005.it/gmg2005/download/mat/lamorfa/Colonialive/catechesi/Paglia19.doc, discorso di Mons. Paglia ai giovani della GMG di Colonia, e J. Vanier, Alla sorgente delle lacrime, Milano 2003 : “Dio è presente nella sua parola, nella sua eucaristia, nel sacramento del perdono e nel sacramento del povero. È presente nella mia personale povertà, nella mia fragilità e nelle mie ferite. È nascosto, ma è qui presente), terza forma nella quale il Signore continua a farsi presente concretamente e realmente in mezzo a noi. In tal senso la carità vissuta dai fedeli diviene prolungamento dell’azione liturgica che viene così a vivificare tutta la nostra settimana. In questo modo cerchiamo di incarnare l’universalità dell’amore del Signore che il beato Giovanni XXIII voleva significare quando affermava: “la Chiesa che è e vuole essere di tutti, e particolarmente la Chiesa dei poveri" non per escludere i ricchi, come un’errata interpretazione di queste parole ha talvolta voluto forzare, ma anzi, per sottolineare l’universalità cattolica: il fatto che essa accolga nel suo seno e metta al centro i poveri è garanzia che nessuno è escluso, nemmeno quelli che nel mondo non contano niente e che sarebbe “naturale” che restassero ai margini, e ciò tanto più nella Liturgia domenicale, vera “icona” della Chiesa.

D’altronde fin dall’antichità la Liturgia della domenica ha avuto nel suo cuore la preoccupazione per gli ultimi, basti pensare alla colletta per i poveri, che purtroppo una prassi banalizzante ha reso la raccolta per le spese della parrocchia o, peggio, per il mantenimento del prete. Benedetto XVI sottolinea la significatività di questo gesto: “Fin dall'inizio i cristiani si sono preoccupati di condividere i loro beni (cfr. At 4,32) e di aiutare i poveri (cfr. Rm 15,26). L'elemosina che si raccoglie nelle assemblee liturgiche ne è un vivo ricordo, ma è anche una necessità assai attuale” (Sacramentum Caritatis, n. 90.) già presentato da Giustino nella sua I Apologia come uno dei segni dell’amore cristiano, strettamente connesso con la partecipazione al banchetto eucaristico. (Giustino, I Apologia, LXVII, 3: “Si fa quindi la spartizione e la distribuzione a ciascuno degli alimenti consacrati, e attraverso i diaconi se ne manda agli assenti. I facoltosi, e quelli che lo desiderano, danno liberamente ciascuno quello che vuole, e ciò che si raccoglie viene depositato presso il preposto. Questi soccorre gli orfani, le vedove, e chi è indigente per malattia o per qualche altra causa, e i carcerati e gli stranieri che si trovano presso di noi: insomma, si prende cura di chiunque sia nel bisogno.”)
Per questo abbiamo cercato di restituire alla raccolta delle offerte durante la Messa domenicale questo significato, dedicando esplicitamente ogni colletta effettuata ad un’opera di carità da realizzare. E’ stupefacente come questo ha significato moltiplicare le risorse economiche su cui la parrocchia può contare oggi per aiutare i più bisognosi, dando inoltre a molte persone la possibilità di partecipare concretamente ad un rinnovato spirito di carità. A partire da questo infatti oggi diversi sono coloro che sostengono regolarmente con donazioni mensili alcune opere di carità della parrocchia, “adottando” una situazione di bisogno a cui si legano così in modo più intimo.

Un ultimo segno di questo legame vivo fra la mensa eucaristica e la mensa dei poveri è il pranzo che tutte le domeniche, subito dopo la messa, il parroco offre e presiede, assieme a qualche parrocchiano, e che accoglie ogni settimana una quindicina di poveri (immigrati stranieri, senza casa, tossicodipendenti, ex-detenuti usciti per l’indulto, ecc…). Questo pranzo ci ricorda quello che faceva un illustre vescovo di Roma, Gregorio Magno, assieme ad un gruppo dei più bisognosi della città, di cui è rimasta memoria nell’oratorio del Triclinium Pauperum (mensa dei poveri) del colle Celio, a Roma. (Nel Complesso di S. Gregorio al Celio è conservata la tavola marmorea su cui Gregorio Magno mangiava insieme ai poveri e su cui sono incise le parole: “BISSENOS HIC GREGORIUS PASCEBAT EGENTES ANGELUS ET DECIMO TERTIUS ACCUBUIT” (Qui Gregorio offriva da mangiare a dodici poveri ed un angelo si sedette come tredicesimo) a memoria dell’episodio narrato. Attualmente la tavola è altare su cui si celebra l’eucaristia, a significare il legame fra mensa eucaristica e mensa della carità. Nello stesso oratorio un affresco di A. Viviani raffigura l’episodio.)
Un giorno accadde che nel servire i commensali Gregorio vide un angelo seduto fra loro. E’ un po’ anche la nostra esperienza: la partecipazione al banchetto eucaristico ci apre gli occhi a riconoscere nel commensale povero il messaggero del Signore e nel suo bisogno la richiesta di Cristo di non lasciarlo solo nel dolore (cfr. Mt 26,38).

Il fatto che il parroco viva concretamente ogni domenica il legame tra il ministero di presiedere l’eucaristia e quello di servire alla mensa della carità fa sì che resti saldamente ancorato nella vocazione di servizio che caratterizza il presbiterato. Al giorno d’oggi è alto il rischio di vivere il ruolo di parroco con atteggiamento manageriale o solitudinario, quando addirittura non professionale. Siamo grati al Signore del fatto che invece esso a Santa Croce sia esercitato saldamente ancorato ad una prassi di servizio e di amore per i poveri, vissuto personalmente dal sacerdote e non delegato ai laici, come anche consigliava Giovanni Paolo II parlando dei presbiteri: “il presbitero dev’essere, nel rapporto con tutti gli uomini, … radicato nella carità di Cristo, … egli è chiamato a intessere rapporti di fraternità, di servizio, di comune ricerca della verità, di promozione della giustizia e della pace, con tutti gli uomini. … in special modo con i poveri e i più deboli.” (Giovanni Paolo II, Esortazione Apostolica Postsinodale Pastores Dabo Vobis, n. 18.) E più oltre: “I sacerdoti, sull'esempio di Cristo che da ricco come era si è fatto povero per nostro amore, devono considerare i poveri e i più deboli come loro affidati in maniera speciale.” (Ivi, n. 30.)


La comunicazione del Vangelo e la catechesi

Come è noto la comunicazione del Vangelo è il compito primario di ogni cristiano, esplicitamente affidatogli dal Signore: “Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato” (Mt 28,19-20). Tanto più in questo tempo in cui, come nei giorni di Samuele, la parola del Signore è rara e le visioni non sono frequenti. (cfr. 1Sam 3,1), è urgente che si trovino i modi per comunicare la buona notizia del Signore fattosi uomo per salvarci.

Anche in questo delicato compito l’amicizia con i poveri sostiene e rafforza lo sforzo della parrocchia di Santa Croce. Innanzitutto perché non è credibile un annuncio solo verbale della Parola di Dio se esso non è accompagnato dai segni visibili che essa è vissuta da chi la comunica. L’amore per i poveri è il primo e forse il più evidente segno che veramente il Vangelo è Parola efficace e potente, che cambia i cuori e la realtà in cui essa è presa sul serio e incarnata. Il Signore stesso quando volle indicare i segni eloquenti dell’inizio di un nuovo tempo di salvezza a chi lo interrogava mostrò la guarigione dei malati e la consolazione degli afflitti: “Andate e riferite a Giovanni ciò che avete visto e udito: i ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi vengono sanati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunziata la buona novella” (Lc 7,22).

La carità vissuta suscita interrogativi, ma allo stesso tempo offre la risposta a molte domande sul senso della vita che l’uomo e la donna di oggi non sa dove trovare, perché contiene la forza del messaggio di un Signore che fino alla fine non visse per salvare se stesso, ma gli altri (cfr. Lc 23,37). La testimonianza dell’amore per chi non ha niente da dare in cambio, come i poveri, è credenziale di fede genuina che rende autorevole chi lo vive. Inoltre ogni volta che un povero è aiutato, consolato e amato è un annuncio pasquale che risuona, è il segno visibile di un amore più forte della morte che la resurrezione di Cristo ha reso possibile, mentre nessun calcolo umano può giustificare.

Per vivere tutto ciò è stato necessario vigilare perché la carità non venisse professionalizzata e burocraticizzata, come spesso siamo stati tentati di fare. Abbiamo corso il rischio che l’attenzione si spostasse dal povero che incontravamo all’organizzazione, all’efficienza, quando addirittura non si giungeva a giustificare con motivazioni apparentemente ragionevoli la diffidenza e il timore di essere imbrogliati dai cosiddetti “falsi poveri”. Tutto ciò lo abbiamo potuto superare solo restando saldamente ancorati sulla roccia del Vangelo che ci ha salvati dalle sabbie instabili della sociologia o della psicologia che purtroppo vediamo imperare nella cultura attorno a noi quando si parla di poveri.

In pratica questo ha significato vivere la tensione della comunicazione del Vangelo a tutti mai disgiunta dalla proposta di sperimentare concretamente la forza del suo messaggio di amore. Ad esempio ogni mese ci rechiamo davanti ad un supermercato per raccogliere alimenti che poi vengono distribuiti ai poveri il mercoledì in parrocchia. E’ un’occasione preziosa per offrire la nostra testimonianza in un incontro personale, nel quale l’amore per i poveri è il contenuto ma anche il linguaggio immediato e universale con cui comunicare il Vangelo. Il frutto concreto è stato la nascita di una vasta rete di collaboratori che incontrando i poveri attraverso di noi hanno riaperto un dialogo sul senso della vita spesso interrottosi da anni o mai seriamente iniziato. Questo ci ha richiesto disponibilità, pazienza, capacità di ascolto, tutte doti che proprio la consuetudine con i poveri ci ha aiutato ad affinare, ma anche l’audacia di essere “pronti sempre a rispondere a chiunque ci domandi ragione della speranza che è in noi” (cfr. 1Pt 3,15), con la parresia che il libro degli Atti ci descrive nei cristiani della prima comunità (cfr. At 4,31). Altrettanto si può dire di tutte le occasioni di incontro che cerchiamo di realizzare sulle strade di Terni in cui la raccolta di aiuti per i poveri (siano esse pesche di beneficenza o mercatini di giocattoli usati, raccolte di indumenti, ecc…) si trasformano in altrettante occasioni di testimoniare e comunicare il Vangelo della carità a persone che altrimenti difficilmente si farebbero toccare da una domanda esistenziale.

C’è poi da sottolineare come incontrare i poveri comunichi il Vangelo di per sé, al di là delle nostre capacità. Se infatti crediamo che in essi si trova la presenza reale di Cristo (come afferma il Signore stesso nel giudizio finale di Mt 25) non dobbiamo stupirci come chi si accosta loro con cuore aperto scopra la dolcezza della compagnia del Signore, come Francesco d’Assisi provò incontrando il lebbroso, esperienza che descrisse con le parole: “quel che mi pareva amaro mi fu cambiato in dolcezza d’animo e di corpo”. (Francesco d’Assisi, Testamento, Fonti Francescane 110.)

Altro esempio di come l’amicizia con i poveri possa rendere più incisivo lo sforzo di comunicazione del Vangelo è la catechesi dei bambini e dei ragazzi. Ad essi sentiamo la responsabilità di comunicare non tanto e non solo un complesso di nozioni “religiose” ma la fede in Gesù, cioè un vissuto di forte spessore esistenziale che faccia sperimentare loro la vera felicità. Dopo averla provata, difficilmente ci si potrà accontentare in futuro dei tanti surrogati che il mondo può offrire. Per vivere la vera gioia non è possibile prescindere dall’incontro personale con i poveri, come ci insegna l’Apostolo: “In tutte le maniere vi ho dimostrato che lavorando così si devono soccorrere i deboli, ricordandoci delle parole del Signore Gesù, che disse: Vi è più gioia nel dare che nel ricevere!” (At 20,35). Questo ha significato accompagnare la crescita nella fede dei nostri bambini e ragazzi, anche di quelli che si preparano a ricevere i sacramenti dell’iniziazione cristiana, con esperienze concrete di aiuto ai poveri, in forme adatte alla loro età, ma non per questo banali o depotenziate della loro forza evaneglizzatrice dirompente, come Giovanni Paolo II diceva ai giovani nella GMG nel 2004: “Cari amici, se imparerete a scoprire Gesù nell’Eucarestia, lo saprete scoprire anche nei vostri fratelli e sorelle, in particolare nei più poveri. L’Eucarestia ricevuta con amore e adorata con fervore diventa scuola di libertà e di carità per realizzare il comandamento dell’amore”. (Messaggio del Santo Padre Giovanni Paolo II per la XIX Giornata Mondiale della Gioventù (4 aprile 2004), n. 5.)
Con i ragazzi nel 2005-2006 ad esempio si è incontrata la realtà dei bambini soldato, loro coetanei più sfortunati, attraverso le immagini di alcuni video e la raccolta di dati e storie delle loro vite. Il confronto con sé li ha aiutati innanzitutto ad apprezzare il tesoro della pace di cui Dio ci fa dono e il debito che ciascuno di noi ha nei confronti di chi sta peggio. Tutto ciò ha portato alla decisione di farsi portavoce dei bambini soldato del mondo, andando per le strade di Terni, nelle scuole e ovunque per parlare con tanta gente e chiedere loro di prendere posizione sul tema firmando una petizione al Governo italiano per limitare il commercio di armi con i paesi in cui combattono minori. Circa 3000 persone, di tutte le età, sono state incontrate e hanno firmato la petizione, facendo vivere ai nostri più giovani l’esperienza concreta di rendere ragione della speranza che è in loro, maturando il desiderio e la capacità di non tenere solo per sé il sogno di un futuro migliore per chi non ha nessuno.
L’attività ha visto una sua presentazione pubblica nel convegno “Immagina un mondo senza bambini soldato” svoltosi nel giugno 2005 nella sala Rossa del palazzo Gazzoli, alla presenza di un centinaio di operatori della scuola, genitori, educatori, catechisti, rappresentanti dell’associazionismo cattolico e laico, ai quali i ragazzi stessi hanno presentato il loro lavoro, anche per mezzo di due video appositamente realizzati. Questo lavoro è stato accompagnato da una riflessione che ha fatto loro scoprire la grande forza d’amore che ci da il Vangelo, rendendo anche uno sparuto gruppo di ragazzini capace di far sentire forte la propria voce. La preghiera insistente, ogni domenica, ha accompagnato il lavoro, tanto che le trattative di pace che nell’estate 2006 hanno segnato la fine in Uganda dei combattimenti per migliaia di ragazzi sono state l’occasione per riconoscere la forza della preghiera e dell’amore che riesce a cambiare la realtà nonostante le distanze e l’apparente impossibilità di fare nulla. Con orgoglio i nostri più giovani hanno constatato come le loro invocazioni erano state ascoltate da Dio e che nulla di quello che avevano fatto per i loro amici era andato perduto.

Nel periodo del Natale 2005 e 2006, sempre con i più piccoli della parrocchia, sono stati organizzati due mercati di giocattoli usati, raccolti fra i compagni delle loro scuole e rivenduti a Corso Tacito e Corso Vecchio. Sono stati coinvolti nell’iniziativa circa 400 bambini di 5 diversi Circoli Didattici e il ricavato delle vendite hanno finanziato nel 2004 una casa famiglia per ragazzi di strada di Kiev e un progetto della Diocesi per le vittime dello tsunami, mentre nel 2005 ha pagato lo studio e le cure mediche di alcuni bambini soldato di Gulu, in Uganda.

Dal 2006 gli adolescenti si sono impegnati nell’incontrare ed aiutare le persone che vivono per strada. Due volte a settimana si recano a trovarli la sera, portando loro cibo, coperte e bevande calde in inverno. La scoperta di un mondo tanto duro appena dietro l’angolo di casa ha posto loro la domanda essenziale e personale della forza del male e della necessità di decidere da che parte stare. La nascita di una amicizia con persone così diverse da loro, zingari, ex detenuti, senza casa, immigrati, li ha messi davanti al buio dei tanti crocifissi piantati nel mondo, ma allo stesso tempo anche alla forza del seme di amore che la Resurrezione pianta nei nostri cuori. Incontrare i poveri ha insegnato loro che essere cristiani vuol dire avere più domande aperte che risposte certe e che nel mantenere un cuore vulnerabile e disponibile alle domande dei poveri sta la possibilità di far passare persino un cammello per la cruna dell’ago di chi, come loro, ha avuto la fortuna di nascere ricco. (Cfr. il Messaggio del Santo Padre Giovanni Paolo II per la XIV Giornata Mondiale della Gioventù (6 gennaio 1999) n. 6: “Cari giovani, invito voi, in modo particolare, a prendere iniziative concrete di solidarietà e di condivisione accanto e con i più poveri. Prendete parte con generosità a qualcuno dei progetti che nei diversi paesi vedono impegnati altri vostri coetanei in gesti di fraternità e solidarietà: sarà un modo di “restituire” al Signore nella persona dei poveri almeno qualcosa di tutto ciò che Egli ha dato a voi, più fortunati. E potrà essere anche l’espressione immediatamente visibile di una scelta di fondo: quella di orientare decisamente la vita verso Dio ed i fratelli.)

Sono alcuni esempi di come la trasmissione della fede alle generazioni più giovani debba e possa essere qualcosa di più di una semplice copia dei modelli educativi scolastici, fatto di lezioni teoriche, voti ed esami per diventare invece un cammino fatto di preghiera, amicizia con adulti che li prendono sul serio, partecipazione alla liturgia domenicale, lavoro per gli altri, comunicazione di un desiderio di bene, apertura al mondo, condivisione di gioie e dolori con chi non ha avuto tutti i loro privilegi.

Davanti a tanti profeti di sventura che vedono nel mondo dei giovani un “problema” e una “crisi”, proprio l’amore per i più deboli e la ricerca di alleati nell’aiutali ci ha permesso di far nostra la visione piena di speranza e fiducia che il papa Paolo VI testimoniò nel Messaggio con il quale idealmente consegnò ai giovani l’eredità del Concilio Vaticano II: “Siete voi che, raccogliendo il meglio dell'esempio e dell'insegnamento dei vostri genitori e dei vostri maestri, formerete la società di domani: voi vi salverete o perirete con essa… [La Chiesa] ha fiducia che voi troverete una tale forza ed una tale gioia che voi non sarete tentati … di cedere alla seduzione di filosofie dell'egoismo e del piacere, o a quelle della disperazione e del nichilismo; e che di fronte all'ateismo, fenomeno di stanchezza e di vecchiaia, voi saprete affermare la vostra fede nella vita e in quanto dà un senso alla vita: la certezza della esistenza di un Dio giusto e buono…È a nome di questo Dio e del suo Figlio Gesù che noi vi esortiamo ad ampliare i vostri cuori secondo le dimensioni del mondo, ad intendere l'appello dei vostri fratelli, ed a mettere arditamente le vostre giovani energie al loro servizio. Lottate contro ogni egoismo. Rifiutate, di dar libero corso agli istinti della violenza e dell'odio, che generano le guerre e il loro triste corteo di miserie. Siate: generosi, puri, rispettosi, sinceri. E costruite nell'entusiasmo un mondo migliore di quello attuale!” (Paolo VI, Messaggio ai giovani, 7 dicembre 1965.)


L’amministrazione delle risorse economiche

L’impegno di carità ha richiesto innanzitutto la conversione dei nostri cuori e la sequela del Vangelo, ma questo non significa che siano state trascurati gli aspetti di una buona amministrazione delle risorse economiche ad esso destinate. Dedicarci a questo ulteriore impegno ci ha fatto scoprire molte inattese potenzialità che questo campo può riservare.

Chiedere infatti aiuti economici o beni e servizi a tanti è stato innanzitutto un modo per farci portavoce di quelli che non hanno voce e raggiungere molti che non avrebbero avuto alcun contatto con essi, come già evidenziavamo in precedenza parlando delle nostre raccolte di alimentari davanti ai supermercati. La testimonianza di un amore concreto ha suscitato nuove disponibilità di impegno e moltiplicato la generosità.

Nello sforzo di reperire risorse economiche abbiamo sempre tenuto a spiegare il perché delle nostre richieste, facendo sì che anche un semplice gesto di generosità divenisse un nuovo legame con il mondo dei poveri. Il valore dell’elemosina, troppo spesso ai giorni nostri ingiustamente disprezzata come una forma di carità meno nobile, è al contrario esaltata dalla Scrittura e dai Padri della Chiesa come un’occasione di rinnovamento spirituale e di conversione. (Oltre i ben noti passi del Vangelo, anche il Primo Testamento è ricco di riferimenti al valore dell’elemosina. Fra gli altri: Tb 4,11: “Per tutti quelli che la compiono, l`elemosina è un dono prezioso davanti all`Altissimo.”; Tb 12,9: “L`elemosina salva dalla morte e purifica da ogni peccato. Coloro che fanno l`elemosina godranno lunga vita”; Sir 29,8: “sii longanime con il misero, e non fargli attender troppo l`elemosina”; Dn 4,24: “sconta i tuoi peccati con l’elemosina e le tue iniquità con atti di misericordia verso gli afflitti, perché tu possa godere lunga prosperità”; ecc…)

A tale proposito Clemente di Alessandria dedica un intero trattato su questo tema dal titolo Quis dives salvetur? nel quale esalta il valore salvifico dell’elemosina. (Clemente di Alessandria nell’opera Quis dives salvertur? sostiene che “ogni sostanza che ciascuno trattiene per sé come fosse un bene privato e non mette in comune con chi si trova nel bisogno, diventa qualcosa di iniquo” (31). Il ricco inoltre non deve aspettare che il bisognoso bussi alla sua porta per condividere con lui i suoi beni, ma lo deve “cercare” (31): “se è necessario, percorri tutta la terra” (32). Il povero non è, per Clemente come per altri Padri, oggetto della nostra generosità, ma piuttosto soggetto di diritti lesi cui è urgente fare giustizia. L’impegno attivo di condivisione nasce infatti dal fatto che non è il povero “che ha ricevuto l’ordine di ricevere, bensì sei tu [il ricco] che hai avuto quello di dare” (32). Questa generosità inoltre non deve fare discriminazioni, ma a imitazione di quella di Dio va rivolta, distribuendo “senza lamentele, senza distinzioni, né reticenze” (31), a chiunque: “Non voler giudicare chi è degno e chi non lo è” (33). Così, al contrario, chi si sente padrone dei propri beni e li gestisce in modo non solidale, non può considerarsi cristiano. Anzi, secondo Clemente, il ricco che, fattosi cristiano, continua “a trattenere per se e a nascondere i beni di questo mondo” e li nega agli altri è “omicida: seme di Caino, discepolo del diavolo, non ha il cuore di Dio, non ha la speranza di cose più grandi; è sterile, è secco; non è un tralcio della vigna celeste che vive in eterno” (37.))
Con questa consapevolezza abbiamo moltiplicato le occasioni di suscitare generosità: durante le celebrazioni liturgiche, con raccolte e iniziative di beneficenza, con contatti personali, ecc… Siamo rimasti stupiti dei risultati incoraggianti e del senso di gratitudine in coloro che ci danno il loro aiuto.

Inoltre l’amore per i poveri sviluppa intelligenza e ci ha permesso di coinvolgere tanti a cooperare al bene in modi inconsueti. Ad esempio la decisione di distribuire pasti alle persone che vivono per strada ci ha spinto a chiedere aiuto a molti, ed oggi, diversi forni ci forniscono pane, pizza e dolci, alcuni venditori all’ingrosso ci danno frutta e verdure, mentre diversi parrocchiani hanno offerto disponibilità per cucinare settimanalmente i pasti da distribuire. La carità messa in moto ha suscitato una moltiplicazione del bene coinvolgendo tanti nella cura di chi ha bisogno.

Altrettanto abbiamo trovato operai, idraulici, muratori, disposti a offrire gratuitamente un po’ del loro lavoro per realizzare la casa dove sono ospitati i senza dimora. Di questo ringraziamo il Signore che ci ha spinti a non arrenderci davanti al muro dell’impossibile che in tante occasioni ci sembrava alzarsi davanti alla necessità di fare di più. Dove sembrava vincere il male si sono moltiplicate le forze di bene che hanno reso possibile ciò che appariva persino inutile tentare. E’ una esperienza frequente in questi nostri ultimi anni di lavoro che ci incoraggia e conferma la certezza dell’aiuto che il Signore non fa mancare a chi ripone in lui la sua fiducia, come esorta a fare Timoteo: “non riporre la speranza sull’incertezza delle ricchezze, ma in Dio, che tutto ci da con abbondanza perché ne possiamo godere” (1Tm 6,17).


Gli ambiti della carità

In conclusione vorremmo proporre l’elenco degli ambiti nei quali si esprime l’amore per i poveri dei fedeli della nostra parrocchia di Santa Croce, pur sapendo che la Parola di Dio annunciata e predicata tutte le domeniche suscita continuamente nuove forme di carità che sfuggono da ogni elenco e solo il Signore raccoglie, “perché nulla vada perduto” (Gv 6,12).

Ogni mercoledì il centro di accoglienza accoglie fra le 100 e le 120 persone alle quali viene offerto un aiuto alimentare e vestiario. Le persone che sono impegnate in vario modo nella gestione del centro sono 8. Gli alimentari distribuiti sono in parte forniti dal Banco Alimentare di Perugia, in parte frutto di raccolte organizzate di fronte ai supermercati dai volontari della parrocchia. Le persone che gestiscono il centro si sono costituite in Conferenza di S. Vincenzo.

Per i mesi invernali del 2004-05 la parrocchia ha aperto un centro di accoglienza notturno che ha ospitato una quindicina di senza casa, italiani e stranieri, per un totale di 6 posti letto. Da ottobre 2006 è stata aperta un’altra casa che ospita stabilmente 10 persone senza dimora. L’ospitalità è totalmente gratuita, senza limiti di tempo e la gestione è totalmente garantita, oltre che dagli ospiti stessi, da parrocchiani volontari.

Con il gruppo dei giovani si è svolto un lavoro di sensibilizzazione sul tema dei bambini soldato, di cui si è già lungamente accennato.

Nel periodo del Natale 2005 e 2006, sempre con i giovani, sono stati organizzati due mercati di giocattoli usati, già descritti precedentemente.

Durante l’anno si svolgono varie feste che hanno radunato i bambini della parrocchia assieme a quelli delle famiglie aiutate attraverso il centro di accoglienza, di nazionalità e religione diverse.

Da febbraio 2005 un gruppo di adulti della parrocchia visita settimanalmente gli anziani dell’Istituto “Le Grazie”, in particolare quelli che non hanno familiari che li vadano a trovare. Sempre in istituto i volontari assieme al parroco hanno animato in alcune occasioni la liturgia della domenica mattina e fatto una festa ogni anno in occasione del Natale.

Ogni mercoledì e sabato sera i giovani assieme al parroco e alcuni adulti garantiscono la distribuzione di pasti ai senza fissa dimora che dormono alla stazione e ai nomadi accampati lungo il Nera (circa 20-25 persone).

Nell’estate 2005 due bambini nomadi sono stati portati in vacanza da una volontaria della parrocchia presso un centro ricreativo estivo a Lugnano.

Ogni Natale sull’esempio del pranzo voluto dal Vescovo in Cattedrale, si sono tenuti in chiesa pranzi che hanno ospitato anziani, stranieri, senza casa e famiglie. Il primo anno hanno partecipato circa 20 persone, l’anno successivo 95, nel 2007 erano 130, con il coinvolgimento di 32 volontari che hanno preparato la tavola e servito il pranzo e i regali personalizzati. Quattro ristoranti del quartiere (Il Pomodorino, l’Anfiteatro, il Cicalino, Gulliver e il Placebo) hanno fornito gratuitamente i pasti, mentre i dolci sono stati offerti dalla pasticceria Pazzaglia e dal bar Cavour.

Nell’ottobre 2004 e 2005 la parrocchia di Santa Croce ha ospitato la comunità islamica di Terni offrendo la cena dell’Iftar, rottura del digiuno serale nel tempo di Ramadan. Nel 2005 l’iniziativa è stata accompagnata da una conferenza sul digiuno nelle religioni abramitiche, con la partecipazione di relatori di diverse religioni.

Dall’ottobre 2004 la Parrocchia ospita gli incontri settimanali dei gruppi di autoaiuto “Alcolisti Anonimi” e “Narcotici Anonimi” che operano per il recupero di persone colpite da dipendenza da alcol o da farmaci.

Ogni domenica, dopo la messa, il parroco e altri parrocchiani ospitano per il pranzo circa 15 persone in situazioni di bisogno.

Oltre a questi ambiti si svolgono le attività ordinarie di visita agli ammalati e anziani della parrocchia per portare i sacramenti dell’Eucaristia e dell’Unzione degli infermi e interventi caritativi straordinari in occasione di bisogni eccezionali.

Conclusione

I diversi ambiti brevemente descritti offrono uno spaccato dell’impegno che viviamo a fare della Parrocchia di Santa Croce un luogo in cui si prega, ci si vuol bene e si accoglie chi è povero. Sentiamo che questa è una benedizione per la nostra vita che, come dice il Salmo, il Signore fa riposare sui pascoli erbosi e disseta ad acque tranquille (cfr. Sal 22,2). Sono i pascoli del suo amore e la fonte inesauribile della sua grazia che trasfigura la nostra vita e ci riempie i cuori di felicità.
Ci sembra di veder realizzata la benedizione di cui parla il profeta Isaia che sentiamo coinvolgerci tutti e proteggere le nostre vite dall’assalto del male:

E’ forse come questo il digiuno che bramo,
il giorno in cui l’uomo si mortifica?
Piegare come un giunco il proprio capo,
usare sacco e cenere per letto,
forse questo vorresti chiamare digiuno
e giorno gradito al Signore?
Non è piuttosto questo il digiuno che voglio:
sciogliere le catene inique,
togliere i legami del giogo,
rimandare liberi gli oppressi e spezzare ogni giogo?
Non consiste forse nel dividere il pane con l’affamato,
nell’introdurre in casa i miseri, senza tetto,
nel vestire uno che vedi nudo,
senza distogliere gli occhi da quelli della tua carne?
Allora la tua luce sorgerà come l’aurora,
la tua ferita si rimarginerà presto.
Davanti a te camminerà la tua giustizia,
la gloria del Signore ti seguirà.
Allora lo invocherai e il Signore ti risponderà;
implorerai aiuto ed egli dirà: «Eccomi!».

(Is 58,5-9)

Intuiamo già l’alba di questo giorno nuovo e l’inizio della realizzazione di quella Terni che tutti sogniamo in cui ogni lacrima è asciugata, la morte è vinta, non c’è lutto né lamento né affanno, perché le cose di prima sono passate (cfr At. 21,4).

Ottobre 2007
Il Consiglio Parrocchiale
Parrocchia di Santa Croce
Via Cavour 29 - Terni

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